Tra tante notizie e le inevitabili polemiche che ne conseguono, cresce l'attesa per la prossima stagione di The Witcher, la serie Netflix tratta dai romanzi di Andrzej Sapkowski già adattati in modo brillante in forma di videogiochi. Per ingannare il tempo, però, la popolare piattaforma streaming ci propone nel giorno di Natale 2022 una nuova produzione che ne rappresenta una costola, in modo non dissimile da quanto fatto lo scorso anno con il film d'animazione The Witcher: Nightmare of the Wolf sul passato di Vesemir: anche in questo caso si guarda indietro, anche in questo caso quindi si tratta di uno spin-off che è anche un prequel, ma il formato è diverso perché The Witcher: Blood Origin è una miniserie in quattro episodi.
C'era una volta...
In questo caso lo sguardo degli autori punta a un passato ancor più remoto del film animato, perché la storia è ambientata 1200 anni prima degli eventi di The Witcher, per raccontarci da una parte un mondo parzialmente diverso da quello che già conosciamo, concentrandosi sugli eventi che hanno portato al cataclisma noto come Congiunzione delle Sfere ma mostrandoci anche l'antico popolo elfico prima della sua caduta, dall'altra un momento cruciale per la mitologia della serie: la creazione del primo Witcher, o Strigo se vogliamo dirla all'italiana. Una storia che si concentra su un momento specifico e sull'impresa di un piccolo gruppo di personaggi, attorno a cui costruire il racconto.
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Uno spaccato narrativo
La storia di The Witcher: Blood Origin segue, quindi, la graduale formazione del gruppo e la missione impossibile che deve portare a termine, un po' come un Rogue One dell'universo creato da Sapkowski. Da questo punto di vista, come spaccato che si concentra su un evento limitato nel tempo, la serie funziona, ma è un peccato che non abbia concentrato più sforzi sulla descrizione e l'approfondimento dei protagonisti. Un peccato perché il cast messo in piedi per questo spin-off/prequel fa egregiamente il suo dovere, da Laurence O'Fuarain e Sophia Brown a Michelle Yeoh, Lenny Henry e Mirren Mack: funzionano i loro personaggi, è efficace la prova degli interpreti, ma conferma il rammarico di non aver avuto più spazio e tempo, limitato a soli quattro episodi, per raccontarceli a dovere.
Espandere l'universo di The Witcher
Blood Origin risulta in ogni caso godibile ed efficace nell'aggiungere un tassello all'universo di The Witcher che poco a poco si sta componendo su Netflix, coerente con l'impostazione narrativa (e purtroppo anche i limiti tecnici, a causa di una CGI non sempre all'altezza della situazione) della serie madre ed altrettanto efficace per andare a riempire lo spazio tra una stagione e l'altra. Una strategia produttiva e distributiva che ci sembra interessante e proficua, un banco di prova riuscito per la definizione e arricchimento dei brand forti di casa Netflix, probabilmente applicabile anche ad altri grandi titoli della piattaforma. Che al termine dei quattro episodi si resti con la voglia di averne ancora e di sentirsi raccontare altre storie dal mondo di The Witcher ci sembra un effetto positivo in vista delle stagioni successive. Forse è proprio questo uno degli scopi di titoli del genere.
Conclusioni
È emerso un misto di soddisfazione e rammarico nella nostra recensione di The Witcher: Blood Origin, perché da una parte abbiamo apprezzato il modo in cui la serie riesce a espandere l’universo della saga raccontando un momento specifico del passato della sua ambientazione, ma dall’altra dispiace non aver avuto modo, in soli quattro episodi, di approfondire dei personaggi che ci sono sembrati interessanti e ricchi di spunti. Questo anche grazie al lavoro di un cast di interpreti in parte, capaci di tratteggiarli pur col poco tempo a disposizione. Blood Origin resta comunque una costola godibile, e coerente per narrazione e impostazione, del franchise, capace di ingannare il tempo in attesa della prossima stagione e tener vivo l’interesse del pubblico.
Perché ci piace
- La capacità di espandere il mondo della saga Netflix, ingannando l’attesa in vista della prossima stagione.
- Il gruppo di protagonisti e relativo cast, con menzione speciale per la Meldof di Francesca Mills.
- La coerenza visiva e narrativa con la serie madre…
Cosa non va
- … anche nei difetti, evidenti in una CGI non sempre all’altezza della situazione.
- Peccato non aver avuto più spazio e tempo per approfondire i personaggi, che offrivano spunti interessanti.