Recensione Transsiberian (2008)

Tra colpi di scena lasciati troppo a bollire e personaggi che entrano ed escono dalla narrazione con colpevoli lacune in sede di scrittura, il film si propone come un thriller dal mancato appeal che fa strisciare sottotraccia un discorso già stantio sul sistema corrotto di valori della nuova Russia.

Un viaggio sbagliato

Sembrava essere uno dei registi più promettenti in quel difficile territorio del cinema thriller e dell'horror psicologico, ma nella trappola del primo film sfacciatamente mainstream inciampa anche Brad Anderson che tradisce, con una pellicola sciatta e affogata in un'imperdonabile banalità, quanto di buono fatto vedere finora con opere sopraffine e sottovalutate come Session 9 e L'uomo senza sonno. Perché quando le storie cominciano a pretendere produzioni più consistenti e coinvolgimenti multiculturali c'è bisogno di una mano sapiente per amalgamare gli elementi in gioco e arrivare a plasmare un prodotto decente. Anderson mostra invece tutti i suoi limiti quando prova a spingersi più in là rispetto a quanto già battuto in precedenza, allargando la dimensione della sua idea di thriller oltre il confine delle storie più intime e rivolgendosi a pubblici meno raffinati e più comodamente intrattenibili, affaticando la narrazione oltre le proprie possibilità di sceneggiatore, fino a comprendere troppi personaggi che non riesce a mantenere sotto controllo.

Train movie dal sapore pallidamente hitchcockiano, Transsiberian è ambientato sulla rotta ferroviaria (la transiberiana, appunto) che unisce Pechino a Mosca, nei vagoni di un treno che ospita passeggeri che dietro facce pulite e disponibilità verso l'altro nascondono in realtà segreti e zone oscure da brivido. Questo il teatro dell'incontro tra una coppia americana e due giovani in viaggio per l'Europa, evento destinato a cambiare tragicamente la vita di ognuno di loro. Ma quella che ad un certo punto potrebbe trasformarsi in un'Avventura in stile Antonioni, sceglie invece il più scontato dei binari, con una virata verso un improvviso inferno nel quale precipita prima la donna americana, poi con lei il marito fedele che tenta di proteggere la moglie in difficoltà, ma soprattutto l'immagine perfetta che ha di lei. Anderson fa calare un'ombra di ambiguità su tutti i personaggi, ad eccezione di quello interpretato da Woody Harrelson, così ingenuo e misericordioso da risultare poco credibile, mentre il sospetto deturpa ogni possibile relazione messa in gioco. E in questo incrociarsi di menti malate e menti bacate l'unico personaggio ad avere un minimo di approfondimento psicologico è quello interpretato da Emily Mortimer, donna velenosa senza coscienza di sé, mentre il resto dei viaggiatori è pennellato con colori trasparenti.

Tra colpi di scena lasciati troppo a bollire e personaggi che entrano ed escono dalla narrazione con colpevoli lacune in sede di scrittura, Transsiberian si propone come un thriller dal mancato appeal che fa strisciare sottotraccia un discorso già stantio sul sistema corrotto di valori della nuova Russia dopo il crollo di un regime che ha lasciato solo macerie e uomini miseri, sulla rovina portata dalla cultura del sospetto che sciupa i rapporti umani in ogni parte del mondo, e una presa in giro un po' facilotta degli americani che escono sani e salvi dalle situazioni peggiori, pur con tutte le colpe e le menzogne che si portano dentro. Un passo indietro anche a livello registico per Anderson che mostra i suoi limiti nel girare in esterno (ogni sequenza è un compitino venuto male, e a nulla serve la bellezza della neve quando resta un elemento non adeguatamente valorizzato) e si fa più incisivo quando si attacca con la camera a mano ai suoi protagonisti. Trans-siberian si anestetizza nel suo dover mostrare (le scene dell'omicidio e della tortura sono in questo senso inoffensive nel loro essere puntualmente scontate) e crolla rovinosamente col suo voler dire e non saperlo fare, con delle implicazioni morali lasciate masticare distrattamente, in un finale rovinoso di una storia che ormai non sa più dove andare a parare. Un viaggio che sarebbe stato meglio non fare.