Wonder Woman è l’ambasciatrice di una rappresentazione femminile in continua evoluzione

Con l'uscita al cinema della Wonder Woman intepretata da Gal Gadot, vi proponiamo una riflessione sulle novità che questo personaggio ha apportato nella rappresentazione della femminilità supereroistica sul grande schermo.

Wonder Woman: Gal Gadot in un momento del film
Wonder Woman: Gal Gadot in un momento del film

Nell'anno in cui Sofia Coppola diviene la seconda donna della storia a essere premiata a Cannes per la migliore regia, e nell'anno in cui in tv escono show come Feud, Big Little Lies - Piccole grandi bugie e The Handmaid's Tale, la rappresentazione femminile esplode nel cinema dei grandi numeri con Wonder Woman che, fatta eccezione per i mediocri se non orrendi Catwoman ed Elektra, è la prima supereroina dei nuovi universi narrativi Marvel e Dc Comics a essere onorata da un film interamente suo. Così - che lo si voglia o meno - la Principessa delle Amazzoni nel 2017 fa fede al Dna del suo personaggio e catalizza un cambiamento, diventa ambasciatrice di uguaglianza perché come le sue controparti maschili guarda, desidera, fallisce e vince.

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Wonder Woman: Gal Gadot in un'immagine tratta dal film
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L'archetipo e il privilegio

Conosciamo Diana bambina, con una zia e una mamma che l'hanno allevata tra l'amore e la guerra; la osserviamo, seppure per poco tempo, crescere e apprendiamo che vuole superare i confini del suo mondo. Così, quando Themyscira viene penetrata più o meno letteralmente da Steve Trevor, la identifichiamo in modo inconscio con la Sirenetta archetipica di Andersen: salva un uomo dalle acque, si lascia rapire con consapevolezza dal suo fascino e decide di varcare la soglia. Da adolescente diventa donna, sfida le perplessità materne e mette piede in una società che non riconosce ma soprattutto che non la riconosce. Deve cominciare daccapo. Il privilegio di figlia e principessa che fino a quel momento era quasi sentito come un peso diventa occasione di rivendicazione continua, perché lontana dall'isola fatata la protagonista deve combattere di continuo per l'affermazione della sua identità. Si incazza, non indietreggia, mostra carattere e intelligenza pur mancando per tutto il tempo di flessibilità (la sua lezione finale sarà proprio questa: adattarsi).

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"Le donne" non esistono perché ogni donna è se stessa, persino Wonder Woman

WW
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Eppure la principessa delle Amazzoni creata da William M. Marston - tale è, e tale rimane sempre - non è mai "le donne": è se stessa. Il film di Jenkins schiva come un proiettile il trappolone del messaggio urbi et orbi costruendo il personaggio in due modi. Da un lato si serve delle contraddizioni: non femme fatale e non monaca, scopriamo che Diana non disprezza il sesso con gli uomini anzi ha letto una serie di volumi con la curiosità morbosa propria di molte bambine; che essere bella le piace, ma ancora di più le piace indossare abiti che la rappresentino; che vuole salvare l'umanità ma si sconvolge e commuove per il sapore di un gelato; che parla dodici lingue ma la nozione di contegno rispetto al contesto le è aliena. Dall'altro lato Wonder Woman è scolpita dalla dialettica con il (buon) comprimario maschile Steve Trevor: è attraverso ciascuna delle scene in sua compagnia che entriamo in contatto con le molte sfaccettature, o contraddizioni di cui sopra, della supereroina. L'amore tra i due è fertile dal punto di vista narrativo e anche emotivo; del resto non si vede perché alla donna forte debba essere sottratta la componente sentimentale in nome di non si sa quale misteriosa forza. Un diktat che sembra più avere a che fare con la visione maschile di un fantomatico femminismo duro e puro che altro.

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Wonder Woman: Gal Gadot sul set
Wonder Woman: Gal Gadot sul set

Ed è essendo se stessa senza sovraccaricarsi di significati ecumenici e grottescamente eversivi che Wonder Woman riesce a essere un veicolo efficace per ogni ragionamento su una rappresentazione evoluta che possa basarsi, appunto, sulla realtà: né "cazzuta" né uterina, né puttana né pura, né infallibile né idiota questa particolare donna è iconica solo nella misura in cui è felicemente controversa, solo nella misura in cui dentro di lei coesistono istanze non conciliabili all'apparenza. È qui che il film riesce, in questa precisa dimensione. Tanto che al netto delle imperfezioni della pellicola, non è possibile minimizzarne la portata storica.

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Un passo avanti da non ridicolizzare

Wonder Woman: un'immagine tratta dal film
Wonder Woman: un'immagine tratta dal film

Un giorno il ritratto di questa creatura insicura e celestiale forse ci sembrerà primitivo (speriamo, almeno, di arrivare a quel punto); intanto è un passo avanti epocale. Il film di Jenkins poteva avere come protagonista Superman con le tette ma non è stato così; poteva avere una piccola bellissima ma piatta dea e invece ha restituito alle platee una femmina tutto sommato tridimensionale, divisa tra la favola e la politica. Di nuovo: ragioniamo sui buchi di sceneggiatura quanto ci pare ma non declassiamo Wonder Woman alla sola vivisezione da salotto perché vorrebbe dire ignorare l'elefante nella stanza. È la prima supereroina su grande schermo ed è una persona, non un pezzo di cartone, non uno stock character. Vittoria. E che dal suo male orchestrato universo cinematografico discendano non una, non dieci ma cento guerriere a tutto tondo, lontane dagli stereotipi e dalle prese di posizioni monolitiche di chi decide a tavolino quel che una donna - o una supereroina - dovrebbe essere.