Recensione Tetsuo (1988)

Da molti definito un esplicito omaggio ai discussi Eraserhead di Dadid Lynch e Videodrome di David Cronenberg, è la rappresentazione di un voluto estremismo stilistico e contenutistico che trova il suo sfogo nelle trovate dell'eccentrico (ma geniale) Shinja Tsukamoto.

Tra carne e metallo

Sin dalle prime scene, possiamo intuire cosa abbiamo di fronte. Un cult. Da molti definito un esplicito omaggio ai discussi Eraserhead di David Lynch e Videodrome di David Cronenberg, Tetsuo è la rappresentazione di un voluto estremismo stilistico e contenutistico che trova il suo sfogo nelle trovate dell'eccentrico (ma geniale) Shinya Tsukamoto.
Il regista sceglie di girare in bianco e nero (in 16mm), assemblando le inquadrature in modo da creare un disagio costante nello spettatore. E ci riesce alla grande. Da quando il protagonista viene investito da un'auto (sequenza "da vedere e rivedere" per la forza rappresentativa insita in essa), a quando si accorge di una escrescenza di metallo sul suo volto, alla fuga da una donna che ha un artiglio al posto del braccio, fino all'incontro con un altra "creatura" fatta di ferraglia, è tutta una rapidissima discesa (in soli 71 minuti) all'interno di un inferno particolarissimo, fatto di visioni confuse e stralci di realtà paradossale.

L'uso particolare dei frequenti stacchi, delle inquadrature traballanti, le sequenze girate con camere a mano, sono tutti elementi che rendono la visione di questo film quasi una sofferenza; accanto ai brevi e scarni dialoghi troviamo l'ossessivo concentrarsi sulle espressioni dei volti, l'insistenza sulle immagini che non hanno bisogno di spiegazioni ma sono unicamente "piene di se stesse", immediatamente inquietanti nel loro presentarsi agli occhi dello spettatore. Tutti elementi presenti (in misura variabile) in gran parte della cinematografia orientale di qualsiasi genere.
Anche il montaggio velocissimo, per esempio nelle scene in cui si vedono i personaggi correre per la città, può sembrare un pò naif ma all'interno della costruzione narrativa (per quanto di narrazione si possa parlare in un delirio come questo) funziona molto bene.

La progressiva trasformazione del protagonista non è fine a se stessa ma, volendo cercare un significato più profondo, rappresenta la perfetta messa in scena della perdità d'identità e contemporaneamente della liberazione da ogni freno psicologico, sociale e morale. L'elemento contaminante porta alla follia ma allo stesso tempo ad acquistare poteri straordinari e assolutamente fuori dal comune. Se da una parte quindi, deforma il corpo, si può dire che dall'altra lo rende qualcosa di unico, o comunque un elemento non di massa, ma superiore.
I cambiamenti nella fisionomia del protagonista sono la chiave di un cammino catartico che sfocerà in un finale discutibile, un grande omaggio del regista a quel mondo dei supereroi da lui tanto amato, e che costituisce parte fondamentale della sua formazione cinematografica.
Dal punto di vista meramente artistico, forse è proprio il suo estremismo a renderlo indigesto alla maggioranza degli spettatori, nonostante la buona prova recitativa degli attori.

In definitiva quindi un film non per tutti, ma la cui visione rimane certamente impressa per molto tempo nella mente, ed associata a un senso di diffuso fastidio e disturbo. Avvicinato più volte al genere horror, ne esprime in realtà una variante, dove il vero orrore è dato da quello che ognuno di noi non vorrebbe mai diventare.