Il 9 Aprile del 1976 arrivava nelle sale statunitensi Tutti gli uomini del presidente, un film manifesto del cinema d'inchiesta degli anni Settanta e un caposaldo a difesa della libertà di stampa e del valore assoluto del giornalismo nella denuncia del potere corrotto, e in particolare dei vertici delle istituzioni e della politica.
Diretto da Alan J. Pakula e con due protagonisti d'eccezione quali Robert Redford e Dustin Hoffman, il film racconta l'inchiesta condotta dai giornalisti del Washington Post Bob Woodward e Carl Bernstein i quali, partendo dall'effrazione al Watergate avvenuta nel 1972, ricostruirono le manovre illecite condotte dall'amministrazione Nixon per danneggiare gli avversari politici e, soprattutto, per assicurarsi la rielezione durante la campagna elettorale che avrebbe riconfermato il leader repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. A 45 anni dalla sua uscita, dunque, andiamo a riscoprire nel dettaglio Tutti gli uomini del presidente, ritenuto ancora adesso un film fondamentale nella storia del cinema.
Il Watergate
Segua il denaro.
Giugno 1972. Cinque uomini vengono fermati mentre si trovano nella sede del Partito Democratico a Washington, in uno degli edifici del complesso residenziale denominato Watergate. Condotti in tribunale, all'udienza del giorno dopo sarà presente anche Bob Woodward (Robert Redford), giornalista del Washington Post. Nel prendere informazioni per scrivere un pezzo, scoprirà che uno dei soggetti incriminati lavora in realtà per la CIA. Il sospetto che dietro l'effrazione degli uffici dei democratici vi possa essere un'implicazione politica si fa strada nei pensieri di Woodward, così come accade al suo più esperto collega Carl Bernstein (Dustin Hoffman). Dopo un approccio difficoltoso, i due giornalisti troveranno un punto d'incontro, condividendo la stessa determinazione per andare a fondo alla vicenda, ancora parecchio torbida, e consegnare al Post un'inchiesta che sentono potrebbe dare una svolta alla loro carriera.
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A sostenere Woodward e Bernstein sarà il responsabile della cronaca locale, Harry M. Rosenfeld, nonostante le perplessità iniziali del caporedattore Howard Simons e lo scetticismo del direttore del giornale, Ben Bradlee. Proseguire nell'indagine non sarà affatto semplice: omertà e confessioni incomplete non possono essere sufficienti per districarsi in un'enorme vicenda e trovare delle prove, ma con il passare del tempo Bob e Carl si renderanno conto che a essere coinvolti sono i più alti vertici dell'amministrazione del presidente Nixon il quale, nel novembre del 1972, otterrà peraltro la rielezione. Per cercare di tenere aperta una traccia plausibile, Woodward sarà costretto a rivolgersi a un misterioso informatore, che in redazione chiamano "gola profonda": nonostante la sua identità sia segreta, egli sembra a conoscenza delle trame attorno FBI, CIA e Casa Bianca...
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La sfida del giornalismo all'establishment politico
Deve dimenticare i miti che la propaganda ha creato attorno alla Casa Bianca. La verità è che quella non è gente molto sveglia, e la situazione gli è sfuggita di mano.
Nel 1972, Robert Redford aveva approfondito personalmente la vicenda Watergate, seguendone gli sviluppi. Quando Woodward e Bernstein pubblicarono l'inchiesta sul Washington Post il 9 Maggio 1974, l'attore e produttore convinse i due giornalisti a raccontare le loro conclusioni sulla vicenda anche attraverso un libro. Così fu: il saggio (che prendeva il titolo da un'antica filastrocca britannica che recita Tutti i cavalli e tutti gli uomini del re non poterono rimettere insieme Humpty) venne pubblicato nel giugno seguente, mentre lo scandalo divampava ferocemente nell'opinione pubblica. Redford ne acquisì i diritti per realizzarne un film, alla cui regia venne scelto Alan J. Pakula, già autore di opere significative quali Una squillo per l'ispettore Klute (1971) e Perché un assassinio (1974). La sceneggiatura fu invece affidata a William Goldman, uno degli autori maggiormente apprezzati del periodo (già vincitore di un Oscar per Butch Cassidy nel 1970). Nonostante qualche divergenza durante la fase di scrittura tra lo sceneggiatore e i due giornalisti, Redford e Pakula trovarono un punto di equilibrio, ottenendo uno straordinario risultato finale e traendo il meglio dal lavoro iniziale di Goldman.
