Uscito il 25 dicembre negli USA e forte di ottimi incassi al botteghino, il nuovo film di Quentin Tarantino, Django Unchained, si trova ad essere protagonista in patria di forti polemiche legate allo scottante tema dello schiavismo e per l'eccessivo (almeno secondo i detrattori) utilizzo del termine denigratorio nigger.
A tutto questo si aggiunge il fatto che mai come in questi giorni impazza l'Awards Season americana, con meno di una settimana dall'annuncio delle nomination agli Oscar che con tutta probabilità vedrà tra i protagonisti proprio Tarantino ed il suo film. L'arrivo di Quentin Tarantino a Roma insomma non poteva cadere in un periodo migliore, e non deve certamente stupire la scelta di cominciare la tournée europea proprio in Italia: il nostro paese, per suggestioni e ispirazioni, è da sempre parte integrante della poetica del regista, come abbondantemente dimostrato già dal precedente Bastardi senza gloria, ma lo è ancora di più oggi grazie alla presenza di un italiano nel cast, quel Franco Nero che con il suo ruolo del Django originale ha ispirato il regista del Tennessee.
Insieme al regista e a Nero, a presentare il film alla stampa italiana ci sono anche i protagonisti maschili Jamie Foxx, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson e la bellissima Kerry Washington, mentre è assente il villain extraordinaire Leonardo DiCaprio. Django Unchained arriverà nelle sale italiane distribuito, in 500 copie, da Warner Bros a partire dal prossimo 17 gennaio.
Cosa replicate a Spike Lee che ha annunciato che non vedrà il film per rispetto dei suoi antenati e che non si può ridurre un argomento così serio ad uno spaghetti western? Jamie Foxx: Sinceramente preferirei proprio non perdere tempo a parlare di Spike Lee. Qui siamo tutte persone intelligenti e capaci, e sapevamo benissimo cosa stavamo facendo. Personalmente quando ho visto che c'era la possibilità di lavorare con Tarantino l'ho colta, ho piena fiducia in lui e nel suo lavoro, e credo che lo stesso valga per gli altri miei colleghi. Certo, sapevamo che il soggetto era rischioso e anche alcuni avrebbero attaccato il film ancora prima di vederlo, ma speriamo e pensiamo che il risultato possa parlare da solo.
Kerry Washington: Sapevamo benissimo che sarebbe stato un argomento scottante, ma siamo anche molto contenti di vedere che grazie al nostro film la gente sta nuovamente discutendo su questo argomento, siamo fieri di aver ispirato questo dibattito e che si sia tornati a parlare del passato. Se questo vuol dire anche ricevere critiche poco importa.
Jamie Foxx: Però prima di giudicare, vedetelo il film!
In questi giorni in America c'è anche il nuovo film di Spielberg, Lincoln, che affronta il tema della schiavitù, ma raramente era stato fatto nel cinema western e in modo così duro. Quentin Tarantino: Esatto, probabilmente potremmo contarli sulle dita di una mano in oltre 100 anni di film. Mi vengono in mente Boss Nigger, Libero di crepare e pochi altri...
Avevate sentito una certa responsabilità nel portare sullo schermo questa storia? Kerry Washington: Penso che per questo le prove siano state fondamentali, perché abbiamo parlato a lungo della nostra visione del razzismo. Abbiamo raccontato storie, abbiamo discusso di cose che non capivamo. In più abbiamo avuto il privilegio di girare in una vera ex piantagione schiavista in Louisiana, ed è stato un po' come girare ad Auschwitz. Quindi sì, sentivamo di avere una vera e propria responsabilità nel girare questo film.In particolare Leonardo DiCaprio era un po' preoccupato di dover dire certe cose, certe frasi molto forti, ma noi l'abbiamo incoraggiato perché non dovevamo avere paura di raccontare l'orrore che veramente era stato vissuto.
