Dopo l'enorme successo in patria, dove ha fatto incetta di ben otto premi Goya (cifra che ricorda l'exploit di The Others di Alejandro Amenábar nel 2001) oltre a risultare notevole campione d'incassi, arriva anche in Italia il dramma carcerario spagnolo Cella 211. Il thriller, dalle atmosfere claustrofobiche e dal ritmo incandescente, racconta la tragedia cupa e disperata del giovane Juan Olivier che fa visita al carcere in cui il giorno dopo prenderà servizio come guardia e si ritrova inghiottito da una rivolta dei detenuti, capeggiata dall'animalesco Malamadre e dai "suoi uomini". Per salvarsi la pelle s'improvvisa uno di loro e si guadagna con astuzia la fiducia dei prigionieri, che intanto combinano una sommossa cruenta ribellandosi allo spietato regime interno di sorveglianza. Co-sceneggiato insieme al regista Daniel Monzón, al suo quarto lungometraggio, dal bravo Jorge Guerricaechevarria, inseparabile collaboratore del regista Álex de la Iglesia (La comunidad) e tratto dall'omonimo romanzo di Francisco Pérez Gandul, premiato come Miglior romanzo Noir a Gijon nel 2005, Cella 211 è un film che incastra perfettamente la storia, la cifra stilistica autoriale e l'interpretazione di un cast d'eccellenza in cui il "cattivo" Luis Tosar (Ti do i miei occhi) spicca tra l'esordiente argentino Alberto Ammann e l'attuale compagna Marta Etura. Selezionato a Venezia 66 alle Giornate degli Autori, la pellicola, distribuita in 180 copie dalla Bolero, che ha il merito di aver portato in patria film come l'indimenticabile Lasciami entrare, riesce a coniugare il genere, in bilico tra il thriller e il noir, a uno spettacolo che stringe in una morsa salda le emozioni degli spettatori fino all'ultimo istante.
Abbiamo incontrato a Roma il cast artistico del film e l'autore Guerricaechevarria, che ci hanno parlato del lavoro di ricerca sui penitenziari e sui detenuti che è stato realizzato in pre-produzione e delle intenzioni di portare sul grande schermo una storia realistica in cui il pubblico potesse immergersi e restarne "imprigionato". Il giovane protagonista Alberto Ammann ci ha spiegato come ha lavorato alla costruzione del suo ambiguo Juan e del rapporto coniugale con la collega Marta Etura mentre l'esplosivo e muscolare Tosar ci ha raccontato la sua esperienza con i detenuti incontrati in Spagna per immedesimarsi nel suo Malamadre, che si appresta a diventare una nuova icona cinematografica del male e della violenza nell'immaginario collettivo.
Dopo Il profeta, un altro film carcerario che prova che questo genere non è solo appannaggio dei filmaker americani. Anche i cineasti europei vogliono raccontare le ambiguità di una dimensione come quella delle carceri attraverso il cinema di genere e con l'ausilio di un racconto specifico?
Signor Guerricaechevarria come vi siete documentati sul mondo delle carceri?
Jorge Guerricaechevarria: Stranamente, anche se il film si basa su un romanzo, abbiamo voluto vedere la realtà da vicino perché quando ti confronti con un thriller c'è bisogno di un fondo di verità affinché lo spettatore possa comprendere le situazioni estreme e si senta coinvolto nella storia, riconoscendola come plausibile.
E qual è stata la vostra impressione dopo quest'esperienza?
Jorge Guerricaechevarria: Abbiamo capito che il sistema è cambiato molto in Spagna, che è migliorato, ma comunque ci sono situazioni terribili, per esempio il trattamento dei malati. Nel film il protagonista dice alla fine del film che i detenuti sono come spazzatura, che va allontanata. Se per una persona normale, che vive fuori dal carcere, occorrono mesi per farsi esaminare e ottenere una diagnosi quando sta male, la situazione per un detenuto è ancora peggiore perché il detenuto è considerato uno degli ultimi della società... Nelle prigioni ci sono molti detenuti pericolosi tanto che il medico a volte li visita attraverso le sbarre... Noi volevamo rendere la storia vera e la storia di un personaggio come Morao, che compare solo all'inizio, è una vera e funziona da leit motiv per tutto il film.
Avete avuto dei film in particolare come punti di riferimento?
Jorge Guerricaechevarria: Non ci siamo basati su un film particolare, ma sull'idea di voler descrivere le carceri in Spagna ed era uno dei nostri maggiori interessi. Non è come nei film americani... volevamo mostrare qualcosa di differente altrimenti personaggi come Malamadre non sarebbero sembrati plausibili.
Nella storia uno dei nodi centrali è la protezione da parte del governo dei prigionieri dell'Eta, un tema abbastanza provocatorio. Questo ha suscitato polemiche politiche in Spagna?
Jorge Guerricaechevarria: No, non ha suscitato polemiche anzi ha riscontrato un'accoglienza positiva del pubblico perché, come pensavamo, quello dell'Eta non è un tabù e noi infatti l'abbiamo usato come una parte normale della storia, e credo che le persone abbiano avvertito le nostre intenzioni.
Come mai questo riferimento nella sceneggiatura?
