C'era bisogno di Toy Story 4? È la domanda che ci siamo fatti un po' tutti al momento dell'annuncio della realizzazione del film, dato che - al netto di alcuni cortometraggi e speciali televisivi - la storia dei giocattoli senzienti era teoricamente giunta al capolinea, con risultati eccelsi, con Toy Story 3. E proprio alla luce di quel finale, con Woody e compagnia bella che passavano da Andy a Bonnie, era lecito mettere in dubbio la buona volontà della Pixar che, proprio con il terzo episodio, aveva inaugurato un filone di sequel usciti a un ritmo sfrenato: contando il quarto capitolo del franchise - di cui in questa occasione analizziamo il finale - che ha lanciato lo studio d'animazione, dal 2010 a oggi sono stati sfornati sette seguiti (o meglio, sei sequel e un prequel) e solo quattro film originali. Un filone aperto e chiuso, in perfetta simmetria, dalla prima creatura della Pixar, e da quel punto di vista, per tutta una serie di circostanze, il ritorno di Woody e Buzz è un finale perfetto, in tutti i sensi. N.B. Questo articolo contiene spoiler !
Chiusura del cerchio
Come dicevamo, Toy Story 3 - La grande fuga era, sulla carta, la chiusura perfetta della storia, con Andy ormai in età universitaria e i suoi giocattoli pronti a rendere felici altri bambini. Era anche il senso della canzone principale del franchise, Hai un amico in me, sul rapporto tra giocattolo e proprietario, e delle svariate discussioni tra Woody e Buzz sul loro ruolo nella vita di Andy. Il terzo capitolo aveva quindi dato la risposta giusta alla domanda che si era evoluta nel corso dei film: può un bambino vivere senza giocattoli? Toy Story 4 ribalta la domanda: può un giocattolo vivere senza un bambino? Laddove Andy è felicemente alle prese con varie responsabilità da giovane adulto, Woody non ce la fa a dimenticarlo, evocandolo anche quando - e questo è vero il più delle volte - la conversazione riguarda Bonnie. A differenza degli altri compagni d'avventura, il piccolo cowboy non si è mai del tutto abituato a stare in una nuova casa, dove è anche messo in discussione il suo ruolo da leader.
Toy Story 4, recensione: Vecchi giocattoli per nuove emozioni
All'inizio del nuovo film - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Toy Story 4 - il celebre brano è nuovamente parte integrante dei titoli di testa, che riassumono gli episodi precedenti. Eppure c'è qualcosa di nuovo nell'aria, e in quel testo che conosciamo da più di vent'anni. In particolare, la versione originale recita "And as the years go by, our friendship will never die", frase che in questo contesto si riferisce più al rapporto tra i giocattoli stessi, che rimarranno legati da un'amicizia duratura malgrado la distanza fisica che li separa. Se nove anni fa era stato commovente il saluto finale di Woody ad Andy, è altrettanto straziante, se non di più, l'ultimo abbraccio tra lui e Buzz, che chiudono anche il film vero e proprio (scene durante i titoli di coda escluse) dividendosi, a distanza, il celebre motto "Verso l'infinito, e oltre". Un infinito letterale per Woody che ora, sulla falsariga di un altro lonesome cowboy come Lucky Luke, andrà in giro, errabondo, con un nuovo gruppo di compagni d'avventura, tra cui l'amata Bo Peep. E lo farà rassicurato da Buzz, che prima di salutarlo afferma "Bonnie starà bene." Già, perché Bonnie non era Andy, ragion per cui l'ex-sceriffo può optare per una nuova vita, senza troppi sensi di colpa.
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Una nuova Pixar
Se da un lato Toy Story 4 è una nuova chiusura ideale (e definitiva) per il franchise, con tanto di battuta autoironica sul perché i giocattoli sono senzienti, dall'altro lo è ancora di più nel contesto di ciò che è accaduto alla Pixar negli ultimi anni, ma anche già a partire dal 2006, quando lo studio di Emeryville è stato acquistato dalla Disney che in precedenza si limitava a distribuire i film. L'acquisto comportò la promozione di John Lasseter a principale supervisore creativo di tutte le divisioni animate della Casa del Topo, il che portò a una contaminazione reciproca: l'approvazione esplicita di Lasseter per ogni singolo progetto significò una nuova rinascita della Walt Disney Animation dopo alcuni anni di crisi, mentre in casa Pixar si creò quella che per alcuni era una vera e propria deriva commerciale, sfruttando i vari brand introdotti a partire dal 1995. Con un occhio di riguardo per la qualità (furono bloccati vari sequel di film Pixar che la Disney, per contratto, poteva realizzare per conto proprio), ma fa comunque sorridere il fatto che siano usciti talmente tanti seguiti a distanza ravvicinata quando una delle prime cose che fece Lasseter una volta salito al potere fu sospendere definitivamente la realizzazione di sequel raffazzonati dei classici Disney fatti direttamente per il mercato home video.
Adesso, a tredici anni dall'acquisto e ventiquattro dall'uscita del primo Toy Story, Lasseter non c'è più: estromesso dalla Disney tout court a causa di lamentele per comportamenti scorretti con lo staff femminile, la sua era finisce con due sequel, quello dei giocattoli da un lato e Frozen II - Il segreto di Arendelle dall'altro (anche se nel secondo caso, molto probabilmente, il suo nome non apparirà nei titoli di coda). Dal 2020 in poi, almeno per quanto riguarda la Pixar, si guarda avanti, come suggerisce già il titolo del prossimo lungometraggio: Onward.
Quel film, avviato mentre Lasseter era ufficialmente sospeso ma non ancora allontanato definitivamente, così come tutti quelli annunciati fino al 2022, sarà una storia originale, e segnerà - si spera - un nuovo corso creativo della Pixar, attualmente in mano a Pete Docter, regista di Up e Inside Out (mentre la Walt Disney Animation è stata affidata a Jennifer Lee, autrice di Frozen - Il regno di ghiaccio). In tale ottica, una quarta avventura dei giocattoli aveva senso, affidando a coloro con i quali tutto ebbe inizio il compito di chiudere l'era dei sequel e aprire nuove porte. Woody se la caverà senza Andy, noi ce la caveremo senza i brand affermati, e la Pixar se la caverà senza Lasseter. Ora non resta che guardare avanti, verso l'infinito e oltre.