Non esiste altro: solo noi e la macchina, e nell'oscurità il pubblico che guarda in silenzio...
Una voce misteriosa che proviene dall'alto; una sagoma scura a malapena distinguibile dietro il reticolo di una persiana; due lenti nerissime al centro del viso. Sono passati tredici minuti dall'inizio di Viale del tramonto, quando la prima apparizione di Norma Desmond introduce una nuova connotazione all'interno di un film che, già fino a quel momento, appariva difficilmente definibile: una nota horror. Pochi istanti più tardi, sotto lo sguardo severo del maggiordomo Max von Mayerling, uno spaesato Joe Gillis metterà piede nella sinistra villa al numero 10086 di Sunset Boulevard, sancendo a conti fatti il proprio ingresso in uno dei più grandi film dell'orrore mai realizzati.
Sunset Boulevard, uscito in America settant'anni fa e noto in Italia con il titolo idiomatico Viale del tramonto, in fondo è anche questo: uno straordinario horror sotto mentite spoglie, in cui la tendenza di Billy Wilder alla mescolanza di generi e registri raggiunge un virtuosismo che rimarrà insuperato. Se il famigerato incipit della piscina, dal carattere tipicamente noir, recupera - e spinge ancora oltre - l'espediente adoperato sei anni prima ne La fiamma del peccato, le scene successive oscillano invece fra la commedia (i vivaci scambi di battute nell'ufficio di Sheldrake alla Paramount) e il dramma (la carenza di denaro e la fuga dai creditori). Poi, in maniera del tutto casuale, Joe si ritrova nel cortile di quell'antico maniero, la cui descrizione ("Aveva l'aria di una di quelle vecchie gentildonne decadute [...] che vivono isolate dal mondo tra i fantasmi di un passato fastoso") funge da beffarda introduzione alla donna che lo abita, e di colpo il film muta ancora una volta.
Billy Wilder: a qualcuno piace noir
Approdato a Hollywood nel 1933 e affermatosi come autore di alcune fra le migliori commedie dell'epoca (La signora di mezzanotte di Mitchell Leisen, Ninotchka di Ernst Lubitsch, Colpo di fulmine di Howard Hawks), al suo ritorno dietro la macchina da presa Billy Wilder si cimenta con i generi più vari: la commedia romantica, ovviamente (Frutto proibito, Scandalo internazionale), il thriller di spionaggio (I cinque segreti del deserto), il noir (La fiamma del peccato, pietra angolare di un intero filone), il dramma psicologico (Giorni perduti, suo primo trionfo agli Oscar) e perfino il documentario (il cortometraggio sull'Olocausto I mulini della morte). Nel 1948, il regista austriaco riprende un soggetto del suo fedele collaboratore Charles Brackett, lo rielabora con l'aiuto di un giovane critico, D.M. Marshman Jr., e nell'arco di un paio d'anni darà vita al film più acclamato (e controverso) della propria carriera.
Dopo un'anteprima alla Paramount culminata in un leggendario scambio di insulti fra Wilder e il patron della MGM Louis B. Mayer, il 10 agosto 1950 a New York ha luogo la première di Viale del tramonto. Sarà uno degli eventi dell'annata: ricompensata con tre premi Oscar (miglior sceneggiatura, colonna sonora e scenografia) e quattro Golden Globe (tra cui miglior film e regia), l'opera di Wilder segnerà non solo uno dei vertici del cinema classico (o piuttosto del cinema in assoluto), ma un punto di non ritorno nelle modalità di autorappresentazione dell'industria hollywoodiana e un caposaldo dell'immaginario culturale del ventesimo secolo, la cui influenza passa attraverso un'infinità di citazioni, omaggi (I protagonisti di Robert Altman) e variazioni sul tema (Veronika Voss di Rainer Werner Fassbinder, Fedora dello stesso Wilder), incluso il musical teatrale Sunset Boulevard, portato con successo a Broadway nel 1994 con una magnetica Glenn Close nel ruolo di Norma Desmond.