Non teme che uno sviluppo del genere, il fatto che nel film i terroristi siano gli unici ad avere una certa importanza per il governo, possa risultare inverosimile?
Jorge Guerricaechevarria: Credo che difficilmente nella realtà potrebbe verificarsi una situazione del genere. Abbiamo parlato con diverse guardie e loro credono che i prigionieri siano rispettati perché hanno alle spalle una potente organizzazione che quindi fuori dal carcere agirebbe di conseguenza...
Com'è stato accolto negli States Cella 211?
Jorge Guerricaechevarria: A Toronto abbiamo ricevuto proposte per eventuali remake. Da una parte questo mi fa piacere, ma è un aspetto che per altri versi non mi piace perché non vorrei che il nostro film potesse servire da canovaccio per ripetere altri film americani. E poi Luis Tosar era l'unico Malamadre che mi sarebbe mai potuto venire in mente!
Il film è stato proiettato in qualche penitenziario?
Jorge Guerricaechevarria: No, per il momento. Ma non credo che le istituzioni penitenziarie ne avrebbero particolare interesse...
A tale proposito c'è un messaggio preciso che ha voluto affidare al protagonista?
Jorge Guerricaechevarria:
Luis Tobar: Credo sia una lezione molto interessante per i giovani: non fidarsi delle autorità!
Luis Tosar questo non è il primo film in cui il suo personaggio appartiene a un girone dell'inferno in cui i personaggi sono borderline, ma stavolta lei si è rapportato con una situazione estrema. Anche Malamadre è una versione degli ultimi?
Luis Tosar: Come spettatore mi hanno sempre interessato le tematiche, i personaggi e i generi di varie nazionalità e tipologie diverse, ma come attore m'interessa di più il film che analizza la società. Per una serie di ragioni i registi con cui ho lavorato e io ci siamo sempre confrontati con personaggi chiaramente marginali, sia uomini radicali sia persone grigie, meno estreme, che se incontrassimo nella vita quotidiana neppure riconosceremmo perché camminano su binari paralleli rispetto alla vita normale. In questo caso Malamadre è un personaggio diverso, è chiaramente più marginale, è più riconoscibile, più schematico e quindi per lo spettatore è più facile schierarsi. Nel film Ti do i miei occhi nessuno si sarebbe mai messo dalla parte di uno stupratore, anche se il film voleva mostrare la violenza domestica dal punto di vista di un uomo che ha perso tutto e ha difficoltà a trasformarsi in un uomo normale. Con Cella 211 invece lo spettatore sente empatia per il mio personaggio malgrado sia violento, sia un assassino.
Come ha lavorato al suo Malamadre? Si è ispirato a dei personaggi o film del passato?
Luis Tosar: No, non ho rivisto nessun film di genere proprio perché erano tutti americani e mi sarebbe servito a poco, però abbiamo organizzato molti incontri con detenuti, funzionari... Un giorno abbiano potuto assistere agli incontri con i familiari dei detenuti: c'era un prigioniero che aveva un curriculum di insurrezioni, aggressioni a un funzionario, un "rosario di bellezze" al seguito, ma dopo 20 anni aveva abbandonato la violenza per ottenere la libertà. È stato molto istruttivo lavorare con questo personaggio perché mi ha detto che per tutto il tempo in cui è stato il leader nel suo carcere era costantemente in allerta, non sapeva mai chi fosse un amico e chi costituisse per lui una minaccia. Questo secondo mondo interno è stato illuminante per dare vita a Malamadre.
Signora Etura come si è avvicinata al suo personaggio?
E per lei signor Ammann com'è stato interpretare il difficile ruolo di Juan Oliver?
Alberto Ammann: Quello che ha raccontato Marta è vero: appena ci siamo visti dopo pochi minuti già ridevamo. Insieme abbiamo lavorato sul costruire il momento più bello della vita del mio personaggio: quello di un matrimonio felice, con un bambino in arrivo... un momento di condivisione di un progetto e tutto quello che andava contro questa realizzazione avrebbe significato una grande avversità.
Ci racconta la sua esperienza di attore al fianco di Daniel Monzón?
Alberto Ammann: Quando ho conosciuto Daniel Monzón, dopo aver letto il copione, gli ho detto che avevo trovato che il mio personaggio si trovasse improvvisamente di fronte a qualcosa di più grande di lui, perché non avendo l'indole del giustiziere, dell'eroe, punta solo ad avere più soldi, una certa stabilità, non ha grosse ambizioni. Lo vedevo con questo profilo basso e lui è stato d'accordo con me, sul fatto d'improntarlo in maniera minimalista perché solo così si sarebbe confrontato con le figure bestiali nel film. All'inizio Juan non riconosce la fiducia in sé, poi se ne rende conto durante lo sviluppo.
Ha avuto dei punti di riferimento per costruire il suo personaggio?
Alberto Ammann: Non ho cercato dei riferimenti americani, ma essendo argentino ho avuto una certa conoscenza del sistema del mio Paese e c'erano delle somiglianze con quello degli anni '80 con la situazione europea. Da esordiente nei panni di un protagonista, accanto a Luis, ho fatto riferimento a una serie argentina dal titolo Tumberos, una serie molto cruda e realista in linea con quello che voleva Monzón, soprattutto una serie che non ricorre a trucchi che trasformano i personaggi in eroi...