The Valet, la recensione: la grandezza della semplicità

La nostra recensione di The Valet, diretto da Richard Wong e disponibile sulla piattaforma Disney+: un film dal cuore grande.

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The Valet: una scena del film

Quanta grandezza può nascondersi nella semplicità? Tanta, a volte tantissima. E come sottolineeremo nella recensione di The Valet (disponibile sulla piattaforma Disney+) a volte basta la commistione di ingredienti semplici per ottenere una ricetta succosa, gradevole, ma non per questo banale. William Wordsworth affermava che "bisogna vivere con semplicità e pensare con grandezza" ed è proprio tra le pause di questa citazione che sembra nascere e svilupparsi tutta l'essenza del film diretto da Richard Wong. Un'opera, The Valet, dove la semplicità di racconto va a infondersi con una semplicità dell'essere del proprio protagonista, capace nella sua umiltà di pensare e agire in grande, scuotendo pianeti umani e visioni arroccate su un mondo egocentrico ora pronto a spostare la propria asse terrestre, e modificare così un percorso di rotazione capace di abbracciare più universi, più storie, più vite.

Sembrano due pianeti posizionati ai lati opposti del proprio sistema solare, Antonio e Olivia. Parcheggiatore lui, diva hollywoodiana lei; eppure basta un colpo di scena che i loro assi si congiungono, e tutto cambia, muta, generando una girandola di equivoci, momenti esilaranti e performance nella performance, pronti a condurre il proprio pubblico verso un nuovo sistema di racconto da esplorare, proprio come un parcheggiatore che conduce una macchina di lusso al sicuro, lungo un sentiero solido, già battuto, eppure del tutto innovativo e rassicurante.

THE VALET: LA TRAMA

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The Valet: Eugenio Derbez in una scena del film

Brilla la luce della stella hollywoodiana Olivia Allan (Samara Weaving). La sua è una carriera lanciata negli astri della Settima Arte, eppure qualcosa rischia di insinuarsi all'ombra del suo successo. Se anche le stelle piangono, ed è vero che al cuor non si comanda, Olivia non è certo da meno: innamoratasi di un uomo sposato, il vanesio (e fedifrago) miliardario Vincent (Max Greenfield), la donna cerca in tutti i modi di tenere nascosta tale relazione, così da evitare ogni tipo di danno di immagine. Ma il destino, si sa, è imprevedibile, ed ecco che una sera un paparazzo immortala insieme i due amanti, rischiando di mettere in gioco la carriera (e vita privata) di entrambi. Finito con la propria bicicletta sul cofano di una macchina, il solerte parcheggiatore Antonio (Eugenio Derbez) finisce per sbaglio anche lui nello scatto, per poi essere ingaggiato per fingersi il nuovo fidanzato di Olivia come copertura. Questo stratagemma spinge Antonio sotto i riflettori, trasportando la sua vita, e tutti i componenti della sua famiglia, al centro di un caos inaspettato.

IL METACINEMA DEL SUCCESSO

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The Valet: Eugenio Derbez, Samara Weaving in una scena del film

Nella città delle stelle, degli angeli, e di strade illuminate dai flash dei paparazzi come quelle di Los Angeles, tutti possono diventare attori e tutto può tramutarsi in film. C'è una struttura meta-cinematografica alla base di The Valet capace di mescolare all'interno di un "mixer filmico", realtà e finzione, vita che scorre su pellicola, e quella raccordata dall'alternarsi continuo di impegni, casa, e famiglia. La star che per salvare la propria reputazione, e quella del suo amante, si fa interprete alla seconda di una messinscena realizzata a fianco di un interprete della realtà, l'umile parcheggiatore Antonio, è una reduplicazione del concetto shakespeariano dell'essere tutti attori sul palcoscenico della vita, corpi indossanti delle maschere con cui interpretare una parte, sia essa per pochi giorni, o nello spazio di un'esistenza intera. Ed è proprio tra gli interstizi di questi atti teatrali portati in scena, come tanti happening improvvisi, su palcoscenici reali, che The Valet sigla il proprio successo, sospendendo per un attimo il confine tra realtà e mondo diegetico, e farsi portavoce così di un nuovo concetto di fiaba moderna, dove non per forza il principe bacia la principessa, ma il gioco delle menzogne e le gallerie delle bugie ristabiliscono uno status-quo così simile, eppure del tutto diverso, da quello di partenza. Eroi senza armi, o abilità, Olivia e Antonio si fanno comunque guide privilegiate di uno sviluppo evolutivo che li migliora senza per questo sconvolgere le loro essenze.

