Una battaglia dopo l'altra e il magistrale inseguimento che cita i più grandi

La cifra autoriale di un Paul Thomas Anderson, mai così puntuale e politica, reinventa e anzi unifica lo sguardo di imprescindibili maestri della Settima Arte, costruendo una sequenza da manuale.

Leonardo DiCaprio e Chase Infiniti nel banner ufficiale di Una battaglia dopo l'altra

Impossibile definire Paul Thomas Anderson un regista postmoderno in senso stretto, eppure il suo cinema in qualche modo eleva soggettività, pluralismo e irriverenza, proponendo in chiave artistica analisi, critiche e significati alla società odierna e capitalista. Con Magnolia ragionava sul valore della narrazione corale e le interconnessioni tra i tanti protagonisti di una singola storia frammentata, mentre con Il Petroliere la riflessione guardava alle radici dell'America stessa, alla violenza del progresso e alla fragilità degli ideali. Ma anche con The Master, Vizio di Forma e Licorice Pizza ha fatto altrettanto, calando la sua visione in uno specifico decennio e momento politico e sociale del paese, utilizzandoli in backgroud con scopi diversi e specifici.

Una Battaglia Dopo Laltra Leonardo Dicaprio Scena
Una battaglia dopo l'altra: Leonardo DiCaprio in una scena

Anzi, dal Petroliere in poi la sua filmografia ha esaminato uno dopo l'altro, dagli anni '10 al presente, alcuni dei periodi più cruciali e sensibili d'America. E non è un caso che per raccontare quello che gli Stati Uniti sono oggi, Anderson si sia nuovamente ispirato alla penna sferzante e salace di Thomas Pynchon, tra i più grandi narratori postmoderni occidentali. Una battaglia dopo l'altra è infatti una sorta di apice metaforico di questo viaggio autoriale nell'evoluzione americana, forse il più importante perché puntualissimo e schierato in un momento storico di repressione democratica e autoritarismo interno.

In un film già forte della sua attualità e della sua costruzione, Anderson decide però di citare e fare proprio anche lo sguardo e le invenzioni di alcuni dei più grandi maestri di genere della Settima Arte, creando una sequenza d'inseguimento da manuale che, proprio come la sua più recente filmografia, è un viaggio ondulato nel cinema degli ultimi cinquant'anni.

Una battaglia dopo l'altra, da Steven Spielberg a George Miller

Una Battaglia Dopo Laltra Leonardo Dicaprio Al Volante
Una battaglia dopo l'altra: Leonardo DiCaprio nel ruolo di Bob Ferguson

Steven Spielberg ha recentemente parlato del progetto, definendolo "folle" e aggiungendo che "tutto è incredibile, un'insieme di cose così bizzarre e al contempo rilevanti, una commedia assurda e tagliente spaventosamente contemporanea dove si ride nervosamente per non urlare". Ha anche rimarcato una significativa presenza d'azione in realtà assente nella restante filmografia dell'autore, e questo guardando tanto alla prima ora del lungometraggio quanto al terzo e ultimo atto, dove per l'appunto compare l'inseguimento in analisi.

È interessante notare come Spielberg sia rimasto affascinato e interdetto da un film che, seppur a suo dire rappresenti un Dottor Stranamore contemporaneo, in verità in termini puramente action è una summa di alcune intuizioni del cinema dello stesso Spielberg insieme a quelle di George Miller, l'immancabile Stanley Kubrick e Sam Raimi.

Tutto parte da Duel, dalla sua tensione, dalle strade desertiche della California e dalla visione fordiana dell'orizzonte in The Fablemans: "Se è alto è interessante, se è basso è interessante, se è al centro è noioso da morire". Nel secondo lungometraggio di Spielberg, infatti, la ripresa degli inseguimenti resta bassa e laterale ma non entra nell'asfalto e non dà ancora quel protagonismo assoluto alla strada e all'orizzonte puro. Poco dopo, nel 1975, l'autore torna a ragionare in soggettiva ne Lo Squalo, pietra miliare del cinema, ma centralità assoluta è data ovviamente all'acqua e a ciò che si nasconde sotto e dietro la superficie.

Dicaprio Pta Set Battaglia Dopo Laltra
Leonardo DiCaprio e Paul Thomas Anderson sul set di Una battaglia dopo l'altra

Il passo tecnico-cinematografico da Duel a Lo Squalo, passando per Sugarland Express, è abbastanza logico ed evidente, ed è quell'inventiva e quella voglia di proporre sempre qualcosa di nuovo o rinnovato ad accostare Spielberg ad Anderson. La cifra action per l'inseguimento adottata dall'autore di Boogie Nights "ruba" e cita anche dal Mad Max di George Miller, che nel 1979 nelle strada aussy soleggiate e desertiche come quelle californiane amplia e ridefinisce in concreto quanto fatto da Spielberg in Duel, aderendo concettualmente a quel modo d'intendere l'azione su strada ma rendendo ancora più partecipe il pubblico della sequenza stessa, sospesi appena a un palmo dall'asfalto, sorvolandolo in prima persona, percorrendolo a tutta velocità come i protagonisti del film. Inventivo e stupefacente, soprattutto per la capacità di dare carattere e importanza a qualcosa di così materiale ed essenzialmente stabile e posato trasformandolo da oggetto a soggetto della scena e immortalandolo direttamente negli occhi dell'audience.

Da Sam Raimi al film di Paul Thomas Anderson

One Battle After Another
Una battaglia dopo l'altra: Leonardo DiCaprio nel ruolo di Bob Ferguson

Il passo successivo e la seguente citazione riutilizzata da Anderson in Una battaglia dopo l'altra è sì lo Shining di Kubrick con la sua innovativa steadycam e gli angoli ciechi dell'Overlook Hotel dal basso punto di vista di Danny, ma anche la rielaborazione concettuale adottata da Sam Raimi ne La Casa nel 1981. Non c'è strada ma terreno; non veicoli ma demoni. Eppure la cosiddetta shakeycam soggettiva per dare corpo al demone del film ha sempre avuto attinenza con quel tipo di visione cinematografica, attaccata così visceralmente a terra, alla tensione del movimento, a ciò che si nasconde dietro e davanti lo sguardo.

Ecco, arrivando alla sequenza di Una battaglia dopo l'altra girata in California, questa contiene tutta l'evoluzione cinematografica fin qui analizzata, che Anderson cita e usa ma soprattutto rende propria, rielabora e valorizza secondo esigenze personali, esattamente come fatto dai maestri predecessori negli ultimi cinquant'anni. Lunga, complessa, ragionata, studiata fin nei mini dettagli. C'è la strada, il calore, la tensione e quelle onde d'asfalto viste tante volte (anche all'inizio di Non è un paese per vecchi) che però mai nessuno fino a questo momento aveva ripreso e nobilitato come il regista de Il Filo Nascosto.

Anderson per altro non punta all'adrenalina come fatto da Spielberg o Miller, quanto piuttosto a un pathos totalizzante che trova riverbero tanto nelle scelte musicali dell'ormai feticcio Jonny Greenwood quanto nella gestione dei tempi adoperata in fase di montaggio da Andy Jugersen. Una scena impressionante per struttura e concezione, perché unifica di fatto l'intero sviluppo carchasing autoriale in un'unica e brillante soluzione, talmente immediata e folgorante da essere semplicemente magistrale.