Wham!, la recensione: il documentario che mostra come siamo ancora ostaggi del Club Tropicana

La recensione di Wham!, il documentario di Netflix grazie al quale il fenomeno musicale degli anni Ottanta non solo viene recuperato e ri-narrato, ma viene insignito di una valenza che va oltre l'aspetto musicale per toccare quello culturale di un'intera generazione.

Wham!, la recensione: il documentario che mostra come siamo ancora ostaggi del Club Tropicana

Siamo così abituati a progettare su lungo raggio, da dimenticarci quante cose si possono realizzare nell'arco di pochi anni. Proprio per questo settaggio mentale, consideriamo la conclusione anticipata di una storia d'amore, di un contratto di lavoro, o di un corso di studio, come una sorta di insuccesso; si innesca a livello inconscio un processo che vuole la durata, e non il contenuto, l'essenza primordiale da giudicare.

Come sottolineeremo in questa recensione di Wham!, il documentario diretto da Chris Smith (e disponibile su Netflix) dimostra quanto a volte lo scorrere del tempo sia una mera questione irrilevante. Nonostante il legame artistico del duo composto da Andrew Ridgeley e Geroge Michael (all'anagrafe Georgios Kyriacos Panayiotou) sia durato solo cinque anni, l'eredità lasciata ai posteri dai due consta di un valore incommensurabile.

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WHAM!: una scena del documentario

Come mani che lasciano il segno su blocchi di cemento da consolidarsi, i brani degli Wham! riecheggiano senza tempo, fino a diventare trend virali su piattaforme social come TikTok ("Wake Me Up Before You Go-Go"), o inni natalizi da cantare a squarciagola anno dopo anno ("Last Christmas"). Ma oltre a quella puramente musicale, vive negli inframezzi della (seppur beve) carriera del duo inglese un'eredità molto più profonda, che va ad attecchirsi nel sottosuolo culturale. Stanchi dell'austerità di una generazione come quella dei propri padri, che viveva in un mondo monocromo, freddo e severo, gli Wham! hanno saputo fare della propria voce uno strumento di rivoluzione. Grazie a sonorità suadenti, vestiti colorati, e un'apertura sessuale tipica di quegli anni Ottanta così eccentrici, e così contraddittori, Ridgeley e Michael hanno ribaltato usi e costumi del tempo, rispolverando una cultura pop ora sdoganata e alimentata di nuova linfa vitale.

E così il grigio dell'Inghilterra Thatcheriana lascia spazio a mille sfumature differenti, quelle di un arcobaleno che ancora illumina il nome degli Wham (e dello stesso George Michael) consolidando un successo imperituro che con obiettività e senso critico lo stesso Smith recupera, racconta e restituisce in un documentario da non perdere.

Wham!: la trama

Dall'incontro tra i banchi di scuola ai vertici delle classifiche, il documentario Wham! racconta la storia di George Michael e Andrew Ridgeley, entrati nell'immaginario collettivo come icone degli anni '80 e non solo. Un viaggio sulla scia del ricordo e della (ri)scoperta di un duo fattosi fenomeno musicale e culturale.

Il potere rivoluzionario della voce

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WHAM!: George Michael in una foto durante il tour in Cina

Nascita, ascesa e rottura: senza elementi di distrazione, o informazioni superflue, Chris Smith riesce a condensare nell'arco di un'ora e mezza i tre momenti salienti che hanno caratterizzato la vita quinquennale degli Wham!. Nulla viene ignorato, o lasciato al caso, ma tutto viene toccato, spiegato e analizzato con la potenza di un materiale di repertorio lasciato scorrere sullo schermo come una conferma visiva di quanto narrato in voice-over dagli stessi Ridgeley e Michael. Nessuno sguardo in camera, ma un recupero ammaliante di volti presi in prestito da un passato indimenticabile: l'intuizione di sfruttare ancora una volta quelle voci che hanno saputo imporsi nell'immaginario collettivo permette agli spettatori di immergersi con ancor più facilità all'interno del mondo degli Wham!.

