Il folle con la benda sull'occhio e il dittatore con la mazza sempre in spalla. Il Governatore e Negan sono stati i due grandi antagonisti di The Walking Dead, nemesi di Rick come leader, padri ed esseri umani, emblemi di due corsi dello show che ci sembrano ormai lontani anni luce. Adesso è cambiato tutto. La serie ha cambiato pelle. Così come si può fare a meno di Rick, anche lo show non si riconosce più in un singolo nemico, ma allarga i suoi orizzonti verso il collettivo. In quest'ottica The Walking Dead 9x07, anche se non privo di difetti, riesce a mettere in chiaro gli intenti di una serie ormai in piena mutazione, sia nel tono che nella morale di fondo. E in questa recensione proveremo a spiegarmi come e perché.
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E partiremo proprio dai nemici di cui sopra, una figura a cui The Walking Dead sta praticamente rinunciando da almeno sette episodi. Dopo la fine della (deludente) guerra contro Negan, il capo dei Salvatori è stato usato col contagocce, il che lo rende sempre atteso e intrigante nel suo nuovo stato di prigioniero. Con gli zombi a fare da solito (e sempre meno minaccioso) sottofondo, lo show si appresta a dare il benvenuto ai Sussurratori, una comunità di persone che ha sposato uno stile di vita estremo. Nonostante sia tutto noto grazie al longevo fumetto di Robert Kirkman, non staremo qui a rovinare la sorpresa a chi The Walking Dead lo guarda e non lo legge, ma è chiaro che anche la figura del "cattivo di turno" diventerà più destrutturata e meno legata a un solo nemico come in passato.
Questo perché lo show sta seguendo una nuova via: meno polarizzata su pochi volti iconici e più aperta al concetto stesso di comunità. Che piaccia o no, Stradivarius sancisce il superamento della leadership e trova il coraggio di introdurre nuovi volti alle redini di uno show che doveva cambiare per sopravvivere.
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L'unione fa la forza: oltre i sospetti di Michonne
Quando abbiamo descritto le nostre aspettative per la nona stagione di The Walking Dead, avevamo una grande speranza: meno comprimari inutili (Rosita, padre Gabriel, Enid, Aaron) e più spazio alla vecchia guarda troppo messa da parte negli ultimi tempi (Michonne, Carol, Daryl). Una speranza che poteva essere facilitata dal grande addio di Andrew Lincoln e del suo vice-sceriffo Grimes. Dopo sette episodi, possiamo dirci alquanto soddisfatti. Per quanto non manchino sequenze "riempitive" e poco utili all'interno dell'economia narrativa della serie (vedi l'addestramento tra Jesus e Aaron che vorrebbe creare complicità tra i due, ma risulta forzata e frettolosa), lo show ha capito che doveva cambiare prima di tutto le seconde linee. Ecco così arrivare un nuovo gruppo di sopravvissuti che in appena due puntate è riuscito a catturare il nostro interesse più di quanto i vecchi co-protagonisti avessero fatto in stagioni intere. Magna, Yumiko, Kelly, Connie e Luke (che è entrato in scena con sospetto tempismo, visto che è interpretato da Dan Fogler, ovvero il Jacob Kowalski di Animali Fantastici) hanno caratteri ben definiti e un loro background abbozzato ma in grado di delinearne la personalità. Non a caso Stradivarius dedica molto spazio al quintetto.
Il loro spostamento da Alexandria a Hilltop, ormai guidata da un riluttante Jesus, visto che Maggie ha seguito le orme di Georgia (la misteriosa donna apparsa nell'ottava stagione con un piano di sopravvivenza in mano), è uno dei motori dell'azione. Pur mancando quasi sempre di pura tensione, è interessante come i nuovi arrivati fungano da espediente per smuovere un cambiamento in Michonne, ancora rigida e piena di legittimi sospetti verso l'altro. The Walking Dead, che anche nel fumetto dà spesso il meglio di sé nei momenti di quiete tra un ciclo bellico e un altro, sembra voler sfruttare l'abile spadaccina come simbolo di un modus vivendi da cambiare. Condividere, stare insieme, non dimenticarsi di ciò che ci rende umani (che sia anche un libro o la corda di un violino): sono queste le vere armi nelle mani dei personaggi. Tutto ciò che segna il labile confine tra il sopravvivere e il sentirsi ancora vivi.
Chi fa da sé, fa per tre: Daryl, il solitario
Sussurri minacciosi, frasi sconnesse, inquadrature degne di un classico horror. Purtroppo l'incipit di Stradivarius, con Rosita attanagliata dai Sussurratori è solo un assaggio, la promessa di cose che verranno. Forse è solo un omaggio del suo vecchio amore, visto che l'episodio è stato diretto da Michael Cudlitz (ovvero il nostro compianto Abrham), al suo esordio come regista. In realtà The Walking Dead sta ripercorrendo quando fatto con Negan: anche questa volta i villain di turno si fanno attendere e pregustare dal pubblico. Ma i Whisperers non solo l'unica cosa che si muove tra i boschi. In netta opposizione con quanto detto finora, c'è chi ha scelto la via della solitudine, chi della comunità non sa più che farsene. Schivo, tormentato e diffidente, Daryl è sempre stato il personaggio più misterioso dello show.
Grazie al carisma di un imploso Norman Reedus, l'uomo della balestra si conferma ancora più avulso dalla società civile, preferendo una vita da vagabondo in compagnia di un fedele segugio. Il suo (assai gradito) faccia a faccia con Carol mette in gioco vari temi (e ribadisce gli storici problemi di Daryl con l'igiene personale). In primis ci conferma che il tenero tra i due va sempre un po' oltre la semplice amicizia (complice la frecciatina del nostro verso Ezekiel); poi ci racconta di un Daryl non ancora del tutto arreso alla morte di Rick, visto che il mancato ritrovamento di un cadavere anima qualche flebile speranza. Però, The Walking Dead non cade nella facile trappola della nostalgia e guarda avanti con fierezza. C'è un nuovo mondo non tanto da ricostruire, ma da ravvivare. Ci sono vecchi personaggi da ridefinire, nuovi arrivati da accogliere. Martello alla mano, lo show costruisce lentamente nuove fondamenta per lanciarsi verso un futuro diverso. Un futuro che bisbiglia.