Abbiamo bisogno di aiuto. L'immagine finale di In the Valley of Elah è tra quelle più toccanti viste finora a questa Mostra del cinema di Venezia: una bandiera a stelle e strisce capovolta e lacera, issata su un palo ad urlare silenziosamente nel vento lo sbando di un'America senza più punti di riferimento sul suolo iracheno. Al Lido sono sbarcati i soldati americani di Brian De Palma e Paul Haggis, registi di due film simili nella sostanza (la denuncia dell'assurdità, della violenza e delle responsabilità di una guerra che ha travolto tutti, senza distinzioni) ma profondamente diversi nella forma, nelle soluzioni narrative, e nel risultato. Sparita la polvere delle macerie delle torri gemelle che, nel discutibile World Trade Center di Oliver Stone, presentato a Venezia lo scorso anno, avevano sommerso e poi ridato alla vita due vigili del fuoco sfortunati, ora è finalmente tempo di affrontare le conseguenze di una guerra al "paese dei terroristi", pubblicizzata come la grande possibilità per il popolo iracheno di liberarsi dall'oppressore interno. In Iraq l'America c'è andata sulle gambe forti dei suoi giovani, con le braccia muscolose a reggere i mitra, ma ignorando l'inesperienza e la fragilità di quegli stessi ragazzi scopertisi perduti di fronte ad una realtà inconoscibile per il ricco occidente.
Redacted di De Palma e In the Valley of Elah di Haggis fanno parte di una new wave del cinema americano (anche se il secondo è canadese) che tenta di raccontare, in primo luogo ai propri connazionali, una guerra sciagurata, decisa da un uomo furbo che sotto le mentite spoglie dell'inevitabile democrazia ha voluto esportare a suon di bombe soltanto i propri interessi, rovinando mezzo mondo, ma soprattutto chi quella guerra (e le atrocità di quello che c'è stato dopo la sua fine apparente) l'ha vissuta, trovando in essa soltanto morte e disperazione. Invece di limitarsi all'ennesima accusa sterile a Bush, De Palma e Haggis con i loro film scelgono di lanciare un chiaro messaggio: che della violenza della guerra in Iraq "siamo tutti colpevoli", in particolare quel popolo che ha appoggiato le decisioni scellerate di chi lo guida. E per sensibilizzare il popolo americano sugli orrori della guerra si è scelto di mettere in primo piano una figura ritenuta mitica, degna di rispetto, ma spesso portatrice solo di morte ed abusi: quella del soldato. Il punto di partenza è lo stesso: il machismo, la strafottenza, la sicurezza, un delirante senso di onnipotenza e di controllo totale di ragazzi decisi, ma ancora acerbi, che non può che portare al fallimento. Perché spedire in Iraq migliaia di giovani pronti a servire il proprio paese in missione "buona" contro i terroristi e per l'affermazione della propria idea di democrazia, significa consegnarli ad uno stato di disorientamento dove tutto è lecito, salvo poi pagarne le devastanti conseguenze.
Nel film di Brian De Palma un manipolo di soldati in missione a Samarra viene spiato continuamente dalla telecamera digitale di uno di loro che spera di trasformare il materiale che sta girando nel proprio lasciapassare per la scuola di cinema. E così testimonia gli orrori quotidiani commessi dai propri commilitoni e quell'arroganza infantile che li spinge a considerare il popolo iracheno alla stregua di animali da macello. De Palma filma con la tecnica del falso documentario il disagio di ragazzi, insieme vittime e brutali carnefici nella lotta per la sopravvivenza sul suolo straniero. Sembra che oggi la realtà della guerra possa essere raccontata solo attraverso quegli strumenti di comunicazione, cellulari, internet e immagini digitali, che tutte insieme contribuiscono alla diffusione di una maggior verità. Una verità che gli americani sembrano ancora in buona parte però ignorare, limitati nell'informazione dal controllo perenne da parte dei potenti che decidono cosa è lecito far sapere di questo conflitto, neppure fossimo in Cina. De Palma gioca a mescolare ciò che reale con ciò che è fittizio, storie di ordinario orrore, con tanto di consacrazione del rivoluzionario YouTube, ma a noi sembrano ancora più potenti i filmati reali di questo sciagurata guerra, le decapitazioni trasmesse dalle tv in contemporanea in tutto il mondo, le foto dei soldati che torturano i prigionieri. Il film di De Palma riunisce in sé e riproduce tutti questi documenti e quasi proviamo un po' vergogna a considerarli così banali da risultare inoffensivi per lo spettatore ormai saturo di immagini violente sciorinate ogni giorno da televisione, giornali, internet. Il regista statunitense voleva scuotere le nostre coscienze con la brutalità delle foto dell'epilogo, e invece quel pugno nello stomaco è già ben assestato dentro il nostro corpo da tempo. Ma, se è vero che gli americani ancora ignorano la realtà delle cose, questo film potrà essere utile soprattutto a loro per meditare, vergognarsi, reagire.
