"Elementare, Watson". Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase, entrata di diritto nel parlato comune e partita da una citazione del più grande giallista di tutti i tempi, Sir Arthur Conan Doyle. Questo perché identificava entrambe le facce della medaglia del racconto: da un lato il detective dilettante più famoso di sempre, Sherlock Holmes. Dall'altro il suo partner in crime e sostanzialmente biografo dato che si è preso la briga di narrare tutte le loro avventure investigative, John Watson.

Un mito che è stato scritto e riscritto svariate volte, soprattutto negli ultimi anni in cui c'è stata una riscoperta del giallo deduttivo tra grande e piccolo schermo. L'ultima in ordine di tempo è la serie Watson, una rilettura moderna dell'altra parte del duo, dal 19 agosto in prima serata in esclusiva su Canale5 e in streaming solo su Mediaset Infinity.
Watson: quando il Dottore diventa il protagonista
Uno dei passaggi più celebri nella storia letteraria di Sherlock Holmes è la sua morte insieme all'arcinemico James Moriarty sotto le Cascate di Reichenbach in Svizzera ne Il problema finale (e relativa risurrezione tre anni più tardi ne La casa vuota). Raramente però ci è stato raccontato cosa accade in quegli anni di silenzio, anche perché il racconto si è sempre concentrato sull'investigatore.

Cosa succede se la prospettiva cambia e diventa quella del co-protagonista, il fido Dr. Watson? E cosa accade se quest'ultimo ha provato ad aiutare l'amico finendo sott'acqua? Si risveglia a Pittsburgh come unico sopravvissuto, con una brutta commozione celebrale e con una clinica prestigiosa da mandare avanti, come ultimo desiderio dell'amico che gli ha lasciato una cospicua somma di denaro a questo scopo.

Non solo: il tempo che ha passato all'estero per aiutare Sherlock lo ha allontanato dalla moglie Mary Morstan, da cui ora è separato ma che gli è rimasta accanto a livello professionale come direttrice sanitaria. Siamo ai giorni nostri, tra e app e smartphone, proprio come nello Sherlock britannico.
Quando il murder mystery incontra il medical drama

È Watson stesso ovviamente a selezionare il meglio del meglio per la squadra, e sono tutti a proprio modo un esperimento sociale come avrebbe detto il buon Holmes, presenza/assenza costante del serial. Abbiamo la misteriosa neurologa Ingrid Derian (Eve Harlow, la più interessante del gruppo), gli infettivologi fratelli gemelli Stephens e Adam Croft (entrambi interpretati da Peter Mark Kendall), l'immunologa e reumatologa Sasha Lubbock (Inga Schlingmann) e l'ex criminale che il vecchio compagno di avventure aveva riabilitato, Shinwell Johnson (Ritchie Coster). Tutti disadattati a modo proprio e con dei segreti da nascondere.

Siamo stati abituati, da Dr. House in poi, a svariati medical drama in cui la scoperta della malattia rara di turno diventava una vera e propria indagine. Un mistero da risolvere: questo è reso particolarmente evidente nella serie, che mescola in modo trasparente i due generi per provare a creare un nuovo ibrido d'intrattenimento. Per stessa ammissione di Watson alla squadra: "Non dovete fare i medici ma i detective". Tutto il passato che proviene dai romanzi e quindi dalle esperienze vissute dal duo viene insomma riutilizzato per il nuovo protagonista.
Riscrivere la storia

È un gioco a coppie scoppiate quello messo in atto dallo showrunner Craig Sweeny in Watson. Non solo Watson & Sherlock (che vedremo nella stagione 2, già ordinata, interpretato da Robert Carlyle) ma anche Watson e la moglie, da sempre coppia inossidabile nei romanzi e qui in pezzi. Morris Chestnut e Rochelle Aytes funzionano insieme e lui riesce a tenere sulle proprie spalle la serie, anche se purtroppo all'interno del gruppo di lavoro è solamente Eve Harlow a tenergli davvero testa.
Non manca la presenza costante di Moriarty (un inedito Randall Park): a livello di casting si è giocato nel ribaltare i ruoli e i tratti tipicamente inglesi di tutte le personalità nate sulla controparte cartacea. I puristi protesteranno, i più elastici saranno stuzzicati, anche perché la storia orizzontale è molto più avvincente dei casi di puntata, drammaticamente già visti se si mastica il genere medical. Anche l'estetica risulta un po' troppo fredda, non solo a livello di palette di colori ma proprio di carisma trasmesso; mentre la regia che insiste sui dettagli utili alle deduzioni dei casi, non ottiene sempre l'effetto dinamico che vorrebbe.

Nonostante non sia uno spin-off, il team creativo dietro lo show è lo stesso di Elementary, altra rilettura moderna e grande successo di pubblico in cui Sherlock era Johnny Lee Miller e Watson era donna e asiatica, ovvero Lucy Liu. Come nei fumetti, come se ci trovassimo di fronte ad eroi, antieroi e villain, le origin story vengono riscritte continuamente e ci si trova di fronte a nuovi sviluppi, a volte entusiasmanti a volte asettici. Qui ci troviamo a metà strada.
Conclusioni
La serie Watson per tutti gli appassionati di Conan Doyle potrebbe essere tanto una nuova finestra stimolante su un racconto che già conoscono quanto un aberrante rilettura moderna, algoritmica e woke per i più puristi e conservatori. Colpisce più per la storia orizzontale piena di riferimenti all’originale letterario e con uno sviluppo accattivante (nella stagione 2 sappiamo già che vedremo Sherlock), piuttosto che per i casi di puntata, visti e rivisti negli ultimi medical drama.
Perché ci piace
- La scelta di raccontare il protagonista meno famoso del duo.
- La scelta di mescolare medical e detective story.
- Morris Chestnut regge la serie sulle proprie spalle, i comprimari meno.
- Menzione speciale per Eve Harlow.
Cosa non va
- La riscrittura di molti aspetti della storia di Sherlock Holmes potrebbe scontentare i puristi.
- I casi della settimana sanno di già visto, se si è un po’ esperti di medical drama.
- Anche l'estetica non brilla per impatto.