Un posto (di lavoro) al sole
Il resoconto dettagliato delle spese mensili di Fabio Romano, agente assicurativo di buon successo, è desolante. Le sue finanze sono state letteralmente prosciugate dalla casa nuova, dalle mille richieste delle figlie Martina e Giulia (Michela Quattrociocche e Ludovica Bizzaglia), adolescenti inquiete a caccia di griffe e grande amore, e dalla moglie Franca, casalinga abbastanza disperata ma ben concentrata sul suo nuovo obiettivo, diventare titolare di una ditta di catering. Il mondo gira, la crisi economica galoppa ed è quindi quasi automatico per l'impiegato cadere nell'angoscia più profonda quando la sua azienda cambia proprietario. Il nuovo boss, il dottor Saraceni, proprietario di una squadra di calcio, emblema dell'affarista rampante, è una persona che non ha idea di quanto siano in gamba i suoi dipendenti. Scatta allora il geniale piano di Fabio: portare i suoi a Sharm El Sheikh, incontrare il capo, fare bella figura con lui e mettere in salvo tutte le sue proprietà. Sembra facile, ma in riva al mar Rosso Fabio trova un nemico pericoloso, il famigerato signor De Pascalis, uno che in mette ha lo stesso progetto di Romano e in più una moglie procace, ex miss Portici, che a tornare a casa con le pive nel sacco non ci pensa proprio. I due contendenti si osteggiano a vicenda senza esclusione di colpi bassi, coinvolgendo tutti i familiari in questa guerra dei bottoni. Uno solo però ha il coraggio di ammettere la paradossalità dell'intera vicenda, cercando alla fine un'altra via d'uscita.
Basta elencare il numero di copie in cui esce, 350, per capire quanto Medusa punti sul film di Ugo Fabrizio Giordani, Sharm El Sheikh. Una scelta motivata dal fascino cinematografico che da sempre emana l'uomo medio in ferie, oppure dal bisogno di sognare guardando le bellezze di un paradiso naturale che aveva convertito anche un allenatore ieratico come Arrigo Sacchi (o meglio la versione di Maurizio Crozza). Una cosa è certa: di materiale ce ne sarebbe stato a sufficienza per tentare di osservare vizi e virtù dei nostri connazionali. Il risultato è però un mesto concentrato di banalità senza fine, puntellato solo da qualche risata isolata. Di un film del genere è molto più facile elencare i difetti che i pregi, legati tutti al bel lavoro di squadra del team di attori. Non capiamo, ad esempio, perché una scena debba dilungarsi sulla lotta delle tre donne di casa Romano per la conquista del mascara, quando nella stessa famiglia si sborsano settemila euro al mese per spese voluttuarie. Evidentemente si economizza solo sul maquillage. Soprattutto non capiamo perché si respingano con sdegno le accuse di "affiliazione al cinepanettone", quando la volgarità (che in questo caso nulla ha a che vedere con parolacce e corpi nudi) arriva lo stesso con le sue inconfondibili zaffate. E' un modus operandi che appartiene a quelli che vivono costantemente sopra le proprie possibilità, che pensano che tutto sia lecito, anche la scorrettezza più estrema, per ottenere ciò che spetterebbe di diritto. Un tema questo che se sfruttato a dovere avrebbe delineato scenari più costruttivi di quelli rassicuranti tratteggiati dal regista capitolino. Poteva essere una bella occasione per fotografare con acuta leggerezza i nuovi italiani, i figli del boom incapaci di rinunciare ai privilegi conquistati sul campo in anni e anni di "duro" lavoro ("Il suo futuro è la mia ragione di vita" dice il protagonista ad una ultranovantenne); invece la commedia di Giordani giochicchia col fuoco e si ferma molti passi prima della critica feroce, con un pressappochismo degno del cinema più superficiale. Possiamo inserirla quindi nel novero di film in cui un buon gruppo di interpreti, tra cui Fioretta Mari, Elena Russo, Laura Torrisi e Sergio Muniz, viene sprecato da una storia la cui carica eversiva si stempera senza un minimo di arguzia. Altro che Una vita difficile di Dino Risi! Sharm El Sheikh perde la guerra a distanza persino con un piccolo film come Chi si ferma è perduto, micro gioiello di Sergio Corbucci in cui Totò e Peppino De Filippo erano straordinari nel rendere la perfidia dei travet in lotta per conquistare la promozione a capufficio. Enrico Brignano, protagonista a tutti gli effetti, si conferma attore di razza, ma al cinema non riesce ancora a trovare il passo giusto, quei tempi azzeccati che lo rendono irresistibile a teatro. Bravi gli altri interpreti Maurizio Casagrande e Cecilia Dazzi, mentre la performance di Giorgio Panariello, il feroce Saraceni, non buca lo schermo. Non gli è bastato scimmiottare il _Flavio Briatore _di turno (pardon, Naomo) per dare un reale spessore al suo personaggio. Lui sì, figlio degenere dei nostri tempi.Movieplayer.it
2.0/5