Frankenstein, quanto è fedele all'opera originale il film di Del Toro? "C'è più conoscenza e vergogna"

Con Frankenstein, Guillermo del Toro rilegge il mito di Mary Shelley con spirito umano e sensibilità moderna e un'esperta analizza le differenze e i punti di contatto tra il film e il romanzo, tra nuove dinamiche di genere e un mostro più umano che mai.

Una scena di Frankenstein

Per Guillermo del Toro, il Frankenstein di Mary Shelley è più di un classico: è la sua Bibbia. Oggi, con l'uscita del film su Netflix, il regista messicano affronta il mito dell'uomo che sfida la creazione trasformandolo in una riflessione sull'empatia, sulla colpa e sulla fragile natura del perdono. Un'esperta dell'opera originale ha confermato quanto ci sia di originale e quanto di ricostruito dal regista.

Il "mostro" di Del Toro: un'anima umana sotto la pelle cucita

"Per me, non è un ammonimento sulla scienza, ma un racconto sullo spirito umano", ha spiegato Guillermo del Toro. E in effetti il suo Frankenstein non cerca la fedeltà letterale al romanzo del 1818, ma quella emotiva.

Frankenstein Oscar Isaac
Frankenstein: Oscar Isaac sul set

In questa nuova versione, Oscar Isaac interpreta un Victor Frankenstein tormentato da un padre violento e da un passato di esperimenti proibiti, mentre Jacob Elordi dà corpo a una Creatura che sembra più un figlio respinto che un abominio. L'orrore diventa intimo, quasi domestico: il film abbandona l'idea della "scienza impazzita" per raccontare una parabola di vergogna, fallimento e sete di riconoscimento.

L'esperta Julie Carlson, docente di letteratura romantica alla University of California, ha sottolineato come Del Toro scelga "meno l'hybris e più la vergogna". Invece del Faust ossessionato dalla conoscenza, Victor diventa un uomo ferito che tenta di superare il padre, non la morte. Un cambio tematico che rilegge il mito attraverso la lente del trauma familiare, aprendo la via a una narrazione più emotiva che filosofica.

Frankenstein di Guillermo del Toro: le differenze con la creatura immortale nata dalla penna di Mary Shelley Frankenstein di Guillermo del Toro: le differenze con la creatura immortale nata dalla penna di Mary Shelley

Anche la Creatura, che Shelley descriveva come eloquente e filosofica, trova qui una dimensione più visiva: Del Toro la umanizza, la guarda in volto, la rende interlocutore e non mostro. "Quando contempli il volto dell'altro, non puoi ucciderlo," spiega Carlson citando il filosofo Levinas: una frase che riassume perfettamente l'approccio del regista messicano.

Elizabeth e la libertà: la rivoluzione femminile di Del Toro

Il personaggio di Elizabeth, interpretato da Mia Goth, è forse la più grande rivoluzione di questa versione. Nel romanzo di Shelley era una figura passiva, destinata a essere sacrificata sull'altare della tragedia maschile; nel film diventa indipendente e coraggiosa. "Del Toro ha letto davvero il testo," spiega Carlson. "C'è una frase in cui Victor la descrive 'giocosa come un insetto', e il regista ne ha fatto la chiave del personaggio." Elizabeth è dunque scienza e natura insieme, una donna che osserva e che - a differenza del Victor di turno - non si illude di controllare la vita.

Frankenstein Jacob Elordi
Frankenstein: Jacob Elordi in una foto

Nel film, il legame tra lei e la Creatura si fa centrale. Non è romantico, o non solo: è una solidarietà tra esseri emarginati, due figure che si riconoscono nello sguardo dell'altro. "Gli chiede subito: 'Sei ferito?'" racconta Carlson. È l'unica a offrirgli empatia, fino a sacrificarsi per lui. In questa scelta, Del Toro riscrive uno dei simboli più forti del romanzo: se in Shelley le donne vengono cancellate dalla storia, qui è una donna a morire per il "mostro".

Il risultato, secondo l'esperta, è un film meno interessato al monito sociale del testo - Shelley scriveva di oppressione, patriarcato e schiavitù - e più concentrato su una critica emotiva e universale: quella alla disumanizzazione e al potere che genera dolore. Con la consueta eleganza visiva, Del Toro trasforma il mito gotico in un'opera sul perdono e sulla fragilità dell'amore, dove i mostri non sono più quelli cuciti in laboratorio, ma quelli che abitano dentro di noi.