Recensione Five Day Shelter (2010)

Il regista irlandese Ger Leonard, al suo esordio registico, realizza un affresco corale che delinea un'umanità sofferente e violenta. L'operazione si caratterizza per una ricerca elaborata sul piano formale, che però finisce per sconfinare nel manierismo.

Uomini e cani

Per descrivere il film dell'irlandese Ger Leonard si potrebbe quasi parafrasare il titolo di un'altra opera presentata in questo Festival di Roma: Animal Kingdom. Questo perché Five Day Shelter si fonda proprio su un'equazione che accosta le reazioni degli esseri umani agli stati istintivi e aggressivi del regno animale. Per chiarire ancor meglio la metafora, il regista esordiente decide di accompagnare ciascuno dei suoi personaggi a un particolare esemplare di razza canina, che ne delinea e ne amplifica le caratteristiche comportamentali. Del resto il titolo Five Day Shelter fa proprio riferimento alle regole di un canile municipale, il quale impone che le povere bestiole vengano soppresse dopo un periodo d'attesa di soli cinque giorni. Il riferimento dovrebbe bene chiarire la visione tragica e ferale che anima l'intera opera prima di Ger Leonard: il suo è un microcosmo infernale, in cui vigono soltanto le leggi della violenza insensata e della sopraffazione belluina e istintuale.

La struttura del film segue un impianto di tipo corale, che affastella le esistenze alla deriva di vari personaggi sbandati. L'impostazione narrativa è invece erratica e frammentaria, caratterizzata da una successione di sequenze accostate spesso senza un raccordo di natura logica. L'intento è soprattutto quello di provocare e scioccare lo spettatore, cui vengono mostrati una sequela di personaggi caratterizzati da comportamenti moralmente ambigui, da uno spacciatore eroinomane a un uomo adulto che va a letto con una prostituta adolescente, fino a episodi di violenza famigliare. Il tutto senza mai lasciare al pubblico nemmeno un appiglio di speranza.

La ricerca compiuta da Ger Leonard si muove soprattutto in senso estetico e formale: le inquadrature hanno una composizione pittorica e sono fotografate con una resa cromatica granulare e materica. L'impressione di fondo, però, è cha la ricercatezza visiva non poggi su un'adeguata riflessione sul piano contenutistico, ma si limiti a uno sfoggio manierista e fine a sè stesso. Il regista adotta il punto di vista dell'osservatore asettico e distaccato, come se non si curasse per davvero del destino dei suoi personaggi. In questo modo nemmeno lo spettatore riesce a provare empatia nei riguardi della comunità sofferente ritratta nell'affresco di Leonard, che sembra aver perso del tutto la propria umanità per sprofondare del tutto nella ferocia del regno animale.