Udite udite, le prime nazionali del dramma aziendale presentato fuori concorso alla 61esima Mostra di Venezia, tratto dall'omonimo romanzo di Massimo Lolli (in altre parole: Volevo solo dormirle addosso) se le sono aggiudicate le Università. Ebbene sì, una volta tanto si è scelto di dibattere prima di distribuire, di ascoltare che ne pensa il pubblico prima di sbirciare sugli incassi del botteghino.
Dopo essere stato proiettato dunque alla Bocconi di Milano, ecco che il film di Cappuccio fa capolino anche a La Sapienza di Roma, precisamente alla facoltà di Economia e Commercio, in un'aula grande ma troppo piccola al tempo stesso, tanto da finire per essere riempita da aspiranti spettatori fin sulle gradinate. Presente la maggior parte del cast, fra cui spiccano Eugenio Cappuccio (il regista, appunto), Giorgio Pasotti (alias Marco Pressi il muerto, un brillante protagonista), Cristiana Capotondi (Laura, l'aspirante fidanzata di Pressi, che invece vuole solo dormirle addosso), Faju (Angelique, l'avvenente angelo nero che ipnotizza Pressi dal cubo di una discoteca), Jun Ichikawa (Fabienne Lo, la manager franco - giapponese d'una spietatezza agghiacciante) e, last but not least, Massimo Molea (l'irresistibile Giorgio Borghi, cinico e arrivista collega di Pressi nel film, esilarante e imprevedibile comico nella realtà!).
Valletto d'eccezione, colui che introduce e passa il microfono al momento del dibattito stile Maria De Filippi è il prof Mario La Torre, criticamente affiancato da un Curzio Maltese più sorridente che mai.
Quest'ultimo è uno dei difensori più agguerriti del film, che viene invece aspramente criticato da un ragazzo che se ne dichiara addirittura profondamente deluso. Dentro di me riecheggiano le sue parole, senza avere il coraggio di fuoriuscire, non foss'altro per la bravura disarmante di Pasotti e Molea. Eppure col passare del tempo ho potuto maturare un giudizio nitido: quel ragazzo aveva ragione definendo il film "stereotipato" - e fino al midollo, aggiungerei. I colletti bianchi sono rigorosamente milanesi, come pure la ragazzetta snob tutta frivolezza e battiti di ciglia (in questo ruolo la pur graziosa Capotondi è perfetta), la panterona di turno è bella ma povera e di colore, la manager laboriosa è chiaramente giapponese e il boss tutto raffinatezza che cade sempre in piedi è, toh, francese. Le ripetute giustificazioni di Cappuccio che sostiene di aver scelto "le donne, non i colori, il simbolismo..." non ci convincono neanche un po'; al contrario, il giornalista di Repubblica sembra affascinato da ogni singolo frame di Volevo solo dormirle addosso: "Questo film non è scontato... non ci sono film italiani che parlino di lavoro: dieci sono d'amore, undici melodrammi e tredici interpretati da Stefano Accorsi!". A questa battuta ridono tutti inspiegabilmente, persino la Capotondi che con Accorsi in Casanova dichiarava di essersi trovata tanto bene. Tutti tranne Pasotti, che dimostra ancora una volta la sua professionalità rispondendo alla simpatica (ma io direi imbarazzante) domanda di un ragazzo: "Come faccio a diventare attore? Mi raccomandate per favore?!??", domanda che aveva già sentito il regista pronunciarsi in un "Beh tu intanto manda il curriculum, poi vedremo...", mentre Giorgio esordisce in un saggissimo: "Vedi di studiare. Il nostro, può non sembrare, ma è un mestiere difficile: siamo migliaia e i ruoli da interpretare sono realmente pochissimi". Da applauso!
Curiosa, inoltre, la definizione che Cappuccio fornisce del suo film: "E' un film sul lavoro, ma anche sulle persone che lavorano...è un affresco di sgradevolezze... Giorgio (Pasotti, il protagonista - N.d.R.) ci fa un po' da Virgilio nel rappresentare la sgradevolezza generale".
Sulla sgradevolezza di fondo sono assolutamente d'accordo, il divertimento che alcuni hanno trovato guardando il film non è che mera "risata amara" sulle spalle di quei poveracci che si vedono "segati"(=licenziati).
E il tormentone, quel ti stimo molto che rimbomba fastidioso nelle orecchie dello spettatore per tutto il film e che dopo i titoli di coda sfavilla sulle magliette rosse che la produzione offre in omaggio? Niente paura, anche per questo il regista, la cui disponibilità è seriamente ammirevole, ha la risposta pronta: "Ti stimo molto" è quasi uno short cut, Pasotti l'ha usato come punteggiatura man mano che la storia andava avanti, dando di volta in volta sfumature diverse. E' anche un modo con cui Marco Pressi esprime le sue nevrosi: nel "ti stimo molto", anche quando licenzia i dipendenti, non c'è mai ipocrisia."
Rifletto su quest'ultima affermazione mentre ascolto divertita Molea che interviene scherzoso a risposta di una gaffe bell'e buona della Capotondi ("Per me che sono romana non è stato facile parlare in milanese... è che non volevo sembrare una macchietta come Massimo!") esclamando un: "Toh e io che pensavo di essere un buon attore!"
Tanta simpatia, quindi, tanta disponibilità ma... mi chiedo se sia il caso di dire tantà qualità, a livello cinematografico.