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Gloria Swanson e Norma Desmond: dive allo specchio
Ed è appunto Norma Desmond il volto-simbolo del capolavoro di Wilder: il personaggio più importante nella filmografia del regista, assurto immediatamente ad archetipo della diva prigioniera del passato e immersa nel culto necrofilo di se stessa. Un personaggio in cui Wilder condensa gran parte dell'iconografia del cinema muto, spazzato via vent'anni prima dall'avvento del sonoro, anche in virtù di un formidabile corto circuito tra realtà e fiction: la scelta di Gloria Swanson, ingaggiata su suggerimento di George Cukor dopo i rifiuti di altre star ritiratesi dalle scene come Greta Garbo, Norma Shearer e Mary Pickford. Nata a Chicago nel 1899, Gloria Swanson aveva esordito nell'ambiente del cinema a soli quindici anni, diventando in breve tempo una delle attrici più popolari del muto, nonché una delle prime ad aver assunto la funzione di produttrice di molte delle sue pellicole.
Ma a differenza di Norma Desmond, la Swanson aveva compiuto il 'salto' al sonoro: nel 1929 il suo primo film parlato, L'intrusa, aveva registrato ottimi incassi e le era valso una candidatura all'Oscar. Negli anni Trenta, tuttavia, la sua carriera aveva subito un progressivo declino, e così la Swanson si era dedicata al teatro, alla radio e più tardi alla televisione. Per quanto dunque sia facile cogliere nel suo ritratto di Norma Desmond più di un'eco autobiografica (incluso l'utilizzo di una scena di uno dei film dell'attrice, La Regina Kelly), il paradosso è che questa diva cinquantenne caduta nell'oblio si sarebbe rivelata il più grande ruolo di Gloria Swanson, facendole guadagnare il Golden Globe e la sua terza nomination all'Oscar, e soprattutto l'avrebbe consegnata per sempre alla memoria del pubblico.
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Il richiamo del vampiro
Non dipende solo dal fatto che Norma Desmond, ancor più della Margo Channing impersonata quello stesso anno da Bette Davis in Eva contro Eva, si sia imposta come il modello per antonomasia di attrice larger than life, ma nella natura stessa che Wilder e la Swanson hanno conferito ad un ruolo tanto estremo: il polo d'attrazione e di repulsione della storia, una figura il cui potere di fascinazione si intreccia con la sua dimensione vampiristica. Dicevamo che Viale del tramonto è un'opera multiforme: è un noir e un melodramma, contiene elementi della commedia e del thriller, ma a tratti presenta addirittura sfumature horror. Ebbene, Norma Desmond incarna gli aspetti più oscuri del film: quando Joe Gillis, lo sceneggiatore disoccupato e in bolletta interpretato da William Holden, risponde al richiamo della donna, Wilder sviluppa la sequenza come se si trattasse di un racconto dell'orrore.
L'accesso di Joe in quell'edificio isolato e tenebroso, contrassegnato dall'opulenza decadente degli interni e dalla fotografia dal taglio espressionista di John F. Seitz, è paragonabile all'entrata in un castello gotico; e difatti Dracula è lì ad attendere il protagonista al piano superiore. Le sembianze di Norma, del resto, non potrebbero essere più vampiresche: perennemente lontana dalla luce, con gli occhiali neri a proteggerle lo sguardo e le dita che si agitano come artigli, e circondata da un inesorabile alone di morte. Il braccio della scimmia che all'improvviso penzola nel vuoto e quel primo piano sul volto senza vita dell'animale sono forse i dettagli più macabri di tutto il cinema di Wilder; più tardi, quella notte, Joe osserverà Norma e il suo maggiordomo Max (il grande regista e attore austriaco Erich von Stroheim) uscire in giardino per celebrarne le esequie, in una scena che è al contempo inquietante e patetica.
