Thunderbolts di Jake Schreier è un ottimo film perché parte dalla scrittura e non dalla solita azione esasperata che ha contraddistinto gli ultimi dimenticabili titoli del Marvel Cinematic Universe. Il 36° lungometraggio dell'MCU, infatti, rivede il concetto di comunità, partendo da sentimenti universali: la paura, la noia, la solitudine, lo spaesamento emotivo.

Insomma, grazie agli anti-eroi guidati dalla Yelena Belova di Florence Pugh (di diritto, tra i migliori personaggi dello studio), nell'enorme saga targata Kevin Feige torna l'elemento che ha identificato quasi tutti i film, fino ad Avengers: Endagame. Ovvero: il dramma. Basti pensare alla traccia lasciata dalle persone avvolte dall'oscurità generata dal cattivo-non-cattivo Sentry. Il riferimento visivo è chiaro: le ombre di Hiroshima dopo l'esplosione nucleare. Una rappresentazione potente, concreta e inquietante per mostrare l'idea di un vuoto che si espande.
In fondo, nell'MCU, è mancato il tormento, è mancata l'umanità, è mancata quella vulnerabilità che taglia e si staglia sopra allo scalcinato team guidato da Yelena, assillata da un passato che non le da tregua: un appesantito Red Guardian (David Harbour), l'impostore John Walker alias U.S. Agent (Wyatt Russell), e poi ancora la Ava Starr di Hannah John-Kamen e, soprattutto, il Bob aka Sentry di Lewis Pullman. Finalmente, un villain alternativo e disfunzionale. Un villain come si deve: oltre il senso del cattivo, piuttosto il conseguente risultato di una società che schiaccia e non abbraccia.
"Un film di supereroi in stile A24"
Una vera e propria tempesta emotiva che non rinuncia allo humour e alla spettacolarità, puntando ad un approccio più intimo, quasi indipendente. La stessa Florence Pugh, in un'intervista di qualche mese fa, parla di quanto Thunderbolts fosse "un film di supereroi in stile A24". Niente di più vero. Non è un caso, in fondo, che a scrivere il film ci sia Joanna Calo, autrice di una delle migliori serie recenti, The Bear (a proposito di tormenti).
E del tono, così come della costruzione, ne abbiamo parlato proprio con Jake Schreier durante il junket organizzato per l'uscita del film: "Quando ho accettato di lavorare al film, una delle prime indicazioni di Kevin Feige è stata: "Rendilo diverso, prova un approccio nuovo". Volevamo quasi tornare all'essenza del fumetto del primo ciclo e a ciò che Paul Jenkins e Jay Lee avevano creato. Per realizzare un film, avevamo bisogno di altri personaggi che potessero risuonare con le loro idee e condividere qualcosa della loro esperienza, in modo da costruire una storia coesa in cui tutti gli elementi si incastrassero perfettamente. Quindi, mi è sembrata una progressione naturale dei personaggi".
Thunderbolts* rompe le regole: niente battaglia finale (finalmente)

A tutti gli effetti, Thunderbolts è un film di rottura rispetto agli altri titolo del franchise. Per portata, personaggi e, soprattutto, per svolte. La più classica final battle, gioia e cruccio degli spettatori, è totalmente rielaborata seguendo un senso scenografico nuovo, e probabilmente più potente. A riguardo, il regista spiega: "Non esiste un modo "tradizionale" per sconfiggere la natura di Bob alias Sentry. Era quasi inevitabile che la risoluzione dovesse avvenire a livello psicologico".
Un esempio di tangibile innovazione, se pensiamo ai precedenti capitolo dell'MCU, "La sfida, poi, è stata capire come drammatizzare questo aspetto in modo più fisico. Come entrare in un mondo in cui questa dinamica interiore potesse essere rappresentata in maniera tale da non ridursi a una semplice conversazione? Non volevamo quello che online viene definito "talk no jitsu". Abbiamo cercato un modo per creare un contesto drammatico in un mondo che apparisse reale, spaventoso e con una vera posta in gioco, per giustificare quella battaglia finale", prosegue Schreier.
La bellezza dei personaggi storti
Dall'altra parte, partendo dai personaggi, e dalla costruzione narrativa, Thunderbolts sembra aver colto, più di altri, lo spirito interdetto e precario che stiamo vivendo. "Ho capito molto lavorando alla serie Lo scontro - Beef. Lo showrunner Lee Sung Jin ha collaborato alla stesura del nostro film. Del resto, ho compreso quanto sentimenti come la depressione, la solitudine, l'isolamento e il vuoto non siano più concetti di nicchia. Ormai credo che tutti possiamo ammettere di averli affrontati in un momento o nell'altro della nostra vita. Questi sono temi universali che meritano di essere esplorati anche all'interno di un grande film d'azione".

E poi, di nuovo, Thunderbolts, come fu per I Guardiani della Galassia di James Gunn, dimostra quanto gli outsider e i perdenti siano preziosa materia cinematografica. Il motivo? Semplice: personaggi storti e irregolari sono il grado zero di separazione tra noi e il grande schermo. "Tutta una questione di familiarità. Tutti abbiamo attraversato momenti difficili", dice il regista, "Molti di noi credevano di essere destinati a qualcosa di grande. Da giovani, si tende a immaginare il meglio, ma poi le cose non sempre vanno come vorremmo, oppure si commettono errori o ci si trova ad affrontare situazioni inaspettate. A quel punto, la domanda diventa: "Dove andiamo?". Penso che sia un interrogativo che tutti i personaggi del film si pongono, e con cui chiunque tra il pubblico può identificarsi".