Recensione Stay - Nel labirinto della mente (2005)

Nonostante un soggetto non originalissimo, questo 'Stay - Nel labirinto della mente' gioca con intelligenza con il mescolarsi progressivo di realtà e allucinazione, fino a un finale sorprendente e toccante.

Un viaggio psicanalitico tra realtà e allucinazione

Sam Foster è un brillante psichiatra che ha appena sostituito la sua collega Beth nella cura del giovane Henry: il ragazzo, affetto da una grave forma di depressione, ha pianificato il suicidio per il giorno del suo ventunesimo compleanno. Sam cerca in tutti i modi di far desistere il giovane dal suo proposito, ma viene man mano risucchiato nel mondo stralunato di Henry, mentre tutto intorno la realtà inizia ad assumere contorni inquietanti: presto sarà Sam a chiedere ad Henry delle risposte, non più sicuro che il mondo intorno a sé sia quello che ha sempre conosciuto.

Con questo film Marc Forster (già regista dei fortunati Monster's ball - L'ombra della vita e Neverland - Un sogno per la vita) si addentra per la prima volta nei territori del thriller psicologico (anzi, psicanalitico) di matrice fantastica. Non è, se vogliamo, originalissimo il soggetto di questo Stay - Nel labirinto della mente, ma il dipanarsi dello script cattura l'attenzione rifuggendo da espedienti facili e soluzioni narrative risapute. E' un motivo a cui siamo ormai abituati, quello del mescolarsi progressivo di realtà e allucinazione, ma qui il tema viene portato avanti in modo intelligente, mescolando le carte fino a un finale sorprendente e toccante, che costringe a ripensare tutto ciò che si è visto finora.

La regia di Forster, pur senza grandi guizzi, è perfettamente adeguata all'atmosfera della storia: subdolamente avvolgente, progressivamente sempre più onirica, segue bene il climax creato dallo script, rifuggendo inoltre da tentazioni videoclippare a cui pure sarebbe stato facile cedere. L'abilità del regista è quella di sottolineare visivamente (anche con raccordi di montaggio e cambi di sequenza volutamente sbagliati dal punto di vista della grammatica cinematografica) la discesa del protagonista in un universo sempre più "instabile" e onirico, che alla fine troverà, nonostante tutto, una sua ragione di esistere. Il film guadagna decisamente in profondità e spessore nel finale, con una svolta che, per quanto non riesca ad evitare una sensazione di deja-vu rispetto a certo cinema fantastico uscito recentemente, attiva un alto tasso di partecipazione emotiva, una forte empatia nello spettatore: una sensazione che, alla fine della proiezione, è probabilmente quella che resta maggiormente impressa nella mente di chi guarda.

Le prove del cast, in cui spicca un convincente Ryan Gosling nel ruolo di Henry (nella media, invece, Ewan McGregor e Naomi Watts), completano un prodotto di intrattenimento che sicuramente non innova e segue in gran parte binari ben collaudati, ma riesce a coinvolgere secondo meccanismi piuttosto insoliti per il cinema fantastico, toccando, un po' inaspettatamente, corde in grado di generare un'alta risonanza emotiva.

Movieplayer.it

3.0/5