Recensione Red Dragon (2002)

Sapientemente pubblicizzato come il prequel de Il silenzio degli innocenti, piuttosto che un ennesimo ed inutile remake, il film riprende praticamente a piene mani le atmosfere del film di Demme.

Tra prequel e remake

Domanda: per quale motivo fare il remake di un bel thriller, se non addirittura un cult nel suo genere, quale Manhunter di Michael Mann, "vecchio" solo di sedici anni? Sottodomanda: com'è possibile avere a disposizione quello che probabilmente è uno dei migliori cast artistici e tecnici di tutti i tempi e tirarne fuori un film poco più che mediocre?
Le risposte le potete trovare all'interno dell'articolo, nel frattempo diamo uno sguardo alla trama di questo Red Dragon: Will Graham ha lasciato l' F.B.I. in seguito alla cattura del famigerato Hannibal Lecter a causa del quale ha rischiato la vita, ma gli viene chiesto con insistenza di offrire la propria esperienza e il proprio fiuto per fermare un pericoloso serial-killer. Will accetterà e sarà costretto, per stanare l'assassino, a chiedere aiuto proprio al Dottor Lecter.

Sapientemente pubblicizzato come il prequel de Il silenzio degli innocenti, piuttosto che un ennesimo ed inutile remake, il film riprende, dopo l'inglorioso insuccesso di Hannibal, praticamente a piene mani le atmosfere (scenografie, personaggi e attori marginali e quant'altro) del film di Demme, mescolandole ad altre buone idee già espresse con maestria da Mann tre lustri prima. Aggiungiamo una nuova colonna sonora ad opera del grande Danny Elfman, la fotografia di un maestro quale Dante Spinotti e soprattutto la presenza scenica di un'intera galleria di mostri sacri come attori, ed il gioco è fatto, è una ricetta che non può fallire. E invece no, perché la genialità di una produzione del genere sta proprio in questo, nel riuscire a prendere le individualità di ognuno di questi validissimi artisti, le loro spiccate personalità e tirarne fuori un film completamente anonimo, che non dice assolutamente nulla da qualsiasi angolazione lo si voglia guardare. Forse perfino fare un brutto film sarebbe stato preferibile, almeno avrebbe dimostrato una certa volontà di mettersi in discussione, invece ne viene fuori un film guardabile, ma che si dimentica troppo facilmente.

A voler dare delle risposte alle domande espresse in cima all'articolo, a voler trovare i due principali colpevoli di questa bieca operazione commerciale ("soldi" era infatti la risposta al primo quesito) basta guardare la locandina del film: il primo imputato è Brett Ratner, regista del film, poco più che trentenne e con alle sue spalle dei video musicali per Mariah Carey e Madonna, due film con Jackie Chan e la commediola The Family Man ("scegliere un regista non in grado di gestire un cast simile" la risposta alla seconda domanda). L'altro imputato, ormai pluripregiudicato, è il produttore Dino De Laurentis: reo, e vi preghiamo di concedercelo signori della giuria, di aver dato alla luce un film vuoto come pochi, anche se dalla confezione luccicante; reo, signor giudice, di aver appiattito attori come Edward Norton, Ralph Fiennes, Harvey Keitel, Anthony Hopkins e Emily Watson, per non parlare di Philip Seymour Hoffman e Mary-Louise Parker la cui presenza è, a voler essere buoni, superflua.
Per i due imputati, signori della corte, chiediamo la massima pena, un periodo di allontanamento dalle produzioni più blasonate, e per i poveri spettatori incauti una riduzione della pena: da parte loro c'era assoluta buona fede, e siamo certi che la prossima volta saranno più attenti.
(Per coloro che hanno risposto correttamente e velocemente ad entrambe le domande, in premio un "uscite gratis di prigione" o perlomeno "un uscite gratis dal cinema" per le prossime, speriamo lontane, ghiotte produzioni De Laurentis/Ratner)

Movieplayer.it

2.0/5