L'America degli anni Settanta era contraddistinta da numerose problematiche e contraddizioni. Dietro l'apparente facciata del progresso economico e tecnologico, vi era la questione drammatica e irrisolta della guerra in Vietnam a mobilitare la protesta di intere fasce di popolazione, in particolare quella giovanile. Inoltre, il tema dell'integrazione razziale non ancora raggiunta era gravemente aperto, e il mancato rispetto dei diritti civili fondamentali nei confronti delle minoranze era purtroppo una triste realtà. Una crisi sociale che non accennava a finire, e l'elezione del repubblicano Richard Nixon nel 1969 non l'aveva che acuita. In tale contesto, l'esercizio del potere rivestiva un ruolo ancora più importante, ma non era certo interesse di quell'amministrazione occuparsene. Lo scandalo del Watergate fu l'apice della corruzione e del malaffare frutto di una lunga stagione di cattiva politica, seguente all'uccisione di John Fitzgerald Kennedy; esso fu un fatto che avrebbe impedito all'America di guardare ottimisticamente a nuove prospettive per diverso tempo. La già citata conferma elettorale repubblicana nel 1972 era da inquadrare come una prosecuzione di un periodo oscuro, dal quale gli Stati Uniti avrebbero faticato a risollevarsi.
Un sistema marcio sin dal vertice, ovvero il presidente Nixon, fino ai suoi livelli inferiori: esponenti dell'amministrazione (dall'ex Ministro della Giustizia John Newton Mitchell all'ex Capo di Gabinetto H. R. Haldeman), passando per i potenti John Ehrlichman e Charles Colson (ai quali aggiungere Gordon C. Strachan, Robert Mardian e Kenneth Parkinson) e molte altre figure primarie e secondarie del cosiddetto Comitato per la rielezione, che gestiva ingenti somme e operava su larga scala. L'effrazione al Watergate non era che una parte di un piano che comprendeva intercettazioni, spionaggio e sabotaggio attivati dagli uomini del presidente Nixon per facilitare la sua riconferma e contrastare l'attività politica dei suoi avversari politici.
Ed è qui che entra in campo la stampa, nel farsi carico della responsabilità di raccontare ai cittadini ciò che accade realmente, soprattutto se a venire meno al proprio dovere sono i loro rappresentanti. Si parla spesso in termini entusiastici della democrazia americana, delle sue istituzioni e delle regole che la compongono: lo scandalo Watergate fu un colpo durissimo a un sistema politico che si credeva perfetto, o migliore di qualsiasi altro. La pubblicazione dell'inchiesta del Washington Post, l'individuazione dei colpevoli e dei reati commessi e, infine, la procedura di impeachment nei confronti di Richard Nixon portarono alle dimissioni del presidente il 9 agosto del 1974, ponendo la parola fine su una lunga stagione repubblicana ed ultraconservatrice, sebbene un vero rinnovamento sarebbe stato ancora lontano. Ma fu proprio merito di Woodward e Bernstein, del loro lavoro d'inchiesta e del coraggio del giornale edito da Katharine Graham a rinnovare il valore della stampa contro le deviazioni del potere, nel far trionfare la verità sulla menzogna, nel restituire dignità a un intero Paese.
Di fatto unica voce nell'intero panorama giornalistico statunitense a tenere alta l'attenzione sul caso Watergate di pari passo con la scoperta di nuovi elementi da parte dei due reporter, non era la prima volta che il Washington Post si trovava a narrare le ambiguità di Nixon e della sua amministrazione: basti ricordare la pubblicazione dei Pentagon Papers nel 1971, documenti riservati che riguardavano la questione vietnamita fin dalle sue origini. Fatti descritti nel film The Post, diretto da Steven Spielberg e con Tom Hanks e Meryl Streep protagonisti.
