Recensione L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza (2006)

Il film di Cao Hamburger è un dramma raccontato con equilibrio e stemperato da tochi di ironia e dolcezza.

Un'estate da ricordare

Una valigia con pochi abiti, il suo gioco preferito, l'album di figurine e una lunghissima attesa fuori dalla porta della casa di suo nonno. Per il piccolo Mauro, un dodicenne brasiliano, l'estate del 1970 inizia così: un giorno i suoi genitori decidono di portarlo improvvisamente a casa del nonno, e gli dicono che devono partire per una vacanza; in realtà i due rischiano di essere arrestati per le loro idee politiche, opposte a quelle del regime, e sono costretti a nascondersi.
I genitori di Mauro però non sanno che nel frattempo il nonno è morto, e che il bambino quindi trascorrerà l'estate con l'anziano Shlomo e gli altri abitanti del quartiere ebreo in cui viveva il nonno del ragazzo, che si prenderanno cura di lui.

Con The Year my Parents Went on Vacation, il regista brasiliano Cao Hamburger, porta sul grande schermo un dramma raccontato con equilibrio, e stemperato da tocchi di ironia e di dolcezza: la storia di Mauro - che per molti aspetti ricorda quella dei giovani protagonisti di Kamchatka il film di Marcelo Piñeyro che fu presentato a Berlino nel 2003 - si sviluppa su molteplici livelli narrativi, e non si limita a raccontare l'atmosfera di un'estate lontana, in cui l'euforia per i mondiali di calcio è avvelenata dalla tensione dovuta alla situazione politica del Brasile in quel periodo, ma riesce anche a rendere tangibile il senso di abbandono provato dal giovane protagonista, ed insieme a lui si inizia un percorso di vita che lo farà maturare nel giro di poche settimane.

Dopo un confronto iniziale non proprio felice con Shlomo, un signore burbero e riservato, Mauro decide di chiudersi nell'appartamento di suo nonno Motel, aspettando invano l'arrivo dei genitori. Poco a poco però riuscirà ad aprirsi al nuovo mondo che lo aspetta al di fuori delle mura della sua nuova casa, e la sua sarà un'estate di scoperte, e di gioia, per gli esiti dei mondiali, ma anche di lacerante e dolorosa attesa. Sotto le esplosioni di felicità ed euforia per un gol segnato dalla nazionale di calcio, sotto una pioggia i coriandoli gialli il dolore del ragazzo, e la tensione del paese sono tangibili dall'inizio alla fine del film, eppure il regista non rinuncia ad alleggerire il tono del suo racconto, senza mai essere inopportuno.

A dare più spessore alla pellicola, che è stata presentata nella sezione competitiva del 57esimo Festival di Berlino, è l'interpretazione del piccolo Michel Joelsas nel ruolo di Mauro, e di Germano Haiut, che veste i panni dell'anziano Shlomo: due personalità tanto diverse che si verranno incontro per alleggerire il peso della solitudine e dell'abbandono, e nell'estate brasiliana incupita dal regime il loro abbraccio finale sembra quasi una conquista più grande della vittoria conseguita dalla nazionale verdeoro

Movieplayer.it

4.0/5