Woody e il cast a Cannes per Match Point

Il regista newyorkese - accompagnato da Johansson, Rhys-Meyers e Mortimer - ha incontrato i cronisti dopo la presentazione fuori concorso del suo ultimo lavoro.

Woody Allen è a Cannes per presentare il suo ultimo lavoro, l'atipico thriller Match Point, in cui il regista newyorkese ha voluto omaggiare l'opera di Fëdor Dostoevskij. Accanto al grande Woody, in conferenza stampa, ci sono i giovani protagonisti del film, la radiosa Scarlett Johansson, la delicata Emily Mortimer e l'aitante Jonathan Rhys-Meyers.

Come mai una storia così cinica, il racconto di un crimine? Woody Allen: Ero interessato, forse più superficialmente, nella parte dell'intreccio riguardante l'omicidio, nell'analizzare i motivi per cui qualcuno potrebbe uccidere un innocente per coprire il suo precedente delitto.
Una delle tragedie del film, e una delle tragedie della vita, è il fatto che tantissimi innocenti siano vittime di crimini commessi nel nome del "bene dell'umanità"; credo che sia una terribile verità sulla vita che alcune persone possa agire in questo modo e restare impunite.

Come mai ha voluto girare questo film a Londra? Come si è trovato con gli atttori britannici? Woody Allen: Mi sono trovato molto bene a lavorare a Londra, la produzione è stata generosa e comprensiva e non ha crecato di interferire con le riprese. Ho lavorato per decenni negli Stati Uniti, e diventa sempre più difficile mantenere l'indipendenza del progetto, perché gli Studios pretendono di essere coinvolti. Non vogliono essere considerato come una banca che si limita a finanziare, vogliono dire la loro sulle scelte di casting, sulla sceneggiatura, vogliono buttare un occhio sul filmato giornaliero... io non ho mai lavorato così e non ne sare capace. Non faccio leggere lo script, non accetto interferenze sul casting, non voglio parlare con nessuno; voglio solo i soldi, e dopo qualche mese gli do il film, tutto qua!
Per quanto riguarda i rapporti con gli attori, io non capisco la differenza tra la pronuncia di un inglese, quella di un irlandese o quella di un australiano, mi manca l'orecchio. Quello che so è che per me parlano tutti in maniera meravigliosa, dopo aver lavorato con attori americani per tanto tempo. Non c'è una differenza così sostanziale, se sono bravi lo sono sia che siano americani che inglesi; ma gli inglesi mi sembrano avere un vantaggio, non so se genetico e dovuto alla loro preparazione.

Scarlett, che le è parso del personaggio di Nola? Scarlett Johansson: Il personaggio mi è piaciuto subito, altrimenti non avrei fatto il film. Non saprei se è il caso di definirla una femme fatale. E una ragazza molto sexy, e come tutte le donne quando vuole qualcosa fa di tutto per ottenerla.

Emily Mortimer, come si è sei trovata a lavorare con Wooody? Emily Mortimer: E' stata l'esperienza più entusiasmante di tutta la mia carriera. Woody non fa prove, non perde molto tempo ad analizzare la scena prima di iniziare a filmarla. All'inizio questo approccio è preoccupante, ma una volta fatta l'abitudine diventa stimolante, perché sei portato a concentrarti, ad ascoltare gli altri, ad essere "in the moment".

Jonathan Rhys-Meyers, stessa domanda? Jonathan Rhys-Meyers: Woody rimette tutta la fiducia possibile nelle persone che sceglie per lavorare ai suoi film, e questa fiducia responsabilizza. Sei sempre attento ad avere la giusta intonazione, l'atteggiamento giusto per la scena. Per un attore è un bel modo di lavoarare, perché ci si stente più partecipi. Certo, se stai sbaglaindo, Woody te lo dice, ma normalmente, no, non parla molto.
E' un regista con cui è facile lavorare, ma certo ha un'enorme esperienza che t'induce ha fare affidamento assoluto su di lui: non succede con tutti i registi. Woody ha alle spalle una lunga carriera non solo come regista, ma anche come sceneggiatore e attore.

Woody, i prossimi progetti? Woody Allen: Il mio prossimo film (che vedrà ancora Scarlett nel cast) sarà una commedia, lo girerò ancora a Londra; stavolta ci sarà anche un ruolo per me. Non smetto mai di lavorare perché per me è un'esigenza: girare film mi distrae e se smettessi cadrei in depressione. Sono una specie di malato mentale quando non giro; lavorare è la mia terapia.
Non faccio film per soldi o per abitudine, li faccio per me stesso e per vedere che cosa ne viene fuori. Se il mio lavoro è apprezzato ne sono lieto, se non piace fa nulla, per un anno mi sono distratto immergendomi in una storia e mi sono divertito. Ritrovarmi nel mondo reale è spiacevole, infatti, finito un film, comincio subito a pensare al progetto successivo.