Samuel L. Jackson: Una cosa che succede spesso con i film che trattano la schiavitù, è semplicemente mostrare un campo da lavoro, uomini che cantano tristi canzoni gospel e poco altro. Noi non potevamo continuare a mentire al nostro pubblico. Non mi piacciono i film che mentono, a me piacciono i film che mostrano la realtà. Non avrei tollerato se avessimo mostrato qualcosa di finto o edulcorato. Questo film è prima di tutto intrattenimento, ma poi deve essere anche rivoltante. Se usciti da questo film non siete anche un po' disgustati, vuol dire che non siamo riusciti davvero nel nostro intento.
Oggi l'America è ancora un paese razzista?
Quentin Tarantino: (vede Samuel L. Jackson scoppiare a ridere) Ok, se volete possiamo chiudere qui con le domande, potremmo parlare di questo per un bel po'.
Kerry Washington: In realtà penso che prima ancora sia il caso di parlare del vostro Paese, visto cosa è successo ieri su un campo di calcio (i cori razzisti contro un giocatore del Milan ndr), non è certamente solo un discorso americano.
Come le è venuta l'idea geniale di inserire elementi di una saga nordica, la leggenda di Sigfrido e Brunilde, all'interno di uno spaghetti western con protagonisti di colore? Quentin Tarantino: In effetti c'è un aneddoto interessante, perché quando ho iniziato a scrivere avevo un'idea dei personaggi e della loro missione, ma non avevo tutti i dettagli in mente. Mi capita spesso di iniziare e trovare delle risposte strada facendo. Mentre scrivevo di Django, il mio amico Cristoph Waltz mi ha invitato a vedere a La saga dei nibelunghi di Wagner. In realtà avevamo perso la prima giornata, così prima di vedere la seconda parte Cristoph mi ha raccontato la storia quasi fosse un racconto da falò estivo. Non solo mi ha colpito molto il racconto, ma ho scoperto anche molte somiglianze con la mia storia, soprattutto visto che la mia protagonista già si chiamava Brunilde! A quel punto ho deciso di inserire il racconto di Sigfrido, proprio perché mi piaceva far notare questo strano parallelo.
I dialoghi nei suoi film sono fondamentali così come gli attori che spesso si porta con sè da un film all'altro. Quanto gli attori collaborano in fase di scrittura e quanto viene lasciato all'improvvisazione? Quentin Tarantino: In realtà gli attori quando vogliono lavorare con me è proprio per quello che io scrivo, non per cambiare i dialoghi. Quello, a volte, è permesso solo a Samuel L. Jackson.Samuel L. Jackson: Ho letto lo script, ne abbiamo parlato, e da quel momento semplicemente non vedevo l'ora di tornare a lavorare con Quentin, e soprattutto di provare con lui, perché il periodo di prova con lui è assolutamente fondamentale oltre che piacevole. E' lì che scopriamo tante cose sui personaggi, incominciamo a lavorare tutti insieme e creiamo il ritmo che proprio per questi dialoghi è importantissimo. Quentin conosce la musica che utilizzerà, il ritmo che vuole imprimere, ed è già tutto in quelle pagine. Quando poi siamo sul set, in costume, tutto diventa ancora più magico perché vedi che tutto quello che hai provato funziona perfettamente. L'atmosfera sul set, con la troupe e con gli attori è qualcosa di eccezionale ed incredibilmente creativo; i set cinematografici sono luoghi che adoro, quelli di Quentin in particolare.
Cristoph Waltz: In realtà non penso che vi sia molto chiaro il ruolo dell'attore in un film di Tarantino. L'improvvisazione in alcuni casi è certamente una virtù, ma per me una sceneggiatura di Quentin è come un'opera di Chechov o Shakespeare, come potrei io decidere di cambiare qualcosa? Proprio come Wagner, che prima citavamo, Quentin ha un linguaggio che è fatto di immagini, musiche e parole, perché dovrei interferire col suo lavoro?
Quentin Tarantino: In realtà quando facciamo le prove per metà del tempo leggiamo e troviamo il giusto ritmo delle battute, ma per l'altra metà del tempo scaviamo a fondo nei personaggi, discutiamo le relazioni tra essi, le loro backstory, ovvero come si sono incontrati, o come poteva essere, ad esempio, la vita di Django e Brunilde da bambini, cosa è successo quando si sono conosciuti. Lo trovo molto importante per gli attori, perché così capiscono perfettamente il loro passato e il loro personaggio. Non sono cose che il pubblico deve conoscere, ma solo gli attori, serve a dare a quei personaggi una vita propria.
