"Scusate, è la mia prima volta a Venezia". Esordisce così Dwayne Johnson, trafficando con il microfono, durante la conferenza stampa di The Smashing Machine, di cui è protagonista insieme all'amica Emily Blunt. Diretto da Benny Safdie, il film presentato in concorso alla Mostra del Cinema racconta la storia vera del lottatre Mark Kerr. Un lavoro sul fisico, sullo sguardo e una sfida decisamente diversa per The Rock che, al netto della riuscita del film, sparisce dietro un volto a tratti irriconoscibile. "La figura di Mark ha cambiato le nostre vite. Il motivo è semplice, non si tratta di vittoria o di sconfitta. Si tratta della pressione di ottenere risultati. The Smashing Machine è un film su ciò che accade quando la vittoria diventa una nemica".
Dwayne Johnson e il ruolo della vita

Ma chi è Mark Kerr? Molto in breve, campione NCAA di lotta libera, tra i migliori al mondo della MMA, insignito di tre tornei ADCC Submission Wrestling World Championship e la nome di essere - come titolo vuole - la "macchina distruttrice" per eccellenza. Va da sé che per un un fisico del genere ci voleva una presenza altrettanto importante. Inutile girarci intorno, Dwayne Johnson è effettivamente perfetto per la parte (come si dice, il ruolo della vita?), abbandonando la sua proverbiale affabilità per plasmare, testa e corpo, un personaggio marcatamente respingente, e quindi novellizzato quanto basta da Safdie.
The Smashing Machine: una storia d'amore
Nelle regole del classico biopic sportivo, dietro The Smashing Machine - ambientato tra il 1997 e il 2000 - c'è la riflessione sulla caduta e sulla risalita. Una scelta interpretativa complessa per Dwayne Johnson che, grazie a Benny Safdie, è riuscito ad uscire dalla zona di comfort. "Il film è una storia d'amore, tra Mark e Dawn. L'amore tra Mark e i suoi obiettivi. Prova a superare le sfide. Mi sono trasformato, era quello che volevo. Ho avuto una grande carriera, ma dentro di me sentivo di volere anche altro. E poi c'era Emily. Un'amica fin da quando abbiamo lavorato in Jungle Cruise. Mi ha detto: "nel film puoi mettere tutto quello che hai vissuto". Mi ha incoraggiato, le voglio bene".

Quello di Benny Safdie è quasi un film personale per Dwayne Johnson - ex wrestler, con un nonno e un padre lottatori -, capace di lavorare con sottrazione ad un ruolo meno smaccato e meno aderente alle regole del box office. "Desideravo interpretare un film così. Quando sei a Hollywood, come tutti sappiamo, tutto ruota intorno al botteghino. Il box office è molto rumoroso e può sembrare allettante, ti mette in una categoria e ti mette in un angolo. Rappresenta quello che la gente vuole che tu faccia. Quello che Hollywood vuole che tu faccia. Ho fatto tanti film di successo che mi sono piaciuti. Erano divertenti, altri meno. Ma cercavo qualcosa in più".
La commozione di The Rock
Commosso, The Rock, sciolto e a suo agio davanti la stampa internazionale, affronta la conferenza come se fosse una sorta di seduta analitica, e dice: "Qualche anno fa mi sono chiesto: "Sto vivendo il mio sogno o quello degli altri?". Ero spaventato, ma questa film mi ha mostrato che c'è forza nella vulnerabilità". Ora vivrò i miei sogni e farò quello che voglio fare. Attingerò a ciò che voglio attingere. Ho un posto dove posso mettere il mio passato, e che ho evitato per paura di andare in profondità".

L'attore, poi, si sofferma sul concetto di sacrificio, applicabile tanto allo sport quanto al cinema. E dice: "Emily rappresenta anche il sacrificio. Si sacrifica chi combatte, ma anche coloro che hanno accanto. Mio padre era un un wrestler prima che questo sport diventasse famoso. Capisco bene cosa significa il sacrificio, e capisco cosa vuol dire cadere e rialzarsi. Ho visto mia madre sacrificarsi per mio padre".
Dopo qualche secondo di silenzio, l'attore tira il fiato e conclude con un ricordo rivolto proprio a suo papà, Rocky Johnson. "No, per la tenerezza di Mark non mi sono ispirato a mio padre. Lui a 13 anni viveva per strada. Aveva una capacità limitata di amare. È stato l'uomo che mi ha cresciuto, ma è stato difficile. Per questo Mark illustra bene il senso della vergogna. E mio padre ha convissuto con questa sensazione per anni, affrontando tante cose. Un po' come tutti".