Avevamo già notato Lorcan Finnegan con il suo Vivarium, interessante thriller psicologico di stampo fantascientifico che potete trovare su varie piattaforme, ma con il suo quarto film The Surfer abbiamo la conferma di un talento da tenere d'occhio. Per il regista irlandese è un ritorno a Cannes, questa volta nella cornice pittoresca della proiezione di mezzanotte, dopo esser stato proprio con Vivarium nella Semaine de la Critique nel 2019. È un film che ci ha sorpreso per diversi motivi di cui vi parleremo a seguire nella nostra recensione, e non solo per l'aver come protagonista un attore di grande carisma come Nicolas Cage, che ci regala un altro ruolo cult della sua carriera. Nonostante la presenza dell'attore, il regista non si adagia sulla sua presenza, e gli costruisce attorno un meccanismo narrativo che funziona e cattura dall'inizio alla fine.
Un sofferto ritorno a casa
The Surfer inizia da un sogno, da un desiderio, dalla voglia di ritorno a casa. Il surfista del titolo è infatti un uomo mosso da una duplice spinta emotiva: da una parte un qualcosa di apparentemente piccolo, il portare il figlio a surfare nella spiaggia della sua infanzia; dall'altra, per estensione, un grande ritorno a casa, con il sogno che sembra sul punto di concretizzarsi di acquistare la casa che affaccia su quell'angolo di spiaggia e di mare, quella che era stata di suo padre e in cui era nato e cresciuto.
Il ritorno a un luogo per lui idilliaco che si rivela più problematico del previsto: ad accogliere padre e figlio c'è un gruppo di uomini del posto che hanno adottato e professano una regola di chiusura territoriale rigida e minacciosa, accogliendo in spiaggia solo gente del luogo. "Non vivi qui, non surfi qui" dicono loro e l'invito ad andare via diventa l'avvio di una guerra psicologica, e non solo, su cui non vi riveliamo altro.
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Un uomo in crisi
È evidentemente un uomo in crisi il surfista di Nicolas Cage, un personaggio che l'attore porta su schermo con carisma e intensità: con il sogno di una vita che appare prossimo alla realizzazione ma che rischia di diventare soltanto un miraggio. Un ruolo che Finnegan e gli autori dello script gli cuciono addosso, e che lui veste con sicurezza e con i tempi giusti per trasmettere il crollo fisico ed emotivo del personaggio, tra soprusi da subire, incertezze da sopportare e dubbi da sostenere. Gli fa da contrariare Julian Macmahon nel ruolo di Scally, leader della banda di surfisti che tiene in ostaggio la spiaggia, che mette in scena dinamiche da capobranco che assecondano l'approccio territoriale della banda. Funziona la chimica tra loro, e funzionano le dinamiche di branco che Finnegan mette in scena. Il regista è riuscito nel costruire il lento ma costante montare dello scontro, che si sviluppa per tutto The Surfer e che enfatizza una certa idea di mascolinità.
Parcheggio con vista
Quel che colpisce del film di Finnegan è come il regista giochi con le aspettative dello spettatore, suggerendo e anticipando, per poi prendere strade differenti da quelle che ci si immagina. Ha ritmo e tensione il suo The Surfer, che mette lo spettatore nelle condizioni di partecipare emotivamente del dramma vissuto dal protagonista, instillando gli stessi dubbi che emergono anche nell'animo del personaggio, facendogli vivere l'identico disagio, lo stesso caldo torrido, la sete, la fame.
Il tutto, sfruttando alla perfezione le poche location in cui ci si muove: un automobile, un parcheggio, la spiaggia. Il cosmo ristretto che si muove attorno a questi luoghi, eppure non si ha mai la sensazione di ripetitività o noia, oppure la sensazione che il film stia girando a vuoto o perdendo di vista il cuore narrativo ed emotivo del film. Non è un capolavoro The Surfer, ma è un film che funziona e porta a casa l'obiettivo, inanellando diversi momenti riusciti e almeno una scena che rientra nella categoria dell'instant cult. Non potremmo chiedere di più ad una Proiezione di Mezzanotte di Cannes.
Conclusioni
È un film riuscito The Surfer di Lorcan Finnegan. Un film che costruisce e tiene benissimo la tensione e fa partecipare lo spettatore del lento ma costante declino fisico ed emotivo di un Nicolas Cage in gran forma. Funzionano le dinamiche di branco che mette in scena, che sottolineano una certo tipo di mascolinità e di derive territoriali, funziona il contrato tra Cage e il leader del gruppo, lo Scally di Julian Macmahon. Un buon film che mette insieme diversi momenti degni di nota e ci regala una grande scena cult.
Perché ci piace
- Nicolas Cage, in uno dei ruoli riusciti della sua carriera.
- Il contrasto tra il surfista di Cage e l’antagonista Julian Macmahon, avvolto in dinamiche di branco sviluppate con criterio.
- La costruzione del film, che ha ritmo e tensione e fa partecipare lo spettatore della situazione fisica ed emotiva subita da Cage.
- Almeno una scena cult che non dimenticheremo.
Cosa non va
- È un film che non cerca di fare ed essere più di ciò che è. E va benissimo così, ma a qualcuno potrebbe non bastare.