La febbre dell'oro
Prima di scrivervi di Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, sentiamo di dover fare una premessa; non siamo filologi di J.R.R. Tolkien o lettori che conoscono ogni più recondito pensiero dei personaggi creati dallo scrittore sudafricano, citando a memoria interi passi del romanzo in elfico, ma apparteniamo a quella categoria di spettatori che hanno amato quell'universo grazie allo straordinario adattamento cinematografico di Peter Jackson. Potrà il nostro essere forse un punto di vista parziale su questo argomento, ma ci dà pur sempre la possibilità di parlarvi del film in quanto tale, cioè come spettacolo in grado di 'nutrire' gli occhi e appassionare il cuore. Se la mettiamo così (e la mettiamo così), non possiamo non sottolineare come il lavoro del regista neozelandese sia stato, come sempre, encomiabile. Lo Hobbit non sarà mai Il signore degli anelli, non è pervaso da quel senso di tragedia imminente che accompagna Frodo e soci, ma, in piccolo e talvolta in maniera più leggera e divertita, ne riproduce gli snodi narrativi più importanti. Rispetto al primo capitolo, dunque, l'azione è più viva, la tensione drammatica più alta, maggiormente fusa alla spettacolarità della confezione. Eppure alla fine delle due ore e quaranta minuti di visione, si esce insoddisfatti; un'insoddisfazione che somiglia più ad una delusione, che non al desiderio/certezza di essere appagati la prossima volta.
Siamo di nuovo nella Terra di Mezzo, Bilbo, il mago Gandalf e i tredici nani guidati da Thorin Scudodiquercia sono diretti ad Erebor per provare a riprendere il dominio sulla Montagna Solitaria, cuore del loro regno, ora nelle mani di un temibile drago. Prima di giungere al cospetto del maestoso Smaug, però, la compagnia deve affrontare diverse prove pericolose. I nostri eroi attraversano prima il Bosco Atro, grazie all'interessamento del mutaforma Beorn, poi sfuggono alla cattura di alcuni ragni giganteschi (qui si rivela fondamentale il misterioso anello di Bilbo) e di un gruppo di Elfi Silvani (Bilbo favorisce la fuga dei suoi amici, nascondendoli nei barili). Giungono infine a Pontelagolungo, cittadina un tempo fiorente, ora ridotta allo stremo da un laido governatore, che tiene in pugno gli abitanti, anche facendo leva sul terrore provocato dalla presenza di Smaug. Prima considerati nemici e poi, per pura ragion di stato, trattati come liberatori, Bilbo e parte della compagnia dei nani vengono rifocillati e spinti a concludere la propria missione. Trovata la porta segreta della Montagna, lo 'scassinatore' e i suoi committenti si trovano faccia a faccia con Smaug. Tutto questo mentre a Dol Guldur l'oscuro e minaccioso Negromante si prepara a scatenare tutta la sua potenza. Capitolo mediano di una trilogia che trilogia vera non è, La desolazione di Smaug ha dalla sua un elemento chiave che non può essere sottovalutato, una figura 'malvagia' di grande effetto, messa qui ulteriormente in risalto dall'assenza dell'umbratile, schizofrenico, grandioso Gollum. Il drago Smaug, doppiato in originale da Benedict Cumberbatch, racchiude in sé le caratteristiche del perfetto antagonista, una mostruosa creatura che incarna l'avidità e la ferocia e a cui Bilbo si rapporta con l'astuzia di Ulisse davanti a Polifemo. Costruito strato per strato dagli artisti della Weta Digital, dalla forma dello scheletro, alla struttura della pelle, Smaug è un gigante incapace di separarsi dalla propria ricchezza, freddo come l'oro da cui è circondato. Il film quindi è una lunga preparazione ad un confronto che se non proprio epico, risulta alla fine molto coinvolgente, anche grazie ad un Martin Freeman ironico e puntuto, perfetto nel rendere sul grande schermo la trasformazione del suo Bilbo in coraggioso guerriero; ma, e qui sta a nostro parere l'inghippo, la ricchezza di questa sfida viene vanificata sul più bello e si resta con la sensazione di non aver colto qualcosa di importante. Troppi 'fronti' sono stati lasciati aperti, troppe storie lasciate in sospeso, alcune delle quali ininfluenti. Non contestiamo la creazione di un personaggio nuovo come Tauriel, l'elfa interpretata da Evangeline Lilly, quanto l'aver forzato la mano con una storyline romantica solo decorativa. Laddove sarebbe servita una maggiore concentrazione, Jackson e gli altri sceneggiatori, Fran Walsh, Philippa Boyens e Guillermo Del Toro, diluiscono il racconto all'ennesima potenza, per ottenere il massimo da qualcosa che difficilmente avrebbe potuto dare di più. Alla lunga, insomma, emergono i limiti di una narrazione volutamente espansa, ancor più evidenti davanti ad un'avventura che possedeva dei motivi di interesse. Restano impresse allora le sequenze più energiche, come la fuga nei barili, e i sinuosi movimenti di Smaug dalle fauci voraci. La bellezza dell'involucro è tale da poter 'annebbiare' la vista, rischio quanto mai concreto con i 48 fotogrammi al secondo dell'High Frame Rate, ma sotto questa coltre rilucente e sfarzosa il vino risulta annacquato. Brindiamo lo stesso, però, nell'attesa di un epilogo più memorabile.
Movieplayer.it
3.0/5