You cry out in your sleep, all my failings exposed/ And there's a taste in my mouth as desperation takes hold/ Just that something so good just can't function no more
La quieta disperazione della musica dei Joy Division è il correlativo più idoneo a esprimere la progressiva discesa nell'abisso di Hannah Baker, ma anche quella dei destinatari del suo 'memoriale': da Love Will Tear Us Apart nell'episodio d'apertura (mentre la colonna sonora della quinta puntata include una cover di Atmosphere) al poster con l'iconica copertina nera di Unknown Pleasures che campeggia su una parete della stanza di uno dei coetanei di Hannah.
La cognizione del dolore che trapela dai versi e dalla voce di Ian Curtis (basti riascoltare il B-side di Closer e una canzone come The Eternal) è contrassegnata da una lucidità che, nelle parole di Hannah, viene incrinata più volte dalla tempestosa emotività di un'adolescente alle prese con le prove più dure della sua giovane esistenza. La cronaca del suicidio di Hannah, del resto, è un flusso di coscienza in cui la riflessione convive costantemente con l'emozione, in un amalgama quasi inestricabile che, di puntata in puntata, ci fa sentire sempre più da vicino i palpiti, le speranze e le frustrazioni di una ragazza che si sta rivolgendo a noi direttamente dall'aldilà.
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Il lungo viaggio verso la morte
L'espediente del "morto che parla" come principale istanza narrativa, sdoganato fin dall'epoca del noir americano classico e di Viale del tramonto e reimpiegato con successo in tempi più recenti tanto al cinema (American Beauty) quanto in televisione (Desperate Housewives), ha una nuova, formidabile declinazione in Tredici, serie adattata dal drammaturgo Brian Yorkey (librettista di musical teatrali, qui al suo primo cimento in ambito televisivo) a partire da un romanzo di Jay Asher del 2007. 13 Reasons Why, secondo il titolo originale, sono le tredici concause alla base del suicidio di Hannah Baker, interpretata dalla semi-esordiente australiana Katherine Langford, e corrispondono ai tredici episodi di una serie che, dopo essere stata rilasciata su Netflix il 31 marzo, si sta trasformando nel caso televisivo della stagione: un passaparola che si allarga a macchia d'olio, apprezzamenti più o meno unanimi e petizioni su internet per proporne la proiezione nelle scuole.
Tredici, insomma, è riuscito a toccare corde peculiari nella sensibilità del pubblico, specialmente quello dei giovani e giovanissimi, pur non potendo contare su uno degli strumenti più efficaci della narrazione seriale televisiva: arduo, infatti, inserire cliffhanger o colpi di scena fra gli ingranaggi di un racconto di cui conosciamo già in partenza il tragico esito. Ciò nonostante, mentre Hannah illustra i piccoli e grandi traumi che hanno costellato il suo difficile anno scolastico, gli autori trovano comunque il modo di sorprendere lo spettatore, di giocare con le sue attese e, soprattutto, di rendere via via più pressante l'interrogativo alla radice della trama: quale impatto avranno le sette audiocassette registrate da Hannah sulle esistenze delle persone che hanno provocato il suo fatidico gesto? La verità di Hannah rimarrà un segreto riservato ai destinatari dei nastri o verrà alla luce con l'effetto di un'esplosione?
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"Suicide is painless, it brings on many changes"
Nella sua natura di storia autoconclusiva, e la cui origine letteraria si adatta alla perfezione al formato seriale, Tredici può essere considerato ad avviso di chi scrive come il miglior teen drama che la TV ci abbia proposto da diversi anni a questa parte: un prodotto basato su elementi e situazioni tipici del suo genere di appartenenza - a partire dal microcosmo scolastico, centro nevralgico dei tormenti adolescenziali - ma capace al contempo di smarcarsi dalla maggior parte dei cliché, delle ruffianerie e delle facili 'rassicurazioni' che sembrano ormai connaturate a questo filone televisivo. Per intendersi, Tredici si dimostra coerente fino in fondo con l'impostazione e il registro adottati: niente concessioni a "linee comiche" solo per accaparrarsi un pubblico più ampio, niente derive verso la soap opera né forzati twist ad effetto. La nuova serie Netflix, in sostanza, non potrebbe essere più lontana da titoli come Pretty Little Liars, Gossip Girl ed epigoni vari.
Un grande merito di Tredici, al contrario, è una coesione che gli permette di focalizzarsi al massimo sul proprio tema fondante: il malessere e la solitudine di un'età in cui la scoperta e la costruzione dell'identità personale sono minate di continuo da fattori interni ed esterni (da un affetto non corrisposto alla più terribile delle violenze). E se la parabola di Hannah diventa il paradigma in grado di sintetizzare un ampio ventaglio di esperienze angosciose, dall'emarginazione al sessismo, un necessario 'controcampo' di tali turbamenti ci è offerto dall'altro protagonista, Clay Jensen, che trova un ottimo interprete nel ventenne Dylan Minnette (già in Prisoners, nell'horror Man in the Dark e in serie TV come Saving Grace e Scandal): compagno di scuola di Hannah e suo collega nel cinema in cui lavorano quasi ogni pomeriggio, Clay è un ragazzo sensibile e introverso, ancora immerso nell'elaborazione del lutto per la scomparsa di quell'amica per la quale provava sentimenti profondi.
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L'età acerba
Ed è lo sguardo di Clay, la cui innocenza disarmante ben si coniuga al candore della sua coetanea, la nostra seconda finestra sul mondo di Tredici, insieme alla voce di Hannah. Un mondo che, pur avvalendosi di vari luoghi comuni sulla vita nei college americani, assume di puntata in puntata una credibilità che favorisce la nostra immedesimazione, conferendo un senso di ulteriore autenticità alle gioie, alle delusioni e ai drammi dei personaggi. Personaggi che, se a prima vista paiono aderire agli stereotipi canonici, in più di un caso rivelano invece un'inattesa complessità: dalla fatua cheerleader Jessica Davis (Alisha Boe) all'arrogante giocatore di basket Justin Foley (Brandon Flynn), passando per ragazzi solitari e problematici come Alex Standall (Miles Heizer) e Tyler Down (Devin Druid). In tale ottica, il famigerato concetto di "bullismo" perde quella connotazione superficiale e manichea che gli viene attribuita nella maggior parte dei prodotti a fine 'didattico' per essere descritto con una concretezza che ci permette - e permetterà agli spettatori in età da liceo - di rapportarlo alla nostra/loro realtà quotidiana.
Perché dove 13 Reasons Why surclassa gli altri teen drama contemporanei, così come tanti altri film e serie analoghi ma dal taglio smaccatamente didascalico, è proprio in questo aspetto: nel rigore con cui mette in scena l'egoismo perlopiù inconsapevole dell'adolescenza, un egoismo che rischia di sfociare nell'indifferenza, nella freddezza o perfino nella crudeltà, e le responsabilità morali sia degli individui che della collettività. Con ciò non si vuole sostenere che Tredici sia un'opera priva di difetti; ma la sua sincerità, la sua forza emotiva e l'acutezza con cui sa descrivere l'ambiente scolastico e le interazioni fra adolescenti, unite a una composizione narrativa talmente abile da risultare addirittura avvincente, ne fanno una serie davvero unica e preziosa. Un coming of age che viaggia su un doppio binario, e non solo in termini cronologici (il passato e il presente): se la storia di Hannah è un racconto di formazione interrotto prima del tempo, quella di Clay corrisponde a una presa di coscienza fondamentale per definire l'essere umano che il ragazzo si avvia a diventare, giorno dopo giorno, con tutte le sue parole, le sue azioni e le sue scelte.