Ci sono grandi imprese che vanno oltre quelle di eroine amazzoni alle prese con antiche maledizioni e antagonisti disperati. Ci sono imprese più ardue di un secondo capitolo all'altezza del primo. Sì, perché scrivere questa recensione di Wonder Woman 1984 ha il retrogusto di un traguardo agognato a lungo. Abbiamo finalmente visto un film sciagurato, rimandato di continuo, prima previsto in sala per l'estate 2020, poi slittato a dicembre 2020 e poi ancora scivolato verso il miraggio della sala a gennaio 2021, e da oggi disponibile per il noleggio su varie piattaforme streaming. Un percorso travagliato, più minato dei campi di battaglia solcati da Wonder Woman in trincea, che sicuramente non ha agevolato la percezione di un cinecomic che abbiamo tutti avvertito come "sorpassato" ancora prima di vederlo. Colpa di una campagna pubblicitaria lunga tanti (troppo) mesi, di un universo cinematografico DC allo sbando e privo di un futuro chiaro, di un impatto estetico che sembrava "vintage" sin dai primi filmati.
Però i supereroi ci hanno sempre insegnato a non avere pregiudizi, ad andare oltre le apparenze e puntare al cuore delle cose. Come Diana si lascia alle spalle il mondo ovattato di Themyscira per lanciarsi nel mondo reale, noi ci siamo tuffati in questo sequel a mente sgombra. Ecco com'è stato tornare negli anni Ottanta con questa nuova fiaba dedicata a una donna col superpotere della nostalgia.
Ottanta nostalgia
Il mondo è andato avanti, Diana no. Nel 1984 gli Stati Uniti d'America sono immersi dentro un frullatore in cui benessere, edonismo, ambizioni e consumismo danno vita a un drink da bere senza troppi pensieri. Un'opulenza collettiva che sfocia in un desiderio tartassante di successo. Lo sa bene Max Lord, ambiguo imprenditore petrolifero che promette alla gente di migliorare le loro vite investendo su di lui. Ne fa le spese Barbara Minerva, gemmologa e zoologa, nuova e stralunata collega di Diana Prince che non riesce a integrarsi in una società che bada troppo alle apparenze e poco alla sostanza. In mezzo a questi due nuovi personaggi insoddisfatti e frustrati, spicca una Diana innamorata di un ricordo svanito. Ancora legata a Steve Trevor, Diana si muove come un fantasma, lontana da tutto e tutti, rinchiusa nella sua bolla nonostante la sua bellezza divina la esponga alla stima e ai desideri altrui. E a proposito di desideri, ecco piombare un quarzo magico, capace di esaudire l'impossibile. Una tentazione alla quale è difficile sfuggire, che tu sia una persona insoddisfatta oppure una dea con la nostalgia di un passato che non può tornare indietro. È facile intuire come nelle dinamiche di base questo Wonder Woman 1984 riprenda la natura fiabesca del suo predecessore. Se nel primo film avevamo una principessa di un altro mondo che sporcava il suo candore scoprendo il mondo degli uomini, questa volta abbiamo a che fare con incantesimi, riapparizioni magiche e personaggi maledetti.
A cambiare, però, è il tono con cui tutto questo viene raccontato. Un tono volutamente "anni Ottanta" nella spensieratezza, nell'ingenuità delle svolte narrative, nel registro scanzonato di alcune sequenze. Una scelta che vuole sicuramente celebrare un immaginario amatissimo, ma che si espone a un effetto collaterale inevitabile: la nausea del pubblico. Quello degli anni Ottanta è davvero un immaginario troppo stropicciato da film e serie tv nell'ultimo decennio. E diciamolo: ricreare la magia, la purezza e il ritmo di quel cinema fantastico non è cosa da poco. Per quanto sia apprezzabile la scelta di trovare in quel decennio la radice di atteggiamenti e desideri tossici ancora presenti nella nostra società, il risultato non premia le intenzioni.