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WHAM!: George Michael e Andrew Ridgeley in una foto

Senza alcun volto a cui ancorarsi, tra fotografie, interviste (molte delle quali rare, o addirittura inedite) e materiale d'archivio, la linea autoriale adottata da Smith verge tutta verso una linearità narrativa con la quale facilitare il processo di coinvolgimento spettatoriale all'interno del proprio documentario. Così facendo risulta semplice per il pubblico seguire le varie fasi che hanno portato il duo inglese dall'essere semplici compagni di scuola, a uno dei gruppi più amati degli anni Ottanta. Un'iconicità immutata e lontana dall'essere scalfita dall'usura del tempo, che il regista tenta di spiegare, analizzare, senza per questo cadere in indagini sociali complesse e intellettualmente oscure.

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WHAM!: George Michael e Andrew Ridgeley in una foto in piscina

Era un mondo, quello degli Wham!, spensierato, allegro; un involucro ammantato da una superficie esterna che intendeva opporsi all'austerità genitoriale, ma che al contempo nascondeva una soppressione dei propri sentimenti e della propria individualità. E così la propria sessualità, e la propria libertà di amare, è stata per George Michael una moneta da pagare in cambio del proprio successo e della propria ambizione. Un aspetto che Smith riesce non solo a reduplicare sotto forma di materiale documentaristico, restituendo sia quella leggerezza che viveva tra le note degli Wham!, quanto quel nucleo doloroso che si celava nello spazio dei versi dei loro brani. Più che nella sua resa estetica, il documentario di Netflix colpisce nell'estrema delicatezza con cui traccia le emozioni e le portate sentimentali che hanno scandagliato le tappe fondamentali della costruzione del fenomeno Wham!.

Scrapbook di momenti eterni

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WHAM!: George Michael e Andrew Ridgeley in una scena del documentario

Accanto alla scelta di seguire l'arrivo della band in territorio cinese per il tour del 1985 (una storia, questa, spesso ignorata, e raccontata prima di Smith da Lindsay Anderson in Wham! in China: Foreign Skies) e la congiunzione dei vari blocchi narrativi con cui si re-immagina il documentario come una specie di scrapbook (o "album di ritagli") simile a quello tenuto dalla mamma di George Michael, il regista riesce a cogliere la psicologia dei propri protagonisti, solo giustapponendo i loro ricordi sotto forma di Voice-over, con attimi immortalati dalla lente di una cinepresa, o di una macchina fotografica. Ciò che ne risulta è il commento a posteriori di un sogno divenuto realtà: un materiale sottratto dall'universo onirico e ora offerto in dono a una quotidianità non dissimile da quella degli anni Ottanta, così da essere rivisto, riascoltato, o più semplicemente riscoperto prima che la parola "fine" compaia sullo schermo e noi tutti ci svegliamo prima che la musica scompaia.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Wham! sottolineando come il documentario di Chris Smith per Netflix riesca a racchiudere nello spazio di un'ora e mezza non solo la nascita, ascesa e rottura di un duo come quello inglese, ma si dimostri capace di sottolineare la potenza di un fenomeno sociale e culturale come quello lasciato dalla band di George Michael e Andrew Ridgeley. Un viaggio alla scoperta non solo degli Wham! ma di tutti i primi anni Ottanta compiuto sull'onda dei materiali di repertorio e della voce degli stessi protagonisti.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.6/5

Perché ci piace

  • L'uso in voice-over dei racconti di Geroge Michael e Andrew Ridgeley.
  • L'assenza degli sguardi in camera, o di volti a cui ancorarsi, prediligendo quelli immortalati dai materiali di archivio.
  • La capacità di raccontare tutto in un'ora e mezza, senza per questo tralasciare nulla.
  • La capacità di toccare sia il lato artistico, che personale del duo.

Cosa non va

  • La mancanza di uno sguardo ai giorni nostri, e quanto sia cambiato il fenomeno Wham! fino a oggi.