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As if we never said goodbye
D'altra parte, la cifra del grottesco avrebbe dovuto connotare Viale del tramonto fin dal prologo: un dialogo post mortem fra Joe Gillis e altri cadaveri dell'obitorio, un incipit che Wilder decide di eliminare dopo i primi test screening per sostituirlo con il voice over di William Holden mentre il suo corpo galleggia a faccia in giù nella piscina di Norma. Ma a rendere il film così intimamente tragico, a tratti perfino struggente, è il senso di empatia che emerge più volte nel corso della narrazione. Norma può apparirci come una creatura 'mostruosa' (nel magnifico poster polacco dell'artista Waldemar Swierzy, il suo viso è quello di una gorgone con lembi di pellicola al posto dei serpenti), eppure Wilder, regista cinico ma inguaribile umanista, lascia trapelare anche una dolorosa commiserazione nei suoi confronti, insieme a una denuncia del sistema che ha finito per stritolarla nei suoi spietati meccanismi.
Questa denuncia è affidata nientemeno che a Cecil B. DeMille, nei panni di se stesso mentre è impegnato a dirigere Sansone e Dalila. La visita a sorpresa dell'ex diva agli studi della Paramount è non a caso la sequenza in cui la nostra compassione per lei si fa più acuta: per la prima volta Norma è nel "mondo dei vivi", il passato si apre a riabbracciarla (la luce che l'operatore Occhio di Falco dirige su di lei) e la sua alterigia viene incrinata dall'affettuosa tenerezza con cui i membri del cast e della troupe le si assiepano attorno. È una fugace parentesi, che nel musical di Andrew Lloyd Webber sarà sintetizzata con nostalgia e commozione nei versi del brano As If We Never Said Goodbye; ma dura lo spazio di un'illusione, prima che il riflettore si allontani da Norma ("Turn that light back where it belongs", è l'amarissima battuta di DeMille in originale) e la piccola folla si disperda.
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"Eccomi, DeMille, sono pronta per il mio primo piano"
È pure in tale complessità che risiede la forza imperitura di Viale del tramonto: Billy Wilder, autore allergico ai manicheismi ma al contrario amante dei chiaroscuri, mette al centro della pellicola un 'perdente' che accetta di vendere l'anima al diavolo e di prostituirsi (letteralmente), e il cui tentativo di redimersi lo porterà a perdere la vita, e una donna-vampiro che assume la duplice funzione di carnefice e vittima. La persona è stata fagocitata dal personaggio, e Gloria Swanson non manca di esaltare il carattere di finzione e di artificio di ogni battuta, ogni gesto, ogni sguardo di Norma: dalla teatralità imperiosa con cui proclama "Io sono sempre grande: è il cinema che è diventato piccolo!" all'enfasi delle sue infuocate scenate di gelosia; dall'imitazione di Charlie Chaplin alla sua espressione allucinata in prossimità del finale, quando ormai la follia ha preso il sopravvento.
Ed è proprio nel finale, nella discesa di quella scalinata alla ritrovata luce dei riflettori, che il capolavoro di Wilder tocca il suo apogeo. Norma Desmond, l'omicida che ha perso ogni contatto con la realtà, recita la parte di Salomè, principessa seducente e diabolica alla cui danza di morte sarà tributata la testa di Giovanni Battista. La farsa organizzata per lei non potrebbe essere più tragica, la felicità delirante della donna è la maschera che nasconde un abisso di disperazione: "Eccomi, DeMille, sono pronta per il mio primo piano". Salomè riprende la sua danza: ora lo sguardo di Norma è puntato dritto su di noi, la musica aumenta di volume e il suo volto avanza verso la macchina da presa, fino a riempire l'inquadratura e dissolversi sullo schermo. Il primo piano, stavolta, è quello di un mostro che ha finito per divorare se stesso.
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