Recensione La donna di nessuno (2008)

Un'eccessiva aderenza al linguaggio televisivo a penalizzare La donna di nessuno, film fondamentalmente cinico e sorretto da un cast notevole.

Tra 'polar' e piccolo schermo

L'idea di un 'polar' (fusione di policier e noir che il cinema francese, dal dopoguerra fino ad epoche più recenti, ha riproposto spesso) fondamentalmente cinico, ambientato al giorno d'oggi con un giro di prostitute d'alto bordo e le conseguenti indagini giudiziarie sullo sfondo, poteva funzionare. E in più c'era da essere curiosi, per la singolarità rappresentata dalla presenza di un esordiente italiano al timone di un progetto cinematografico allettante come questo. L'esordiente in questione, Vincenzo Marano, è uno che per giunta lavora da diverso tempo in Francia, dove si è finora diviso tra regie di cortometraggi, spot pubblicitari e soprattutto serie televisive. Ecco, in definitiva è proprio l'eccessiva aderenza al linguaggio televisivo a penalizzare La donna di nessuno, film sorretto da un cast notevole ma orientato verso un immaginario stantio, condito qui di troppi stereotipi.

La vicenda, come abbiamo in parte anticipato, si sviluppa a ridosso dell'autentico vespaio che una retata della polizia, tesa a sgominare il grosso giro di prostituzione messo su da Tante Louise (Anna Galiena), finisce per sollevare dopo la tragica fine di una delle testimoni. Ma l'attesa del processo diventa ancora più angosciante per un ristretto gruppo di personaggi, tra cui si è intanto creata una fitta serie di legami. Il nome che nel plot torna più spesso è quello di un giudice rampante che, dopo aver sposato la figlia di un ricco imprenditore amico del Presidente, fa enorme fatica a venire a capo delle proprie ambiguità. Non a caso tutti gli indizi che lasciano presagire depistaggi e altri interventi tesi a manipolare il caso sembrano condurre a lui e al piccolo potere di cui dispone...
L'ambiguità non è una prerogativa esclusiva del giovane giudice, sempre più compromesso, perché anche tra gli altri personaggi non mancano certo i rapporti torbidi, sia sul piano sentimentale che nei confronti della giustizia. Ma è proprio quel senso diffuso di ambiguità che la pellicola, intorpidita da uno stile inutilmente enfatico e para-televisivo, non riesce a comunicare nel modo appropriato. Laddove la tensione ristagna, complice la sciatteria con cui sono girate scene foriere in realtà di importanti rivelazioni, la regia poco ispirata di Marano sopperisce enfatizzando il sonoro, ricorrendo alle cure della post-produzione per mascherare lo scarso mordente di quei picchi drammatici che arrivano telefonati allo spettatore. Vi è molta più attenzione, a ben vedere, per la componente scenografica, tant'è che nonostante un'estemporanea apparizione della Torre Eiffel, la Parigi che si vede nel film non è certo una Parigi da cartolina. Per quanto le case e i locali frequentati da esponenti dell'alta borghesia o da individui a loro vicini, compreso l'attico abitato da un'altra delle testimoni chiave del processo, conservino un loro fascino, anche qui si ha l'impressione che tutto sia eccessivamente patinato. A partire dall'erotismo che fa capolino ogni tanto, troppo imbrigliato per scatenare la morbosità che ci si aspetterebbe da determinate scene.
Gli attori, in compenso, fanno quello che possono per assicurare credibilità all'intreccio, dalla nostra Anna Galiena ai francesi Laurent Lucas, Hélène De Fougerolles e Thierry Frémont. Una nota di merito va senz'altro alla sensualità e allo sguardo malizioso di Candice Hugo, cui si deve anche la sceneggiatura de La donna di nessuno, scritta in collaborazione con Clara Dupont-Monod, autrice a sua volta del racconto "Histoire d'une prostitute" cui è ispirato il film. Non ce la sentiamo di applaudire il loro lavoro, considerando come i dialoghi sfiorino spesso un'eccessiva elementarità, contribuendo a far stazionare la pellicola ben lontano dalle vette che uno come Claude Chabrol, alle prese con questo soggetto dalle potenzialità non disprezzabili, avrebbe probabilmente raggiunto.