La storia si ripete
C'è del marcio in Scandinavia. Ristagna nelle vecchie abitudini del popolo vichingo, vincolato da un ordine sociale inscalfibile, minacciato da Ragnar Lothbrok, stanco di una vita senza ambizioni. I suoi occhi cavi e luminosi sono pieni di ardore, desiderosi di scoprire finalmente qualcosa di nuovo. L'unico modo per farlo è cambiare le regole e navigare altrove, verso l'ignoto, il rischio, ovest. Questo irrefrenabile desiderio di un algido e biondo Ulisse è il motore della narrazione di Vikings, in onda su Rai 4 con la prima stagione. Una serie che parla e arriva dal nord.
Prodotto di punta del network canadese History, Vikings è stata ideata e scritta da un grande esperto di racconti storici, Michael Hirst, già sceneggiatore di Elizabeth, I Tudors - Scandali a corte, I Borgia e Camelot. Rievocare per non dimenticare miti e leggende, attraverso affreschi accurati di personaggi in bilico tra mito e realtà, perché anche il vichingo Ragnar, forse realmente esistito, vive in un limbo tra leggenda e verità. Di sicuro c'è stato un seguito con la seconda stagione, già andata in onda in America, e la conferma di una terza, prevista per il 2015.
Games of Thor
L'estate sta arrivando e assieme a lei un inevitabile disgelo. La glaciale gerarchia vichinga vacilla a suon di asciate assieme all'ascesa del carismatico Ragnar, affiancato dall'introverso fratello Rollo e dal folle amico Floki. La curiosità di Lothbrok non piace affatto allo jarl (titolo nobiliare scandinavo) Haraldson che vede nel giovane vichingo una minaccia per chi ha sempre gestito il suo popolo con metodi ingiusti, esibendo il potere come una pretesa, data per scontata. Cambiamento nella tradizione, curiosità contro spirito conservatore, scontro e incontro tra culture. I temi di Vikings sono molteplici e sono molto diversi da quelli del Trono di Spade, serie a cui è stata spesso accostato e che ha certamente incoraggiato la messa in scena vichinga, non tanto per il contenuto del racconto ma nel linguaggio. Sesso, violenza, retroscena oscuri di un Medioevo brutale. Il regno di Westeros ha svelato un mondo e un modo di raccontare audace e realistico. E con la stessa, cruda, immediatezza, Vikings riesce a disegnare un affresco sociale accurato. Qui i giochi di potere hanno regole meno complesse perché la serie di Hirst, piena di dettagli sugli usi e sui costumi di un popolo affascinante, non ha il respiro epico e corale del capolavoro di Martin. Il panorama umano dei vichinghi è spietato ma semplice, coerente con una storia meno complessa di quella dei Sette Regni.
Fratello dove sei?
Come Loki e Thor, i loro dei. Ragnar e Rollo sono fratelli dal rapporto ambivalente, caratterizzato da stima reciproca, rivalità e invidia. Temi shakespeariani che ritornano anche qui, sotto forma di dramma latente pronto ad esplodere. Quando la missione punta all'uguaglianza tra uomini, è necessario che qualcuno guidi una rivoluzione che la renda possibile. Un leader deve elevarsi per dare l'esempio, tradendo l'idea stessa di parità. A metà della prima stagione, Ragnar, interpretato da un magnetico Travis Fimmel (passato da modello e sosia del Charlie Hunnam di Pacific Rim) sembra tenere le redini, stimato dai suoi uomini e amato da Lagertha, irrequieta moglie guerriera. Il malessere di Rollo riassume il tema principale di Vikings, ovvero il contrasto. Scontro tra fratelli, guerra tra popoli, dubbi di fede. Ragnar contro Haraldson (un Gabriel Byrne crudele che ritorna in tv dopo il successo di In Treatment) è solo la punta dell'iceberg in un mare scandinavo stracolmo di ostilità. Laddove molti vichinghi vengono rappresentati come uomini solidi e coerenti con se stessi, il personaggio di Floki, sopra le righe e ondivago, sembra promettere sviluppi imprevedibili, mentre il frate britannico Athelstan inizia a subire il fascino di una cultura opposta alla sua. E allora il cambiamento potrebbe diventare conversione.
Titoli di testa
La sigla di una serie tv è diventata un mezzo espressivo quasi indipendente, svincolato dal prodotto che precede. Una sintesi efficace ed evocativa di atmosfere e tono del racconto, così Vikings non si sottrae alla buona abitudine seriale e si presenta con un opening davvero poetico. Colori freddi, musica cupa, un paesaggio umido smosso da un mare in burrasca. Una sigla riuscita, capace di immergere subito lo spettatore nel contesto dell'azione, ma forse troppo derivativa. Dalle allucinazioni disturbanti (corvo compreso) già viste nelle visioni di Bran Stark alla lenta caduta di un uomo verso gli abissi, già vissuta dall'ombra di Don Draper in Mad Men. Vikings si presenta come i suoi personaggi, ovvero una serie vincolata e in debito con la tradizione che la precede, ma con tutto il potenziale, il desiderio e la capacità di cercare qualcosa di nuovo, qualcosa di autentico che vada al di là di quanto già visto e già raccontato nella storia della serialità televisiva, sempre più densa e per questo difficile da innovare davvero.
Conclusione
Vikings si presenta come un serie molto curata dal punto di vista tecnico (fotografia, regia, colonna sonora), caratterizzata da una ricostruzione socio-culturale precisa, personaggi statuari e da una trama sin troppo lineare, il che non è per forza un difetto. Di fronte ad un intreccio così essenziale, la qualità di Vikings dipenderà dall'approfondimento psicologico che gli autori sapranno dedicare ai loro protagonisti in perenne conflitto con gli altri e con se stessi.
Movieplayer.it
3.0/5