Nel Deserto del Nevada, poco distante dalla celebre Area 51, un professore napoletano (Valerio Mastandrea) trascorre le sue giornate sdraiato su un divano in mezzo al nulla. Cuffie alle orecchie, tenta di captare dallo spazio il segnale della voce della moglie Linda morta anni prima. Il progetto scientifico al quale dovrebbe lavorare, dopo sei anni di inattività, è a un passo dall'essere chiuso dall'esercito americano e l'unico contatto umano che ha è quello con Stella (Clémence Poésy), giovane e vivace wedding planner per futuri sposi appassionati di alieni, che si offre di fargli da autista.
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La sua apatica quotidianità subisce un cambiamento inaspettato quando dall'Italia arriva un pacco contenente un video del fratello Fidel (Gianfelice Imparato). L'uomo sta per morire e affida i suoi due figli, l'adolescente Anita (Chiara Stella Riccio) e il piccolo Tito (Luca Esposito), alle cure dello "zio americano". I due riporteranno colore nella sua vita, permettendogli di vivere il lutto anche come rinascita e riprendere il suo progetto scientifico. Una commedia divisa tra il rosso del deserto e la profondità dell'Universo che parla con delicatezza, risate e commozione, dell'importanza del ricordo.
Ricordi e collaborazioni ritrovate
Sono passati otto anni dal debutto al lungometraggio di Paola Randi, nel 2010, con Into Paradiso. La regista milanese, ma romana d'adozione, torna in sala con Tito e gli alieni dopo il passaggio al 35º Torino Film Festival. Un film - come racconta la Randi - nato da un'esperienza personale. "Come tutti ho subito delle perdite. Mio padre, uomo di straordinaria conoscenza e fantasia, da anziano ha iniziato a perdere la memoria. Un giorno l'ho trovato a fissare un'immagine di mia madre, morta dieci anni prima, per preservarne il ricordo. Così mi è venuta in mente l'immagine di quest'uomo sul divano, nel deserto, perso nel ricordo della moglie morta e alla ricerca della sua voce nello spazio. Ho pensato a come trovare un antidoto al dolore della perdita e ai problemi che ne conseguono nella vita delle persone che restano e devono reinventarsi".
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Come per la partecipazione di Gianfelice Imparato, protagonista del suo primo film, anche Tito e gli alieni segna una nuova collaborazione tra la regista e Valerio Mastandrea. "Con Paola ho girato il suo primo corto, Giulietta nella spazzatura, nel 2003. Come per Tito e gli alieni, ricordo che anche quando lessi quella sceneggiatura c'era qualcosa di fortemente artistico che usciva dai canoni del cinema. In questo film è stato l'aspetto poetico a colpirmi molto. Me ne sono fregato del genere. Non mi interessava come avrebbe raccontato quelle emozioni. A film fatto le ho ritrovate nonostante la fatica per realizzarlo. Paola non è solo una regista, ma un'artista pura che si porta dietro cose meravigliose e difficilissime da carpire. Non la si può definire."
Tito e gli alieni, oltre ad essere un film sull'importanza del ricordo, mostra anche un percorso di crescita, un'evoluzione umana rappresenta dalla figura del Professore che Mastandrea ha raccontato durante la conferenza stampa romana di presentazione del film. "Il mio personaggio è un uomo che che mantiene vivo il ricordo di una persona che ha perso in un modo che gli impedisce di vivere una nuova vita. E il lutto è anche questo, un ricominciare un nuovo percorso. Invece lui è come se dormisse e venisse svegliato da due mosche fastidiose che lo portano ad avere di nuovo lo stimolo a muoversi".
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America, alieni e aldilà e follia
Una produzione durata due anni per un soggetto scritto nel 2012. Oltre cinque anni di lavoro, dunque, per una pellicola girata tra Spagna, Italia e Stati Uniti e costellata, è il caso di dirlo, da set ventosi, casting lunghissimi, ricerche sul campo e riprese variegate. "Il fattore America era complicato. Per la scrittura avevo bisogno di tornare in quei luoghi nei quali ero stata anni prima. Anche la ricerca di Anita e Tito è stata difficile. Tutte le fasi di lavorazione, dalla ricerca degli attori alla post produzione passando per il mix di effetti digitali e di ripresa e le sperimentazioni sono stati un lavoro di impegno e pazienza condiviso da ognuno", racconta la regista. "Abbiamo girato nel deserto del Nevada, in una cittadina, Rachel, di 54 abitanti convinti di essere custodi di un Universo più ampio perché certi che dentro l'Area 51 lavorino insieme ingegneri alieni e terresti. Poi ci siamo spostati all'ex centrale nucleare di Montalto di Castro perché volevo che l'Area 51 sembrasse un sogno mezzo abbandonato. Mentre in Almeria, in Spagna, il set era poco distante da quello scelto da Sergio Leone per C'era una volta il West e quello de Il trono di spade".
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Una lavorazione logisticamente impegnativa come ricorda anche Valerio Mastandrea. "Tito e gli alieni è nato solo grazie al coraggio e all'audacia di Matilde (Barbagallo, la produttrice n.d.r.) che ci ha fatto fare in cinque settimane un film all'italiana. Nello stesso lasso di tempo, magari, una produzione americana realizzava solo una sequenza complessa. Avevamo quel tempo e quei soldi e le difficoltà di un film sono sempre relative a questi due fattori. Sono vent'anni che mi sento chiedere quale sia lo stato del cinema italiano. Ci sono dei risvegli artistici ma anche gli stessi problemi di sempre. E un film del genere è stato possibile solo grazie al binomio di follia di Paola e Matilde."
Una commedia di fantascienza, un viaggio tra le stelle alla ricerca delle persone amate e perdute sospeso tra poesia e osservatori che racchiudono una tecnologia-giocattolo dal retrogusto vintage. "Sono appassionata di fantascienza fin da bambina. Quando uscì Guerre stellari lo aspettavo da un anno e già sapevo tutto. Per la tecnologia del film mi sono ispirata a quella degli anni '70, ma è approcciata con ironia, umiltà e amore e, sopratutto, basata sui ricordi del Professore" sottolinea la regista che aggiunge una nota importante sulla scelta della provenienza geografica dello scienziato interpretato da Valerio Mastandrea e dei suoi due nipoti. "Napoli ha un rapporto speciale quotidiano e senza filtri con la magia e l'aldilà. Non c'è nelle altre città italiane ed era un punto essenziale per rendere credibili storia e personaggi".