Three Faces: la maledizione delle donne e degli artisti nell'Iran di Jafar Panahi

Seppur colpito in ciò che più gli sta a cuore, Jafar Panahi continua a nutrire un profondo amore per l'Iran e lo dimostra nel tono bonario che accompagna le critiche.

Three Faces: un'immagine tratta dal film di Panahi
Three Faces: un'immagine tratta dal film di Panahi

Nonostante il divieto di esercitare l'attività di regista impostogli dal governo iraniano, Jafar Panahi presenta in concorso a Cannes il suo quarto film realizzato dopo l'interdizione. La figura dell'artista e dell'intellettuale alle prese con regimi illiberali o con i pregiudizi del popolo è ormai il tema principe attorno a cui ruota la poetica del maestro iraniano. Un'ossessione legata alla condizione vissuta che lo ha spinto a porsi al centro della storia, spesso recitando in prima persona nei panni di se stesso in un gioco di specchi infinito che, tra l'altro, gli permette di tamponare le difficoltà produttive che deve affrontare. La fantasia e la grazia con cui Jafar Panahi confeziona i suoi lavori gli permette, però, di costruire piccoli pamphlet in cui la riflessione sull'Iran odierno viene declinata in una serie infinita di varianti.

In Three Faces, Panahi parte dal disperato videomessaggio inviato al cellulare della celebre attrice Behnaz Jafari da Marziyeh, adolescente che sogna a sua volta di calcare le scene, ma la cui famiglia le impedisce di frequentare la scuola d'arte. Nel videomessaggio Marziyeh inscena un suicidio improvvisato impiccandosi a un ramo in una grotta. Ma se la ragazza è morta davvero chi ha inviato il messaggio a Behnaz Jafari? L'attrice coinvolgerà il regista Panahi per scoprirlo convincendolo a intraprendere un lungo viaggio in macchina che li condurrà fino ai villaggi al confine con la Turchia, da dove proviene la famiglia del cineasta.

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Un road movie intimo

Three Faces: una scena del film
Three Faces: una scena del film

L'ultima fase della produzione di Jafar Panahi dimostra come, nonostante le vicissitudini legali, il regista non abbia perso il senso dell'umorismo. Humor che infonde a piccoli tocchi strappando un sorriso anche in situazioni delicate. Partiamo dal MacGuffin che dà il là al viaggio di Three Faces, il videomessaggio che vediamo nell'incipit. Non sono in molti gli adulti disposti a credere che Marziyeh si sia realmente suicidata. L'unica a mostrare una certa preoccupazione per la ragazza, oltre a Behnaz Jafari, è la madre della giovane, scomparsa da casa da tre giorni. Lo stesso Jafar Panahi, più perplesso che preoccupato, affronta il lungo viaggio con placida rassegnazione e in più di un'occasione le sue reazioni agli inconvenienti del tragitto strappano un sorriso allo spettatore.

Three Faces: un momento del film
Three Faces: un momento del film

Ben poco divertente è, invece, il quadro sulla condizione della donna che emerge dal viaggio nel cuore dell'Iran. I "tre volti" del titolo si riferiscono a tre donne diverse per generazione e provenienza, ma accomunate dal fuoco sacro dell'arte. Behnaz Jafari è un'attrice affermata e rispettata, volto noto in Iran, ma tra una richiesta di autografo e l'altra gli abitanti del villaggio sembrano avere difficoltà a scindere la sua persona dai ruoli che interpreta. In più per tutto il viaggio l'attrice deve fare i conti con le telefonate minacciose del produttore del film che ha abbandonato all'improvviso per soccorrere Marziyeh il quale non esita a insultarla. Anche la giovane Marziyeh ha i suoi problemi. Il turbolento fratello preferirebbe vederla morta piuttosto che in una carriera artistica e l'intero villaggio la considera una ragazza senza cervello, un'illusa. La terza donna in questione, Shahrzad, non viene mai mostrata, ma da quanto riferito si tratta di un'ex attrice e ballerina che si è ritirata dalle scene per dedicarsi alla pittura ed inizialmente ha dovuto sopportare l'ostracismo del villaggio.

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L'arte imita la vita che imita l'arte

Three Faces: un'immagine tratta dal film di Panahi
Three Faces: un'immagine tratta dal film di Panahi

Nel suo viaggio attraverso l'Iran, Jafar Panahi mette in luce il sessismo imperante, ma anche i pregiudizi e le credenze legate a rituali arcaici che ancora imperano in tutte le fasce di età. Non senza un tocco di ironia, il regista mette a confronto il complicato sistema di colpi di clacson necessario per regolamentare il traffico nell'unica via di accesso al villaggio di Marziyeh ("le regole sono necessarie" afferma uno degli anziani, poi contraddetto dalla ragazza che commenta amaramente "hanno le regole solo per la strada, ma per il resto fanno ciò che vogliono") con la fede nell'antico rito della sepoltura della pelle avanzata dalla circoncisione per propiziare una carriera, piuttosto che un'altra, per figli e nipoti.

Three Faces: un'immagine del film
Three Faces: un'immagine del film

Al di là del tono leggero, Three Faces non nasconde l'amarezza per la condizione in cui versano artisti, donne e tutti coloro che vengono bollati come non conformi al pensiero comune in Iran. Pur scorrevole, la pellicola lascia spazio a lunghi momenti meditativi in cui il chiacchiericcio dei personaggi cede il passo a lunghe inquadrature silenziose in cui lo sguardo si perde nel paesaggio aspro. Seppur colpito in ciò che più gli sta a cuore, Jafar Panahi continua a nutrire un profondo amore per l'Iran e lo dimostra nel tono bonario che accompagna le critiche. Non mancano i momenti di fascinazione nei confronti della provincia rurale, fotografata con sguardo minimalista nella realtà quotidiana, dal funerale alla mucca che blocca la strada, dal conciliabolo di anziani che bevono il té al chiacchiericcio giudicante che colpisce tutto e tutti. L'affezione per il proprio paese si accompagna, però, all'incertezza su un futuro che agli occhi di Panahi non appare troppo roseo. Così, come nel precedente Taxi Teheran, anche in questo caso il film si chiude con Behnaz Jafari e Marziyeh che camminano verso l'orizzonte. Un orizzonte incerto come il futuro che attende il regista e il suo paese.

Movieplayer.it

3.5/5