The Rule of Jenny Pen, la recensione: un thriller psicologico che non mette a fuoco la sua ragion d'essere

Non bastano due grandi interpreti come John Lithgow e Geoffrey Rush per salvare il film di James Ashcroft. Una riflessione sul potere basata sul racconto di Owen Marshall che gira a vuoto su se stessa. Presentato fuori concorso al Torino Film Festival.

Un'immagine di The Rule of Jenny Pen

Nel 2021 James Ashcroft ha esordito al lungometraggio con Coming Home in the Dark, film tratto da un racconto breve di Owen Marshall del 1995. Nel 2024 il regista neozelandese bissa e porta sul grande schermo The Rule of Jenny Pen, adattamento di un'altra opera di Marshall firmato a quattro mani con Eli Kent e presentato fuori concorso al Torino Film Festival. Anche questa volta il genere d'appartenenza è quello del thriller psicologico per un'opera opzionata oltre dieci anni fa su consiglio dell'amico autore Hamish Clayton.

The Rule of Jenny Pen: una riflessione sul potere

The Rule Of Jenny Pen Foto
Goeffry Rush in una scena del film

La storia prende il via in un'aula di tribunale in cui il giudice Stefan Mortensen (Geoffrey Rush) viene colpito da un ictus nel bel mezzo di una sentenza. La sua mediocre assicurazione medica copre le spese della riabilitazione in una casa di cura altrettanto mediocre. Rimasto parzialmente paralizzato, l'uomo si ritrova suo malgrado a condividere una stanza con l'ex rugbista Tony Garfield che maltratta e ridicolizza davanti agli altri ricoverati.

Nella stessa struttura è ospite anche Dave Crealy (John Lithgow), un paziente di lunga data considerato innocuo da medici e infermieri, ma capace di trasformare le notti degli altri degenti in un incubo. Al braccio, come la marionetta di un ventriloquo, ha una bambola adoperata nella terapia della demenza con la quale gioca a "La regola di Jenny Pen". Quando l'uomo inizia a tormentare i due compagni di stanza, Mortensen e Garfield decidono di mettere da parte la reciproca antipatia e porre fine al regno del terrore di Crealy.

Una riflessione sul potere in un luogo insolito, associato solitamente a calma e, addirittura, noia. Invece la casa di cura Royal Pine Mews diventa il teatro di un gioco perverso fatto di incursioni notturne, violenze fisiche e psicologiche, umiliazioni e sottomissione. Per enfatizzare la sensazione asfissiante e persecutoria che attraversa il film e le vite delle due vittime del sadico Crealy - ma anche per non rendere mai chiaro quando sia tutto reale o frutto della demenza -, la regia di James Ashcroft sfrutta inquadrature dal basso, distorte o sbilanciate, appoggiandosi al suono sinistro creato dal sound designer Matthew Lambourn.

Un racconto ripetitivo

The Rule Of Jenny Pen Scena
John Lithgow è il sadico Dave Crealy

Peccato però che il film finisca per girare su se stesso. Non bastano le interpretazioni di due grandi interpreti come John Lithgow e Geoffrey Rush a salvare una sceneggiatura che non trova la sua strada. Ripetitivo al punto da risultare irritante, The Rule of Jenny Pen è un film incompleto. Lo si evince dal tentativo di svelare la back story di Crealy - così da giustificare i suoi comportamenti brutali e malvagi - che si traduce in un nulla di fatto o nell'accennare alla pessima assistenza riservata agli anziani pazienti della casa di cura che, però, non affonda mai davvero il colpo.

Con un'idea visiva di grande impatto reiterata in un paio di sequenze, il film dà l'impressione di sprecare tutti i suoi assi nella manica. Come se lo spettatore fosse in perenne attesa di un picco che non esplode mai veramente e viene smorzato da più di un finale. Senza la sua coppia di grandi attori protagonisti, The Rule of Jenny Pen avrebbe avuto un deficit ulteriore. Ma per fortuna possiamo contare sulle performance di due fuoriclasse che rendono il film un'interessante osservazione del mestiere d'attore.

Conclusioni

Per il suo secondo lungometraggio James Ashcroft torna ad adattare un racconto di Owen Marshall. Un thriller psicologico sul tema del potere e le sue derive tiranniche ambientato tra le mura di una casa di cura che vede contrapposti John Lithgow e Geoffrey Rush rispettivamente nei panni di un giudice colpito da un ictus e di un paziente con demenza senile che terrorizza tutti gli altri degenti. Se l'idea è affascinante così come alcune idee visive, quello che manca è una necessaria coesione narrativa. Ripetitivo, The Rule of Jenny Pen, sembra girare su se stesso.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • Un'idea visiva reiterata in un paio di sequenze
  • Le prove attoriali di John Lithgow e Geoffrey Rush
  • L'ambientazione della casa di cura associata al tema del potere

Cosa non va

  • La ripetitività del racconto
  • La sceneggiatura che gira su se stessa
  • Parentesi narrative aperte e non approfondite