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LA COMMEDIA DELL'ESSERE UMANO

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The Valet: un'immagine del film

È una commedia sentimentale, The Valet, che tenta in tutti i modi di non rivelarsi tale. Riconoscendone i tratti essenziali, la pellicola si slega comunque dei cliché del proprio genere di appartenenza non certo per elevarsi a qualcosa di nuovo e sperimentale, ma per ritrovare nella solita, reiterata essenza, quella semplicità tante volte dimenticata, eppure così inconsciamente (ed empaticamente) d'impatto. Ciononostante, The Valet rimane una commedia sentimentale. L'emozione c'è, si percepisce in ogni singolo raccordo, sebbene non nasca dalla fucina di due cuori che battono all'unisono, o di due anime gemelle unitesi dalla forza di uno sguardo, bensì dalle pagine di un contratto invisibile, dall'imbarazzo per una recita con protagonista un semplice parcheggiatore nei panni di un amante, pronto a tramutarsi in amicizia vera, solida, leale. Lasciandosi alle spalle gli stereotipi della tipica love-comedy, il regista Richard Wong, co-adiuvato dagli sceneggiatori Bob Fisher e Rob Greenberg, si immerge nel campo del buddy-movie, inseguendo un senso del comico e la potenza di una risata con estrema semplicità e leggerezza. Non c'è mai nulla di forzato nello scorrere degli eventi in The Valet. Supportato da una regia che decide di non osare, per nascondersi dietro la potenza delle performance attoriali e consolidare così - fino a esaltarla - la componente umana della propria opera, il film si fa apprezzare proprio per quel suo disvelarsi in punta di piedi, tra scambi di battute colme di ironia (si pensi ai battibecchi tra Antonio e la madre) e situazioni mai veramente assurde, ma sempre ancorate a un senso di realtà. Un gioco semplice e di facile interpretazione quello qui portato in scena, capace di stabilire un racconto diretto con il proprio pubblico, permettendogli di innescare il famigerato processo di immedesimazione affettiva.

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VIVERE LA VITA UNA BUSTINA (CHIUSA) DI KETCHUP ALLA VOLTA

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The Valet: Max Greenfield, Betsy Brandt in una scena del film

Come può essere la vita per chi raccoglie bustine di ketchup dai ristoranti senza mai aprirle? Incapace di godersi appieno le giornate, Antonio se le vede sfuggire, in perpetua sospensione, come chi è sul punto di aprire la confezione di una bustina che non si gusterà mai. Non ha coraggio di aprire se stesso a nuove opportunità, ai meriti e alle soddisfazioni che si merita,Antonio, preferendo procrastinare quel momento, allo stesso modo in cui ritarda il famigerato utilizzo delle bustine di ketchup. La timida insicurezza e dolce ingenuità di un personaggio così fragile - e pertanto fortemente umano - come quello di Antonio è una girandola di emozioni nata dal pozzo di una psicologia introspettiva che il suo interprete riesce a restituire con estremo naturalismo e sensibilità. Sembra non recitare mai Eugenio Derbez (visto recentemente in CODA, qui la nostra recensione) limitandosi a mettere in pausa la propria personalità, per elevarsi a semplice presta-corpo dello spirito di un uomo sotto forma di idea e ora trasposto dall'attore in forma cinematografica. Le espressioni che segnano il viso di Derbez sono una mappa umana di un territorio pieno di dislivelli; una montagna russa di emozioni, sentimenti, pronti a trovare nella mimica facciale dell'attore una loro perfetta resa visiva. Non parla molto Antonio, perché timido, impacciato, o semplicemente perché obbligato a non farlo. Eppure, ogni volta si trovano nascosti dietro quei non-detti, portali privilegiati pronti a far accedere lo spettatore nell'interiorità di questo uomo preso in prestito da una realtà altra, per immergersi con facilità all'interno della realtà posta oltre la cornice cinematografica. La stessa Weaving dosa con sapiente talento le proprie espressioni, caricandole quando il personaggio stesso lo richiede, o rinchiudendosi in una granitica apatia perfettamente coerente all'umore scaturito in seno a un'esperienza appena vissuta. Per una commedia giocata sui sentimenti, e sulla potenza delle relazioni interpersonali, The Valet si sveste di virtuosismi registici e di montaggi dinamici, per concentrarsi sulla sua componente prettamente umana. Grazie al talento dei propri interpreti, la galleria di uomini e donne che sfilano davanti alla cinepresa di Wong non si discosta molto da quella che il pubblico si aspetterebbe di vedere ai piedi di un red carpet, o nel piccolo appartamento di una famiglia messicana. Lo spirito del tempo e di una Los Angeles cosmopolita, si insinua nello strato epidermico dei propri personaggi, regalando al pubblico un affresco reale, tangibile di mondi agli antipodi pronti a incrociarsi, scontrarsi, colpirsi con la stessa forza di una bicicletta sul cruscotto di un'automobile di lusso.

Un racconto semplice, ma tanto grande, quello di The Valet, proprio come grande è il cuore di Antonio, parcheggiatore fragile, umano, semplice.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione di The Valet sottolineando come il film disponibile su Disney+ sia un racconto tanto semplice quanto emotivamente d'impatto. Un saggio sincero su come certi racconti umani non hanno bisogno di chissà quale virtuosismo, ma necessiti solo di chimica, attori in parte e tanto cuore.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • La chimica tra gli attori
  • Il naturalismo delle performance
  • I battibecchi domestici
  • La struttura meta-cinematografica

Cosa non va

  • La durata