I fratelli Sisters, la recensione: il Far West al confine tra ironia e amarezza

La recensione di The Sisters Brothers: il primo film in lingua inglese di Jacques Audiard è un western atipico in cui si ragiona sugli albori della civiltà occidentale tra sogno e disincanto.

The Sisters Brothers Joaquin Phoenix
I fratelli Sisters: Joaquin Phoenix in una scena del film

Oregon. 1850. La gente va di corsa perché il mondo cambia in fretta. I villaggi polverosi diventano presto città più ordinate, i paesani stanno diventano cittadini distratti, la sporcizia fangosa del Far West conosce il lusso dei water assieme alla pulizia di dentifrici e spazzolini. Nel bel mezzo di questa caotica rivoluzione inarrestabile ci sono due fratelli che di cognome fanno Sisters. Due brutti ceffi vecchio stampo, senza scrupoli e pragmatici, Charlie e Eli non sono tizi che vanno per il sottile. Date loro del danaro, e loro faranno qualsiasi cosa: cacciare, catturare, uccidere. Legati a doppio filo da un legame di sangue fortissimo, i the Sister Brothers sono più di una coppia di mercenari al servizio del committente di turno, ma un vero e proprio brand del Far West. Normale amministrazione per i due il dover rintracciare l'esperto detective Morris, a sua volta sulle tracce di un cercatore d'oro da eliminare. Peccato che, questa volta, la missione sarà meno semplice del solito, perché i Sisters si troveranno inguaiati in una serie di imprevisti sconvenienti.

Imprevedibile è, prima di tutto, il cambio di registro di Jacques Audiard, qui al suo primo film in lingua inglese dentro un territorio inedito come il western. Eppure, così come Il profeta utilizzava il contesto carcerario per sondare l'animo umano, ancora una volta il genere di appartenenza è solo una facciata, un'etichetta, un pretesto per parlare d'altro.
È come se Audiard, con questo The Sisters Brothers (in concorso a Venezia 2018), abbia intenzione di sondare le radici della società occidentale, qui narrata in un suo momento cruciale. A metà ottocento quell'America stracolma di empori e saloon era davanti a un bivio: civiltà democratica o anarchia senza confini? Legge del più forte e rispetto reciproco? Nel dilemma si inserisce questo western atipico, tutto al maschile, che tanto assomiglia a un romanzo di formazione dal gusto quasi picaresco.

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I fratelli Sisters: Joaquin Phoenix e John C. Reilly in una scena del film

The Hateful Two

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Mani talmente leste e in sintonia da sparare quasi all'unisono, un padre assente e una vita dedicata solo al lavoro. Per quanto sembrino vivere in simbiosi, i Sisters due uomini profondamente diversi. Il fratello minore Eli, un Joaquin Phoenix carismatico e istintivo (ma dentro la sua comfort zone attoriale), è un uomo che vive l'oggi senza pensare oltre. Beve, cerca il piacere facile, brama il prossimo colpo trascinandosi nell'abitudine della vita da balordo. Il maggiore, Charlie (un John C. Reilly fantastico), è più riluttante a tutta quella violenza. Più pacato e malinconico, porta con sé i ricordi di un amore lontano e guarda il mondo con occhi curiosi, aperto al vento del cambiamento.

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I fratelli Sisters: una scena del film

Tratto dal romanzo Arrivano i Sister, scritto nel 2011 dal canadese Patrick deWitt, The Sisters Brothers trova nel personaggio di Reilly la coscienza di un film sospeso tra ironia e amarezza, idealismo e sconforto. In questo Far West dove ogni personaggio è invitato a scegliere che tipo di persona diventare, tutti i personaggi sognano qualcosa. C'è chi si accontenta dell'oro, chi immagina utopistiche società democratiche e chi vorrebbe soltanto tornare a casa. La risposta è un film vagamente donchisciottesco, divertente nel suo essere strambo e a tratti verboso, in cui qualche calo di ritmo nei tempi non sempre serrati dei dialoghi non rovina affatto un'opera più impegnata e complessa di quanto possa sembrare. Una storia di fratellanza che, tra scetticismo e tenerezza, sogna la grande impresa per poi accontentarsi di qualche sparuto attimo di spensieratezza. Forse la più grande delle conquiste in una terra in cui l'Io vince sempre sul Noi.

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Per un pugno di felicità

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I fratelli Sisters: Jake Gyllenhaal in un momento del film

I Sister partono per uccidere l'ennesima preda di turno, ma si ritroveranno a fare i conti con l'etica, la morale e il senso delle loro azioni. Senza mai essere davvero introspettivo, The Sisters Brothers risulta sempre leggero e pacatamente assurdo, coeniano nel cinismo e tarantiniano quando i personaggi sono impegnati in conversazioni in cui ogni singola parola viene vivisezionata dagli interlocutori. Si vede subito che il film è affidato a uno sguardo europeo sugli albori della cultura americana moderna. Si nota perché The Sisters Brothers è un western svuotato del western, perché nonostante l'impalcatura del genere, Audiard è disinteressato a qualsiasi tipo di mitologia di frontiera. I duelli sono privi di epica, i personaggi mai mitizzati con gigantismo, il paesaggio mai degno di una panoramica ad ampio respiro. Audiard preferisce parlare di uomini e di umanità, fa sembrare ingenui i sognatori e cocciuti i tradizionalisti. Il suo film gioca col western, facendo del cowboy uno stereotipo da smitizzare. Così quando una lettera inizia a diventare troppo enfatica o un dialogo troppo carico di ideali, il film interrompe il flusso di parole in modo brusco, spezza le ali e abbassa le pretese dei suoi protagonisti. E in questa sua ricerca sulle origini del senso americano di giusto e sbagliato, lecito o imperdonabile, il film ricorda Tre manifesti a Ebbing, Missouri. The Sisters Brothers è il sogno americano ridimensionato di continuo. Senza eroi, buoni, brutti e cattivi, la caccia all'oro si trasforma pian piano in una piccola ricerca della felicità.

Movieplayer.it

3.5/5