È sempre molto complicato parlare di libertà artistica quando dietro vigono e incombono le regole ferree delle Major. Quelle regole che, spesso, influiscono sensibilmente sulla riuscita finale del film, scollandosi dalla visione del regista in funzione delle necessità produttive. Sono i dettami del gioco, le fondamenta di una certa Hollywood. Questo per dire: il paragone artistico tra Suicide Squad di David Ayer e The Suicide Squad - Missione suicida di James Gunn non può fondarsi solo sull'identità riconoscibile del regista, bensì dovrebbe essere valutato in base al momento storico, alle esigenze distributive e all'esigenza di mercato. E alla capacità di un determinato autore di sposare e smussare le suddette regole produttive, pur mantenendo una certa organicità e una certa identità intellettuale.
Insomma, il caro vecchio compromesso del "venirsi incontro". Ecco, rivedendo The Suicide Squad - Missione suicida, arrivato nel catalogo streaming di Netflix, veniamo sopraggiunti da diversi input. Il primo? Sembra scontato, ma freschi dell'esaltante visione di Guardiani della Galassia Vol. 3, non possiamo non riflettere su quanto la Marvel, silurando James Gunn, abbia perso una delle sue note più intonate e originali.
Chiaro: è ormai inutile rimuginarci sopra, quel che è fatto è fatto. Non vogliamo tornare sull'argomento di per sé ampiamente discusso (Gunn, a seguito della riesumazione di vecchi e controversi tweet, è stato silurato prima del terzo capitolo dei Guardiani, venendo poi richiamato solo per portare a termine il progetto), ma la visione incrociata dei due film sposta ovviamente la lancetta verso l'autore forgiato dalla Troma che, intanto, e in un beffardo plot-twist, nel 2022 veniva blindando dalla DC Studios, che gli ha affidato il compito di valutare e supervisionare ogni titolo della saga. Un lavoro complesso, che dovrebbe risollevare le sorti del DC Extended Universe.
Un lavoro e una rivoluzione stilistica, iniziata ufficiosamente proprio con The Suicide Squad - Missione Suicida. Un film teoricamente rischioso, che avrebbe dovuto seguire il discusso e sgangherato Suicide Squad di David Ayer: sequel o reboot? Già dal 2016 la Warner era intenzionata a sviluppare immediatamente un seguito di Suicide Squad, ma le solite divergenze artistiche, e poi un feedback tutt'altro che positivo, fecero demordere Ayer. Fu proprio il licenziamento dalla Marvel che porterà nel progetto James Gunn, indirizzando la produzione verso un'opera che avrebbe rilanciato i bizzarri antieroi della DC.
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"The Suicide Squad di James Gunn"
Development a parte, è stato il producer Peter Safran a chiarire l'anima del film: "Non è un sequel, ma ci sono alcuni personaggi che erano nel primo film. Quindi non è nemmeno un riavvio completo. Lo chiamiamo semplicemente The Suicide Squad di James Gunn". Una dichiarazione funzionale, che riassume lo spirito costruito pensando all'improbabile e irresistibile roster di protagonisti, tenuti ben a distanza dal più classico concetto di Bene o Male. Ecco, per James Gunn, che ha scritto il film, viene prima il "giusto" e lo "sbagliato". Un manipolo di criminali asserviti ad una giusta causa, assemblati nello stile più weird ed esasperato possibile.
Potremmo definirli i brutti, gli sporchi e i cattivi, se non fosse che, sotto sotto, c'è una palese dedizione a quell'empatia tipica di Gunn, e reperibile in dettagli che potrebbero apparire banali. Un assemblaggio che tiene nella squadra la Harley Quinn di Margot Robbie (ovvio!), ma fa fuori il Deadshot di Will Smith, mantiene Joel Kinnaman nel ruolo di Rick Flag e ci aggiunge Idris Elba come Bloodsport, John Cena come Peacemaker e Daniela Melchior nel ruolo di Cleo Cazo. Figure (più o meno) umane, a cui James Gunn affianca l'assurdo Polka-Dot Man di David Dastmalchian e, soprattutto, il trascinante Nanaue aka King Shark doppiato in originale da Sylvester Stallone.
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Ma, vedere (o rivedere) The Suicide Squad - Missione Suicida su Netflix, ci permette di apprezzarlo in un contesto meno asfissiante di quello che abbiamo affrontato durante l'uscita cinematografica: l'opera, infatti, è stata una di quelle più penalizzate dalle restrizioni indotte dalla politica sanitaria nei confronti del Covid. Distanziamento e mascherine in sala non hanno aiutato, scoraggiando il pubblico (appena 2 milioni in Italia), così come la release avvenuta negli USA in contemporanea su HBO Max. Senza girarci intorno, The Suicide Squad è stato uno dei flop del 2021, al netto dell'ottimo riscontro critico che, per l'appunto, ha lodato le sferzate rumorose e irregolari di Gunn.
Sembra che la DC abbia dato al regista una sorta di "carta bianca", permettendogli addirittura di "uccidere" tutti i personaggi che voleva, accondiscendendo poi alla predominante e scorretta esagerazione. Un punto nevralgico nello stile del regista, ma che non dovrebbe essere scambiato per pura libertà: come scritto all'inizio, ogni elemento dietro titoli marcatamente mainstream è vagliato attentamente dai produttori. James Gunn, conoscendo bene le regole del gioco (e del suo pubblico), ha accettato con coraggio un rischio forse calcolato, ma propedeutico per quella che sarebbe poi stata la sua salvezza artistica e la salvezza dei DC Studios, finalmente dotati di una loro credibilità. E infatti: chi sarà a dirigere Superman: Legacy? Già...