Una donna viene smascherata dopo un furto. Poco dopo capiamo che la scena stessa è un mascheramento, perché si tratta della scena di un film nel film. Pura e semplice finzione. Iniziamo questa recensione di Wife of a Spy rievocando le stesse immagini con cui Kiyoshi Kurosawa ha deciso di aprire il suo ultimo film, in concorso dalla 77esima Mostra del Cinema di Venezia. Un prologo emblematico, che rivela il tema fondamentale del primo film ambientato nel passato del prolifico regista giapponese.
Ambientato nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, Wife of a spy racconta quanto le illusioni possano essere utili per sopravvivere, come la prospettiva del nostro sguardo sul mondo sappia mettere a fuoco solo quello che ci fa più comodo. Durante una guerra, poi, la finzione rischia di diventare persino un comodo rifugio in cui rintanarsi. Ed è proprio nel cuore di questo nido domestico che Kurosawa va a sbirciare per raccontarci l'amore che resiste all'orrore.
La forza del reale
Kobe, 1940. Il Giappone sta per entrare in guerra. L'ombra del conflitto si allarga ogni giorno di più, creando tensioni, sospetti e timori sempre più pressanti. Un effetto domino che ricade anche su l'agiato mercante Yusaku Fukuhara e sua moglie Satoko. Gli occhi del rigido esercito giapponese si posano sulla coppia, da sempre affascinata dalla cultura occidentale e in contatto con clienti europei. Preoccupato dalla situazione sempre più incrinata, Yasaku parte da solo in Manciura (una regione dell'Asia nord-orientale), tornando a casa con molti fardelli sulle spalle.
La trama di Wife Of A Spy riassume bene i contrasti rintracciabili nell'ultima fatica di Kiyoshi Kurosawa. Un film che vive di tensioni, ma che tensione vera non ne trasmette davvero quasi mai, visto che il tono pacato, mai ficcante, sempre molto (troppo?) distaccato. Almeno sino a un finale in cui il dramma finalmente esplode. Storia di un conflitto nel conflitto, Wife of a spy prima mostra due cittadini messi alle strette da uno Stato invadente e poi inizia a mettere alla prova una moglie e un marito alle prese con la loro idea di fedeltà e complicità. Il loro idillio domestico ovattato e sereno, in cui due amanti giocavano persino a fare cinema, poco per volta si sgretola, messo alla prova da una realtà balorda che irrompe senza chiedere permesso.
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La finzione come antidoto
Se la storia procede in maniera molto lineare, senza picchi, colpi di scena e svolte particolarmente significative, è perché Kurosawa ha il coraggio di affrontare un genere come la spy story da un punto di vista più intimo. Quasi totalmente privo di azione, Wife of a spy è un film sottile, che vive di sfumature, sguardi, sospiri, parole non pronunciate più che dette. Il che non significa che sia un film lento e pieno di silenzi come vorrebbe la tradizione di un certo cinema orientale, perché tutto scorre in maniera fluida, sostenuto da una sceneggiatura solida, senza sbavature ma anche povera di guizzi. Purtroppo non eccelle anche la messa in scena, a causa di una fotografia poco evocativa (a tratti per niente ispirata) e una scenografia spoglia, perché lontana dalla rievocazione di un dramma collettivo. Kurosawa predilige muoversi dentro gli interni, affondare il colpo nell'intimità di una donna alle prese con la sua percezione della realtà. È evidente che il regista abbia usato l'incombere della guerra come pretesto per scuotere una relazione, interrogare una donna e chiederle cosa significhi per lei essere davvero felice.
All'inizio conosciamo una Satoko che adora suo marito, non a caso attrice dei film diretti dal compagno, mossa dalla mano di un marito a cui stare sempre accanto. Poi dubbi e gelosie irrompono, fanno cadere maschere, la mettono spalle al muro per guardare finalmente in faccia la vera natura dei suoi sentimenti. Il suo idillio familiare è autentico o è solo un bel film girato assieme a suo marito? Il loro amore è abbastanza solido da affrontare i dolori di una guerra? Le risposte di Kurosawa vanno rintracciate nei dettagli, perché Wife of a spy non sottolinea mai le intenzioni e i sentimenti dei suoi personaggi. Tutto è immerso in una rigidità culturale tipica di quel Giappone degli anni Quaranta. Una freddezza che diventa anche relazionale e di conseguenza emotiva, che lascia tiepidi come un film in cui sbirciamo nel cuore di una persona senza mai entrarci davvero.
Conclusioni
Nella nostra recensione di Wife of a spy siamo rimasti alquanto tiepidi davanti al film di Kiyoshi Kurosawa. Una spy story intima, che rinuncia all'azione per raccontare il dramma della Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi di una coppia costretta a testare la forza del proprio amore. Un'opera senza sbavature, ma anche priva di una carica emotiva capace di coinvolgere e di colpi di scena in grado di appassionare.
Perché ci piace
- Il coraggio di affrontare una storia di spionaggio puntando sull'intimità dei personaggi.
- L'utilizzo del cinema come allegoria molto significativa nell'economia del racconto.
- Il film scorre in maniera gradevole...
Cosa non va
- ...ma senza guizzi, colpi di scena e svolte davvero appassionanti.
- La fotografia non è affatto ispirata.
- Risulta difficile entra davvero in completa empatia con i personaggi.