Il samurai di Kitano

Grande accoglienza, a Venezia, per 'Zatoichi', il nuovo film di Takeshi Kitano, in cui il regista rielabora una storia appartenente al folklore giapponese.

Entusiasmo alle stelle, ieri a Venezia, per Takeshi Kitano e il suo nuovo film: dalla ressa ai cancelli del Palagalileo (luogo adibito alla proiezione delle anteprime), agli applausi durante la proiezione e all'ovazione finale, quella che ha accompagnato Zatoichi, il nuovo film del regista giapponese, è stata un'accoglienza, è il caso di dirlo, da stadio. Un successo in qualche modo annunciato, visto che proprio qui, nel '97, Kitano conquistò il Leone d'Oro con il suo Hana-Bi, opera che contribuì non poco alla diffusione del suo cinema presso il grande pubblico in occidente.

In questa sua nuova pellicola, Kitano (qui anche protagonista) rielabora una storia appartenente al folklore giapponese, che già diede spunto, in passato, a un'infinità di film cinematografici e televisivi: Zatoichi è un massaggiatore vagabondo e cieco, con un abilità fuori dal comune nell'uso della spada, abilità che userà per liberare un piccolo villaggio da una crudele banda di briganti. Il sangue scorre a fiumi, in questa nuova pellicola di Kitano, tanto che il regista giapponese (che sfoggia un'inedita capigliatura bionda) ha affermato: "Sarebbe meglio che non esistesse, Zatoichi, perché semina morte e sangue. Un po' come gli americani e gli inglesi a Bagdad, sarebbe stato meglio che non ci fossero andati". Ma Kitano, poi, ha tenuto subito a precisare: "Non ho voluto parlare della morte o della violenza come motore della vita: questa è solo la storia di Zatoichi, che i trentenni giapponesi conoscono da un'infinita serie di film al cinema e alla tv. Che significato ha l'abbondanza di sangue? Nessuno: l'esagerazione della violenza toglie sofferenza".

Una rielaborazione, quella di Kitano, che apporta più di una novità alla storia tradizionale: "Ho mantenuto gli elementi tradizionali", dice il regista, "ma ho anche voluto portare delle innovazioni. Volevo fare il 'mio' Zatoichi". L'integrazione della musica e del tip-tap è sicuramente una di queste innovazioni, così come lo sono le abbondanti dosi di umorismo nero: "Avevo in mente soprattutto il ritmo nel girare la storia. L'umorismo, invece, mi serviva come una pausa di caffè tra un ammazzamento e l'altro."
Un nuovo cambio di registro, quindi, per il regista giapponese, dopo gli stilizzati gangster movie che gli hanno dato il successo e lo straordinario rigore formale, pregno di sofferenza, di un'opera come Dolls: un omaggio alla tradizione del chambara (film di samurai in costume) da una parte, e un recupero, dall'altra, della componente umoristica del suo cinema (che già avevamo potuto vedere in Getting Any? e L'estate di Kikujiro), componente da sempre facente parte del suo "essere" artista (Kitano, è da ricordare, nasce come cabarettista). "E' un film un po' diverso da tutti gli altri, è vero, ma forse nel prossimo tornerò allo stile a cui vi avevo abituato", conclude il regista. E intanto, a Venezia, c'è già chi ipotizza un bis per il Leone d'Oro.