Recensione Summer of Sam - Panico a New York (1999)

Una riflessione a tutto tondo sul concetto di violenza e di emarginazione socio-culturale (mascherata con grande talento da thriller-movie), che non può lasciare indifferenti.

Una calda, folle estate

Nella filmografia del talentuoso Spike Lee e dell'intera produzione cinematografica degli anni novanta, un posto di rilievo spetta di certo a questo ottimo Summer of Sam - Panico a New York, un film che segna decisamente una svolta nella carriera del regista americano, a cui i panni del portavoce del cinema nero evidentemente stanno sempre più stretti. Sin dagli esordi portatore di una voce e di uno stile diverso nel panorama del cinema made in Usa, reso celebre dagli ottimi Fa' la cosa giusta (1989) e Malcolm X (1992), le sue pellicole sono caratterizzate da una potente forza evocativa, uno stile concreto e asciutto, una sottile ironia e una grande capacità di raccontare le storie e la cultura della working-class, specialmente di quella nera.

Tema portante della filmografia di Spike Lee, è quello dell'integrazione e dell'emarginazione. La sua analisi tocca sempre le radici e gli sviluppi della difficile integrazione culturale nella multietnica New York con un linguaggio realistico, aspro, che nulla lascia al moralismo e alla demagogia e che allo stesso tempo trasuda amore per la sua città. Questa componente eminentemente sociologica, in alcuni suoi lavori, ha reso il suo cinema un po' più statico e pericolosamente didattico, ma ogni preoccupazione scompare di fronte alla forza di questo Summer of Sam (apripista per l'eccellente La 25a ora), nuovo punto di partenza di uno Spike Lee più maturo, che ha fatto sua la lezione di Martin Scorsese, ed ha annotato il devastante passaggio di Quentin Tarantino nel cinema americano. Ma è soprattutto Scorsese, che pare aver ispirato Lee in questo suo mirabile esercizio di rappresentazione di una realtà (quella italo-americana), che a cavallo degli anni ottanta appariva in fisiologica crisi, dilaniata tra la morsa passato-futuro. Sono difatti i temi della cultura di quartiere, della violenza e della redenzione, che fanno da colonna portante alla storia dell'Estate di Sam, temi che riportano in mente i migliori lavori del regista di Taxi Driver.

Spostandosi dalla Brooklyn nera di Fa' la cosa giusta al Bronx italo-americano e ispanico, il film racconta la torrida estate del 1977 e dell'incubo omicida del Figlio di Sam. Figlio di Sam è un serial killer che terrorizza la comunità con efferati omicidi notturni di coppiette amorose, e sotto la sua lente deformata e psicotica ruotano i disagi e la violenza repressa dei vari personaggi. Il passaggio doloroso e dilaniante dalla cultura dei padri, violenta e mafiosa ma decisa e netta, a quella incerta e ibrida dei figli è sottolineato e metaforizzato da una straordinaria colonna sonora, vero fulcro del dipanarsi delle vicende. Dai primi rigurgiti della sottocultura punk, sporca e ancora carica dei suoi valori sovversivi, al contemporaneo affermarsi dell'edulcorata disco-music, la musica sottolinea l'esplosiva forza delle immagini. Violenza, amore, vendetta e turpiloquio passano allo stesso modo sotto le note dei vari Talking Heads, Abba, Chic, e di molti altri motivi rappresentativi dell'epoca.

Lo stridente rapporto tra omicidi e musica tocca in varie occasioni vette di elevata forza evocativa e culmina nell'indimenticabile sequenza finale, in cui i "picciotti" di quartiere decidono, con discutibile senso investigativo, che il pericoloso criminale è Ritchie (l'ottimo Adrien Brody), che esibendo cresta, sensibilità e una ambigua sessualità è automaticamente reo di aver infranto troppe convenzioni del machismo da borgata. Tutto questo visto dagli occhi del protagonista, uno straordinario John Leguizamo, che malinconicamente e fatalisticamente tradisce il suo amico come sua moglie, sovrastato dall'impossibilità ad essere migliore e a trovare i motivi delle sue azioni. Ed è nella tragicità dell'insormontabile che questa splendida messa a fuoco del ghetto si fa straordinariamente compiuta e poetica. Una riflessione a tutto tondo sul concetto di violenza e di emarginazione socio-culturale (mascherata con grande talento da thriller-movie), che non può lasciare indifferenti.