Recensione Oceano di Fuoco - Hidalgo (2004)

Questo film segna il ritorno al cinema, dopo la trilogia dell'Anello, dell'americano di sangue danese Viggo Mortensen, al galoppo verso nuove mirabolanti avventure nell'arsura nel deserto arabico.

Viggo muove il cavallo e fa scacco allo sceicco

Frank T. Hopkins è l'uomo che sussurrava ai cavalli. Con il suo mustang Hidalgo è il protagonista di numerose storie riportate in libri ed articoli per più di settant'anni. Ma ce n'è una in particolare che ha attirato l'attenzione dello sceneggiatore di film western John Fusco ed è quella raccontata in Oceano di Fuoco - Hidalgo. Questo film segna il ritorno al cinema, dopo la trilogia dell'Anello, dell'americano di sangue danese Viggo Mortensen, al galoppo verso nuove mirabolanti avventure. Il deserto arabico è il campo di battaglia di un'insolita competizione equina dove vince chi sopravvive.

Nel primo quarto d'ora del film ci si gira verso il vicino di poltrona per un breve telepatico consulto. "Ma... anche tu...", "Sì, in effetti...", "...si direbbe...". Sarebbe quasi più facile elencare le differenze con L'ultimo samurai piuttosto che le affinità. Giorni di gloria ormai passati, ricordi orribili da annebbiare con l'alcool, offerte all'estero per svoltare. Ma nessuno ha copiato nessuno. I film prendono poi direzioni diverse e Viggo s'imbarca col suo fido purosangue verso l'Arabia Saudita per partecipare ad una Parigi-Dakar a cavallo sulla distanza di 3000 miglia. In palio ci sono la sopravvivenza, l'onore, l'orgoglio. Ah sì, anche una congrua somma di denaro che non guasta.

Stranieri in terra straniera e primi americani a partecipare a questa famosa sfida conosciuta come oceano di fuoco, il cowboy Hopkins e Hidalgo dimostrarono, secondo la leggenda tramandata dal 1800, quanto la loro amicizia consolidata negli anni come portaordini per l'esercito USA sia valsa d'esempio per gli scettici che credevano di trovarli arsi sotto il sole. Tra costoro il patron della gara, lo Sceicco Riyadh interpretato dall'inossidabile Omar Sharif, a suo agio sulla stessa sabbia calcata 40 anni prima in Lawrence d'Arabia. Mortensen e Sharif sono di poche parole nel film, entrambi adeguati ai rispettivi ruoli. Convincenti e credibili in mezzo al deserto sono i migliori della in ogni caso apprezzabile compagine d'attori esotici e non.

Il regista Joe Johnston limita notevolmente l'uso degli effetti speciali rispetto al solito poiché la suggestività dei paesaggi aridi brilla di luce propria. La competizione appassiona con tempeste di sabbia, cavallette e leopardi (questi i tre principali effetti generati al computer), con ribaltamenti di scena frequenti (non si capisce bene chi sia il cattivo vero) e nonostante non si abbia proprio l'impressione di avere visto qualcosa di nuovo, il deserto di Johnston non provoca secchezza delle fauci. Non c'è bacio con la bella di turno, il che non può che compiacere.