Haggis invece racconta la storia di un padre, ex sergente, alla ricerca del figlio soldato, reduce dall'Iraq e ritrovato a brandelli in un campo, un corpo fatto a pezzi che grida il bisogno di verità. Il suo è finalmente cinema, con una storia (puntuale la didascalia che la vuole realmente accaduta) raccontata con uno stile asciutto e uno sviluppo narrativo francamente perfetto, che sa raggiungere i propri obiettivi: richiamare gli americani alle proprie responsabilità, mostrare l'insensatezza della guerra senza ricatti a livello emotivo, ma soprattutto urlare al mondo intero il bisogno di aiuto di un'America ormai allo sbando. Dalle prime battute del film, ricche di bandierine americane, orgoglio yankee e petto gonfio dell'eroe militare, si intuisce già dove il film andrà a parare e quali cambiamenti interverranno nell'animo e nelle convinzioni del protagonista (e di conseguenza dello spettatore) ma la potenza del racconto di Haggis è grande ed ha un sapore ancora più intenso grazie alle rughe dolorose di un superbo Tommy Lee Jones. L'immagine di quel padre che trascinando i suoi due figli nella scia delle proprie ambizioni e dei propri valori ha finito col perderli entrambi per sempre è quella di un'intera nazione che si crede perfetta, ma si scopre piccola piccola, mandando allo sbaraglio i propri figli in quei luoghi che sanno dispensare soltanto morte e distruzione. Anche ad Haggis tornano utili i nuovi confini degli strumenti di comunicazione attuali (in questo caso i filmati e le foto realizzate con i cellulari), ma il suo cinema sa spingersi oltre il tentativo di cogliere la realtà mentre accade, per diventare storia ed esso stesso documento. Quello di Haggis è un film di viaggi (il padre alla ricerca della verità inconoscibile, il figlio in missione in Iraq come Davide contro Golia nella valle di Elah, gli americani accompagnati verso la presa di coscienza di quanto sta accadendo) ed un viaggio è un'esperienza che porta sempre al cambiamento, che perciò vale comunque la pena vivere.
Qualcosa sembra muoversi nel cinema americano, ormai l'urgenza di fare i conti con errori e colpe non può più rinviare un discorso sullo stato attuale delle cose. De Palma e Haggis utilizzano la figura del soldato per riflettere sulla guerra e così esprimono il loro punto di vista sulla questione: una condanna alle infamie compiute da quei ragazzi, ma anche un tentativo di comprendere come si è arrivati ad una tale barbarie. Certo le responsabilità non possono essere imputate ad un unico colpevole, al soldato che ha premuto il grilletto o a chi ha deciso di mandarlo in una terra ostile. Qual è la differenza tra un soldato nero che si vede il corpo spappolato da una mina calpestata accidentalmente dall'esistenza di un bambino spezzata da un auto militare in corsa, che di fronte a quella vita considerata potenzialmente malvagia non ha voluto frenare? Cosa distingue un soldato che stupra e uccide una ragazzina da uno che ha assistito a quell'orrore ma ha scelto di tacere? Gli interrogativi legati alla mancanza di regole in guerra non possono essere sciolti con facilità e un film non può certo pretendere di fornire una risposta definitiva. Dare l'occasione per fermarsi anche solo a riflettere sull'insensatezza di ogni guerra è sempre importante, perché l'uomo non ha mai saputo imparare dagli sbagli del passato, ritrovandosi sempre al punto di partenza con una lunga scia di sangue a macchiare ogni volta di più un mondo senza più certezze, nel quale non si sa più dove posare gli occhi senza sporcarli. Ben vengano allora, nonostante tutte le imperfezioni, film come quelli di Haggis e di De Palma che stimolano la mente, agitando il cuore. E quella bandiera capovolta, un segnale che indica il bisogno di aiuto , è l'immagine di un'America in ginocchio destinata a restare dentro a lungo dentro i nostri occhi.