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Un'eccellenza del cinema d'inchiesta
L'insabbiamento non ha quasi niente a che fare con l'effrazione. Era per proteggere le altre operazioni illegali e le attività nascoste dei servizi segreti degli Stati Uniti.
Come accennavamo in apertura, Tutti gli uomini del presidente è un riferimento nella storia del cinema americano e uno dei massimi esempi di cinema d'inchiesta: una vera e propria eccellenza del genere. La regia di Alan J. Pakula ritrae al meglio l'impegno profuso da Bob Woodward e da Carl Bernstein e non tralascia alcun aspetto.
Nella prima parte, la narrazione si concentra sul difficile sentiero che devono affrontare i due reporter per abbattere il muro di gomma che si troveranno davanti. Telefonate, ricerche, appuntamenti, incontri, domande a tutti coloro che riterranno connessi alla vicenda scaturita dall'effrazione al Watergate. Dopo aver ottenuto la fiducia del proprio giornale e avendo compreso di essere sulla strada giusta, la seconda parte del film mostra Woodward e Bernstein ormai sicuri di sé e non disposti a compiere passi indietro, mentre la pressione attorno a loro si fa sempre più forte, segno che la realtà dei fatti è ormai prossima a emergere in tutta la sua drammaticità. Attraverso la fotografia di Gordon Willis, il montaggio di Robert L. Wolfe e le scenografie di George Jenkins, Pakula alterna l'alacre indagine condotta dai due giornalisti con una tensione crescente tipica del thriller verso il finale, quando i protagonisti sentono di dover temere per la loro incolumità, prestando attenzione a che nessuno segua i loro passi.
Sono semplicemente straordinari Robert Redford e Dustin Hoffman nell'interpretazione dei vari stati d'animo di Woodward e Bernstein: dapprima sprezzanti del pericolo e inconsapevoli a cosa sarebbero andati incontro, poi determinati e convinti della bontà e dell'importanza del proprio lavoro, infine stremati ma soddisfatti del risultato ottenuto. Non per rivalsa personale o giustizialismo: ma in quanto cittadini al servizio di altri cittadini come il mestiere di giornalista richiede e impone, mettendosi sempre dalla parte della verità.
Accanto ai due attori principali, peraltro perfettamente a loro agio nel dividersi gli spazi sulla scena, altri interpreti di prim'ordine: Jason Robards, nel ruolo dello storico direttore Ben Bradlee, inizialmente austero ma infine il più convinto sostenitore dell'inchiesta di Woodward e Bernstein; Jack Warden, nel ruolo del responsabile della cronaca locale Rosenfeld, il primo a credere che attorno a quanto accaduto al Watergate vi fosse qualcosa da approfondire; e Martin Balsam, nel ruolo del caporedattore Simons, figura fondamentale nel rapporto tra il direttore e i giornalisti. A completare il cast anche Hal Holbrook, nel ruolo di "gola profonda" (il quale anni dopo si rivelerà essere Mark Felt, ex vice-direttore dell'FBI), e Jane Alexander, nella parte di Judy Hoback Miller, una delle testimoni chiave dell'inchiesta e protagonista di una prova dal minutaggio breve ma molto significativa.
Tutti gli uomini del presidente venne nominato a otto Premi Oscar, quattro Golden Globe, dieci BAFTA e ad una miriade di altri premi e riconoscimenti. Agli Academy Award, in particolare, ottenne le nomination a miglior film, per la regia di Pakula, per l'interpretazione da non protagonista della Alexander e per il montaggio di Wolfe, e trionfò in quattro categorie: per la prova di Jason Robards, alla sua prima affermazione agli Oscar (l'anno seguente avrebbe fatto doppietta per Giulia di Fred Zinnemann), per la sceneggiatura adattata di William Goldman, per le migliori scenografie e per il miglior sonoro.
Siamo sotto pressione, ed è tutta opera vostra. In questa storia non c'è niente in gioco, a parte il Primo Emendamento della Costituzione, la libertà di stampa e forse anche il futuro del Paese.