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L'imprenditore, la ribelle e la Dea
Uno dei problemi più lampanti di questo Wonder Woman 1984 è la gestione dei personaggi. Da una parte tra Diana e Steve si ricrea la stessa dinamica del primo film (ma ribaltata), con lui catapultato in un'epoca straniante e lei a fargli da guida. Peccato che la buona sintonia tra una Gal Gadot sempre splendida nella presenza scenica e Chris Pine non sia supportata da una scrittura in grado di rendere godibili sia le loro (poche) gag che i momenti più sentimentali. Dall'altra Jenkins azzarda nel voler raccontare l'origin story di ben due antagonisti, finendo per banalizzarli senza dare a Lord e Minerva lo spessore che avrebbero meritato. Tutto il film sembra un grande "vorrei, ma non posso", con tanti temi interessanti abbozzati di continuo, ma destinati a un trattamento frettoloso e superficiale. Sulla carta la critica al miraggio dell'autoaffermazione occidentale era davvero vincente, soprattutto se declinata attraverso un attore talentuoso come Pedro Pascal, qui vittima di un personaggio parodistico e troppo sopra le righe. Stesso discorso per il confronto tra due modelli femminili diversi: tra chi è libera ed emancipata nella sua superiorità dal becero mondo maschile e chi invece insegue l'approvazione di quello stesso mondo, cadendo in una trappola sempre molto attuale. Jenkins indica la via, ma non percorre la strada sino in fondo. E ogni volta che un personaggio è messo dinanzi a un bivio, tutti sappiamo quale percorso verrà imboccato.
Una scomoda verità
Wonder Woman 1984 è un grande inno al valore salvifico della verità, un grande schiaffo alle bugie che diciamo e soprattutto ci raccontiamo per illuderci di essere felici. E con il lazo d'oro ben stretto attorno alle nostre mani mentre scriviamo la nostra recensione, siamo onesti nell'ammettere che nemmeno l'azione riesce a essere all'altezza del primo film (che esce sicuramente rinvigorito dal confronto con questo scialbo sequel). Lo stile di combattimento di Wonder Woman si avvicina sempre di più a una specie di coreografia armonica, una danza acrobatica in cui si sente pochissimo il peso specifico di calci, pugni e scivolate. Non aiuta una CGI che mostra il fianco in diversi punti e una Gadot più in difficoltà che in passato nel dare la giusta possanza fisica ai colpi durante duelli e inseguimenti. Peccato soprattutto per quella che doveva essere la scena-madre del film, a livello metaforico potente e significativa, ma sabotata da una messa in scena non all'altezza. Una sequenza che ci ha fatto venire un grande dubbio: era forse un voluto omaggio al primo, mitico Superman di Richard Donner o semplicemente una scena realizzata in maniera goffa e posticcia? E soprattutto: è Wonder Woman 1984 a essere fuori tempo massimo o sono i nostri occhi a essere diventati allergici a questo cinema così derivativo, citazionista e pieno di un'ingenuità che ormai non ci appartiene più? A ognuno il proprio lazo a cui aggrapparsi. A ognuno la propria verità.
Conclusioni
Un film sfortunato nelle premesse e nella resa. È questa l’amara verità a cui siamo arrivati nella nostra recensione di Wonder Woman 1984. Un film fuori tempo massimo che prova a sfruttare un immaginario abusato come quello degli anni Ottanta per sfornare un cinecomic che sembra uscito da quegli anni per tono e ingenuità, ma senza il ritmo e la magia di quel cinema fantastico. Non aiutano gli effettivi visivi scadenti, la scrittura superficiale di due antagonisti incolori e un ritmo altalenante. A uscirne vincitore è solo il primo Wonder Woman.
Perché ci piace
- L’intesa spontanea tra Chris Pine e Gal Gadot.
- Alcuni spunti tematici sono davvero interessanti…
Cosa non va
- …ma vengono sprecati da un trattamento troppo superficiale.
- Gli effetti visivi sono carenti in diversi punti.
- L’immaginario anni Ottanta ha davvero stancato.
- Il ritmo di un film che fatica a decollare.