Capri - Revolution: cosa c'è di vero nella storia della comune proto hippie del film

Capri - Revolution di Mario Martone ha al centro la vera storia di una comunità di esuli russi che nei primi del Novecento arrivò a Capri e visse in modo molto alternativo.

Capri - Revolution, che andrà in onda stasera alle 21,20 su Rai 3, chiude la trilogia storica che Mario Martone ha dedicato all'Italia iniziata con Noi credevamo e proseguita poi con il biopic su Leopardi, Il giovane favoloso. Come nei precedenti lavori del regista napoletano, anche questo trae origine da una storia vera, una serie di fatti ben documentati che, in questo film, risultano ancora più sorprendente per il loro essere stati anticipatori di modi e modelli culturali a noi contemporanei. A ridosso della Prima Guerra Mondiale, l'isola fu infatti al centro di un vero e proprio esodo di intellettuali del nord Europa, principalmente russi, che vi risiedettero in pianta stabile, movimentando non poco la quotidianità sonnolenta e ancora legata a codici arcaici dei suoi abitanti.

Capri Revolution Reinout Scholten Van Aschat
Capri - Revolution: Reinout Scholten van Aschat in una scena del film

Capri - Revolution apre uno scorcio vivido su quel periodo in cui intellettuali in fuga dalla polizia zarista come Maxsim Gor'kij e Lenin trovarono rifugio nelle calde e placide acque dell'isola azzurra, dando vita a uno dei più attivi circoli rivoluzionari con tanto di scuola di partito. Ma non fu solo la politica a trovarvi spazio, anche l'arte nelle sue declinazioni più varie si ritagliò un posto importante. Ed è partendo proprio dalla figura del pittore e utopista tedesco Karl Wilhelm Diefenbach che Mario Martone ha preso gli spunti principali per raccontare la vicenda di una ragazza del luogo, Lucia, (Marianna Fontana) che viene attratta da un gruppo di giovani stranieri guidato da Seybu (Reinout Scholten van Aschat) un artista che ha creato una sorta di 'comune' in cui vige l'amore libero, il rispetto per la natura e la pratica del veganesimo, dello yoga e del nudismo. Per Martone, ma anche per chi ha recensito il film dopo l'anteprima alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia nel 2018, era chiaro il parallelo con la rivoluzione avvenuta nel 1968, tanto che alcuni non hanno esitato a definire questo gruppo come degli hippie ante litteram.

Capri Revolution Scena
Capri - Revolution: una scena del film

Il personaggio di Seybu richiama Karl Wilhelm Diefenbach che proprio a Capri trasferì questo modo originale di vivere dopo aver fatto bancarotta in Svizzera. Qui passò gli ultimi anni di una esistenza fino ad allora tribolata, fatta di abusi e insoddisfazioni, in cui era perennemente alla ricerca di un luogo in cui trovare finalmente la quiete. E Capri si mostrò perfetta, con quella sua natura così aspra ma allo stesso tempo seducente e misteriosa, capace come nessun altra di evocare quel senso del sublime che andava sempre cercando nelle sue opere. Non a caso la sua attività pittorica fu forsennata e i suoi quadri sono ancora esposti alla Certosa di San Giacomo, il monastero più antico dell'isola. I suoi ideali di contatto diretto con la Natura, vista nella sua essenza più vivida, fatta di comunione strettissima trovarono terreno fertile per la diffusione delle sue dottrine. Per Diefenbach, l'uomo moderno doveva liberarsi da una visione materialistica della vita per ritornare alle fonti della saggezza degli antichi. Per questo era necessario un vero e proprio percorso iniziatico basato su esperienze medianiche e visioni personali in cui la sessualità e la meditazione avevano un ruolo centrale.

"Di Diefenbach era interessante soprattutto la scelta di praticare l'arte dentro una radicale rivoluzione umana, in cui il rapporto con la natura diventa centrale - aveva detto Martone in occasione della presentazione al Lido - le scelte compiute in anni lontanissimi dalla comune di Capri, come da quella di Monte Verità in Svizzera, parlano direttamente al nostro tempo". Ma le suggestioni non finiscono qui perché altro elemento portante di ispirazione è stata un'opera concettuale, questa sì moderna, realizzata da Joseph Beuys nel 1985, poco prima di morire. L'installazione è una lampadina gialla che prende energia da un limone commissionata dalla galleria di Lucio Amelio all'interno di un progetto sull'esauribilità delle risorse naturali. Risorse, la cui attenzione è anche al centro del gruppo di esuli nord europei presenti nel film.