Ce lo saremmo dovuto aspettare. Per tanto tempo abbiamo continuato a sottolineare come le similitudini tra la prima e la terza stagione fossero evidenti, e quindi dovevamo sapere che dall'ultimo episodio (Now Am Found) non potevamo certo aspettarci nulla di diverso da quello che abbiamo visto, dato che già quello della prima stagione di True Detective ci aveva lasciati a dir poco spiazzati. Eppure Pizzolatto ci ha fregato di nuovo: ci ha portato a cercare indizi in ogni singolo fotogramma, ha fatto in modo che ci lanciassimo nelle teorie più improbabili e assurde, quando la verità era sotto i nostri occhi fin dall'inizio. Perché, almeno per quanto ci riguarda, la spiegazione del finale di True Detective 3 è più semplice di quanto può sembrare: il detective Wayne Hays non era realmente alla ricerca della povera Julie Purcell, ma di se stesso.
E in realtà lo è sempre stato, ancora prima che gli venisse affidato il caso dei due bambini scomparsi. Era alla ricerca di qualcosa già durante la guerra in Vietnam, lo scopriamo nella scena che, guarda caso, chiude la stagione; una guerra di cui non vedrà mai una reale fine o chiusura, esattamente come gli accadrà in seguito nella sua carriera da detective. Come un dannato di dantesca memoria, Wayne Hays è destinato per tutta la vita a cercare qualcosa senza riuscirci mai. Gli succede anche alla fine delle sue indagini, quando da anziano si ritrova davanti a quella che (forse!) è la bambina/donna che ha cercato per 35 anni: la memoria però lo tradisce e lui, ancora una volta, resta ad un passo dalla conclusione. Ancora una volta l'indagine è interrotta per qualche motivo e la verità seppellita per sempre.
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Misteri svelati
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa è effettivamente successo quel novembre del 1980. Ce lo racconta Junius Watts, il famigerato uomo con un occhio solo che lavorava per la famiglia Hoyt: Isabel, la figlia del proprietario della Hoyt Foods, dopo aver perso sia il marito che la figlia in un incidente d'auto, si è chiusa nella sua casa ed è quasi impazzita per il dolore e l'isolamento; durante un picnic aziendale scorge la piccola Julie e le sembra di rivedere la sua bambina scomparsa, ed è così che chiede a Watts di fare un accordo con la madre. Dopo che Isabel ha cominciato a frequentare sia Julie che il fratello Will, la donna decide di rapire la ragazza e portarla dentro una camera segreta nella sua magione; il bambino si ribella e muore dopo uno spintone, mentre Julie viene costantemente drogata e tenuta prigioniera in gran segreto. Fino a quando Junius non decide di farla scappare, perdendola però per sempre.
Julie si nasconde come può e non vuole avere nulla a che fare con la sua famiglia, avendo capito che i genitori erano d'accordo con i suoi rapitori (in realtà il padre Tom era quasi certamente all'oscuro di tutto), e riesce a sfuggire a chiunque la cerchi. Watts è l'unico che continua a cercarla e molti anni dopo la rintraccia in un convento dove però gli viene detto che è morta di AIDS. Wayne e Roland vedono la tomba e si rassegnano, ma grazie al libro della moglie (un espediente narrativo quantomeno discutibile e banale per una sceneggiatura che invece non lo è affatto) il primo capisce che forse non è ancora detta ancora la parola fine. Destino vuole che la memoria gli svanisca prima ancora di poterlo sapere con certezza.
Certo rimangono fuori tante cose non spiegate, ma alcune possiamo facilmente intuirle: sia Lucy che Tom Purcell sono stati entrambi uccisi da Harris James; ed era stata sempre la mamma dei bambini a mandare la lettera anonima in cui veniva detto che Julie stava bene. Non ci viene mai spiegato invece cosa sia successo ad Amelia e come sia morta, ma è certo a questo punto che non abbia nulla a che vedere con il caso.
E se la fine non fosse affatto la fine?
Il tempo giocava una parte importante nella prima stagione di True Detective, e lo stesso vale per questa terza. Anzi, forse ancor di più vale per questa terza stagione, in cui i personaggi si dividono fondamentalmente tra coloro che vogliono dimenticare e quelli che invece vogliono ricordare a tutti i costi. Il Wayne del 2015 è tormentato dai fantasmi del passato ed è sempre certo di aver dimenticato qualcosa di importante, come se avesse la sensazione di aver sempre avuto la risposta al mistero che lo ha attanagliato per tutta la vita. La verità è che è proprio così, ma non è come Wayne pensa. La verità che cerca non è quella che conduce a Julie, ma alla sua di famiglia. Così come la (tragica) mancanza di una famiglia ha spinto Isabel e tutti coloro che l'hanno aiutata ad azioni mostruose, è la famiglia a salvare più volte il protagonista della serie in tutti i modi possibili. È la consapevolezza di voler ricucire il rapporto con Amelia a salvarlo dall'autodistruzione nel 1980 così come l'amore e il senso di protezione per la propria famiglia a frenare quella sete di vendetta e giustizia verso Hoyt dieci anni dopo.
Entrambe le volte, ci viene mostrato, è solo attraverso il rapporto con Amelia che Wayne riesce a trovare pace e rimettere a posto la propria vita. Magari non per sempre, perché come abbiamo visto questa sete di ricerca continuerà a tormentarlo a lungo ed è bene notare che l'istinto porta Wayne sempre verso l'autodistruzione: è stato lui ad arruolarsi in Vietnam senza un reale motivo; è stato lui a voler chiudere inizialmente il rapporto con Amelia e lasciare il posto da detective; è sempre lui quello che sembra pronto a rischiare la vita pur di continuare un'indagine ormai chiusa. A salvarlo, a portarlo verso la luce c'è l'amore della moglie e dei figli, unico antidoto per il veleno che ha dentro, quel tarlo che lo porta a cercare una soluzione a tutti i problemi tranne che ai suoi. La stessa cosa succede anche a Roland, che nel 1990 scopre l'amore e l'amicizia attraverso un cane randagio e, venticinque anni dopo, ritrova quello del suo vecchio amico e partner.
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And the stars will be your eyes
Qualcosa di simile accadeva in fondo nella prima stagione, con un Rust Cohle che sembrava condannato al sacrificio e all'autodistruzione ma che invece ritrova motivazioni e voglia di vivere non tanto grazie al lavoro o alla giustizia - anche perché, come nel caso di questa stagione 3, una vera e proprio risoluzione non c'è mai, i veri cattivi, quelli che contano, non pagano mai - ma grazie all'amicizia e alla solidarietà del collega e amico. Un lampo finale di ottimismo ("If you ask me, the light is winning") che non pensavamo fosse possibile in uno show così dark come True Detective, ma che invece di dimostra il perno della poetica dello show e l'elemento caratterizzante di questi veri detective.
Se il primo ciclo di episodi si chiudeva con i due protagonisti abbracciati a guardare le stelle, questa terza stagione di True Detective termina con una scena in cui Wayne anziano, in compagnia del suo amico e della sua nuova famiglia, osserva i nipotini che corrono felici in bici sulle stesse strade in cui giocavano i fratelli Purcell. E in quel momento il pensiero che gli torna alla mente non è quello del caso irrisolto, e non c'è nemmeno quel twist finale, quell'epifania, che molti spettatori magari si aspettavano: quello che l'uomo vede (forse addirittura prima di morire? Chissà...) è il momento in cui ha capito e deciso che voleva sposare la donna della sua vita. Now Am Found.