Chi preferisce tra i due maestri dello spaghetti western, Sergio Corbucci o Sergio Leone? Quentin Tarantino: Sono due dei miei registi preferiti, non posso scegliere, perché hanno creato questo genere insieme proprio grazie alle loro differenze. Leone si occupava di grandi epiche, Corbucci era più prolifico e le sue visioni ci hanno regalato film magari più modesti ma altrettanto importanti. Se li unisci hai un perfetto bilanciamento e solo così hai il genere spaghetti western.Quanto c'è del Django originale nel suo film? Quentin Tarantino: Ci sono certamente dei rimandi, ed entrambi in fondo parlano di razzismo e genocidio, ma non ho cercato di rifare quel film, non era quello che mi interessava. Io avevo una mia storia che volevo raccontare, volevo parlare di un certo periodo americano, semplicemente l'ho chiamato così perché per me il nome Django è sinonimo di spaghetti western, di quel tipo di violenza e surrealismo che volevo far mio. E chiamando Franco Nero sul set ho voluto fare una sorta di passaggio di testimone, quasi si passassero il cappello.
Franco Nero, com'è stato lavorare con Tarantino? Franco Nero: Quentin è uno dei pochi registi americani ad essere un autore totale, ovvero a scrivere e dirigere. Lavorare con lui è stato un piacere, anche perché traspare sempre la sua grande passione: sul set per esempio diceva "Bella questa scena, però ne facciamo un'altra perché a noi piace fare cinema!"; vuole la perfezione, qui lo vedete che scherza e ride, ma sa sempre quello che vuole. Sul set poi metteva spesso la musica del Django originale, per me era un vero e proprio onore.Il personaggio di Django è già una nuova icona western. Quanto si è impegnato e divertito a creare questo nuovo eroe moderno? Jamie Foxx: Io sono del Texas, ho passato tutta la mia infanzia a guardare film western o serie tv come Bonanza. Per me quindi è stato un vero e proprio sogno, soprattutto quando poi Quentin mi ha detto che dovevo andare a cavallo. A quel punto gli ho chiesto il permesso di usare la mia cavalla ed è stato bellissimo vedere crescere insieme lei e il mio personaggio, vedere entrambi trasformarsi e diventare dei veri eroi western.
Ci può parlare del suo nuovo film, Killer Crow? Dalle prime voci circolate dovrebbe parlare dello sbarco in Normandia, quindi un nuovo capitolo della trilogia che racconta la storia dalla parte delle vittime? Quentin Tarantino: Non so se ci lavorerò subito o se prima lavorerò ad un altro progetto, non ho ancora deciso. In ogni caso ho scritto già metà della sceneggiatura, perché inzialmente faceva parte della versione di Bastardi senza gloria da sei ore, quando volevo farne una miniserie. Penso che sarà interessante perché in realtà inizia in Normandia, ma il giorno successivo allo sbarco, quando i soldati di colore americani dovevano ripulire la spiaggia dai cadaveri. I prigionieri tedeschi scavavano le fosse e questi soldati li controllavano, ma con pistole senza proiettili perché gli altri americani non si fidavano di lasciarli con delle pistole cariche. Eravamo negli anni '40 ma come vedete anche allora la situazione non era poi tanto diversa.
Questa sera ci sarà la premiere a Roma, qual è il suo rapporto con l'Italia e il cinema italiano?
Quentin Tarantino: Come sapete sono un grande fan, nei miei ultimi film ho evocato spesso il cinema italiano di genere. E proprio adesso sto collaborando ad un libro di critica su Corbucci. Già alla premiere di Bastardi senza gloria ho potuto incontrare giganti del cinema di genere come Umberto Lenzi, Gloria Guida, Barbara Bouchet, Sydne Rome ed Edwige Fenech. Per me è stato qualcosa di incredibile, è come incontrare gente dai film muti, è un qualcosa di magico. E stasera ci sarà anche Ennio Morricone, sarà una festa con gli dei.