Prove tecniche di seduzione
Di fronte ai turbamenti esistenziali e alle derive erotiche di un film come Chloe - Tra seduzione e inganno si ha una strana impressione, come se differenti poetiche cercassero un punto di contatto, faticando enormemente a trovarlo. Ricostruire la genesi di un simile progetto cinematografico può forse servire a inquadrarne meglio le potenzialità, come anche i limiti. Concepita sulla falsariga di Nathalie..., pellicola francese realizzata da Anne Fontaine nel 2003 (con Fanny Ardant, Emmanuelle Béart e Gerard Depardieu tra i protagonisti), la sceneggiatura del film diretto poi da Egoyan è stata infatti scritta da Erin Cressida Wilson, che almeno sulla carta avrebbe dovuto trovarsi particolarmente a suo agio con la materia. Si da il caso che la Wilson abbia già evidenziato nei suoi copioni uno sguardo personale e talvolta penetrante sulle (dis)funzioni di eros; principalmente in Secretary, ma con un taglio più periferico e di gran lunga meno riuscito anche nel successivo Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus. Era stato Ivan Reitman, qui nelle vesti di produttore, a contattare la sceneggiatrice per proporle di partecipare al progetto, nel quale ha voluto poi coinvolgere un autore del calibro di Atom Egoyan. Da questo punto in poi ci viene spontaneo parlare di un sodalizio mancato.
Il regista canadese, le cui opere hanno quasi sempre suscitato in noi un grande entusiasmo (con una punta di preferenza, semmai, per Il viaggio di Felicia e per il sottostimato Ararat), ha dimostrato in diverse occasioni che il suo cinema può coniugare le pieghe di un erotismo mai banale con le rimozioni, il disagio, le piccole e grandi sofferenze interiori. Il pensiero corre immediatamente ad Exotica. Ed è facile, pensando all'urgenza rivelatrice di certe scene come ad altri fattori, individuare un "fil rouge" che porti direttamente da un gioiellino quale è a nostro avviso Exotica, fino al molto più lineare (ed anche per questo deludente) Chloe - Tra seduzione e inganno. Sintomatico è che entrambe le pellicole siano state girate a Toronto, negli ambienti più familiari al regista. Nessuno si sorprenderà se ribadiamo come sia stato lo stesso Egoyan a proporre di spostare nella metropoli a lui più cara un set che, altrimenti, sarebbe anche potuto restare a San Francisco, la città dove Erin Cressida Wilson aveva ambientato originariamente la storia.Ebbene, nonostante tutto ciò che di promettente si possa intravedere in tali premesse, la nuova pellicola di Egoyan riesce a illuminarsi solo a tratti, regalando per il resto situazioni scontate, prevedibili, contaminate da un tono freddo che forse mal si addice alla composizione e all'impegno del cast. Lo spunto di partenza, come nel già citato Nathalie è la crisi di una coppia di mezza età. Catherine (una Julianne Moore non al suo top) è preoccupata che l'affascinante marito David (interpretato da Liam Neeson) si stia disamorando di lei, cominciando magari a flirtare con altre donne; grazie a un incontro casuale in hotel fa quindi la conoscenza della bella e sensuale Chloe (qui davvero stupefacente la giovane Amanda Seyfried di Mamma mia! e Jennifer's Body), prostituta d'alto bordo dietro il cui carisma sembra però nascondersi un universo segreto, quasi impenetrabile. A Catherine, abbastanza sicura di poter pagare la ragazza come per un qualsiasi altro "servizio", verrà presto in mente di usare Chloe proponendole qualcosa di indiscutibilmente morboso: provare a sedurre il marito così da testarne la fedeltà. Il patto segreto tra le due aprirà però orizzonti completamente inaspettati. E le conseguenze di tale accordo andranno a toccare l'interiorità delle persone coinvolte in modo pericoloso, senz'altro diverso da quello che Catherine aveva previsto. Il gioco, sulla carta così intrigante, stenta però a decollare. Davvero troppi, nella costruzione dei personaggi, i momenti banali in cui si rischia che una situazione stereotipata o uno scambio di battute ugualmente infarcito di luoghi comuni agiscano da anestetico, addormentando l'interesse per il racconto. La regia di Egoyan, in altre occasioni così ispirata, per due terzi del film sembra seguire di pari passo l'andamento pigro e svogliato dello script. Vogliamo fare un esempio? Nel gioco di dissolvenze con cui il volto di Julianne Moore sotto la doccia si alterna ad una scena quanto mai calda, comincia a fare capolino un eros patinato decisamente inferiore alle possibilità del cineasta canadese. Anche certe parentesi narrative, come quelle che concernono la fragilità di Michael, figlio insicuro e complessato della coppia impersonato dall'emergente Max Thieriot, non incidono come dovrebbero.
Il discorso cambia quando il background emotivo dei personaggi riesce finalmente a sfondare le maglie troppo rigide del racconto, ponendo in primo piano le personali debolezze dei protagonisti, in relazione a un contesto che l'ambiguo comportamento di Chloe tinge rapidamente di giallo. Sembra perciò che verso la fine della pellicola, almeno in alcuni dei confronti sempre più serrati e stringenti tra i personaggi, l'Egoyan più autentico esca fuori, dispensando persino qualche emozione gelida e penetrante. Peccato che tutto ciò avvenga troppo tardi, per rendere lo spettatore realmente partecipe della storia.