In occasione del lancio di The Rain 2, abbiamo intervistato il protagonista Lucas Lynggaard Tønnesen, arrivato in una piovosa Milano (inquietante coincidenza) per raccontarci i retroscena di una produzione ambiziosa. Il giovanissimo attore danese, classe 2000, ci ha svelato cosa c'è di tipicamente danese nello show Netflix e in quali allegorie si celano dietro tutte le sue nubi.
In altre serie tv l'inverno è stato temuto e atteso per anni. In The Rain, invece, la pioggia non perde tempo, arriva subito. E uccide. La prima serie tv danese prodotta da Netflix fa di ogni singola goccia un pericolo letale, creando un'inevitabile tensione ogni volta che una nuvola si affaccia in cielo. La pioggia di The Rain è infetta, capace di trasformare gli esseri umani di abomini feroci. Una pandemia inarrestabile che ha trasformato la Danimarca in desolato scenario post-apocalittico in cui seguiamo la faticosa sopravvivenza di un fratello e di una sorella. The Rain 2 sarà ancora dedicato a questo legame viscerale, dove istinti protettivi e incomprensioni convivono.
Il rapporto tra Simone e Rasmus diventa così una metafora efficace del cambiamento, dell'adolescenza che scombussola, rivoluziona e obbliga a dire addio alla propria spensieratezza. La seconda stagione di The Rain promette di scavare ancora più a fondo nel passato e nell'animo dei personaggi, senza risparmiarli da traumi e ulteriori dolori.
Può piovere per sempre: dentro The Rain 2
Lucas, la prima stagione di The Rain è stata sorprendente. Cosa dobbiamo aspettarci da questa seconda stagione?
Quando ho letto la sceneggiatura della seconda stagione sono rimasto molto colpito, affascinato e felice per quello che stavo leggendo. Perché The Rain 2 sarà molto incentrato sul personaggio di Rasmus. Finalmente capiremo per filo e per segno perché lui è la chiave per curare il virus, esplorando tutti gli effetti che questo "potere" ha sulla sua personalità.
A proposito di potere, pensi che Rasmus si avvicini un po' alla figura del supereroe?
Questo parallelismo con i supereroi è curioso, e in parte mi ritrovo. Poco prima di iniziare a lavorare alla seconda stagione, ho visto il film Venom e quando mi sono trovato sul set ho trovato molti punti di contatto con quella storia in cui il concetto di potere aveva a che fare col contagio, con qualcosa che ti ribolle dentro. Anche se devo ammettere che gli autori e registi non si sono mai ispirati ai supereroi mentre stavamo girando. Qualche settimana fa ho visto per la prima volta la seconda stagione, e rivedermi nei panni di un personaggio più oscuro e criptico è stato molto strano per me.
Lucas, siamo circondati da narrazioni post-apocalittiche. Film, serie tv, libri, videogame. Secondo te cosa rende questo immaginario così affascinante?
Credo che quello post-apocalittico sia uno scenario sempre molto attuale. Stiamo vivendo in un periodo storico dove il cambiamento climatico è un problema serio, da non sottovalutare, per cui le persone si sentono coinvolte da una storia come la nostra, anche a livello inconscio. Parlando in generale, va anche detto che le narrazioni post-apocalittiche sono spesso storie lunghe, in cui i protagonisti sono costretti ad affrontare problemi molto grandi, il che rende facile affezionarsi ai personaggi. Nel caso di The Rain si può parlare di un vero e proprio coming of age post-apocalittico, perché la maggior parte dei personaggi sono adolescenti alle prese con delle scelte, dei bivi che determinano che tipo di persone sono. Nella serie c'è un tasso di identificazione molto alto, perché, per quanto sembri una storia irreale, è davvero vicina a noi. In generale sono un grande estimatore delle storie post-apocalittiche, perché coinvolgono tantissimo.
The Rain è la prima produzione danese targata Netflix. Che effetto ti fa sapere di essere visto in tutto il mondo?
È folle. Ancora non mi rendo conto di quello che sta accadendo. Sono solo un giovane attore danese, e non vengo certo riconosciuto per strada come se fossi una star. Nella mia percezione delle cose è come se nulla fosse cambiato a livello di notorietà. Le cose cambiano se penso a tutto quello che accade sui social, dove negli ultimi mesi sono molto seguito da un sacco di persone e dove mi rendo conto che The Rain ha un grande seguito, soprattutto in Sud America.
Cosa rende The Rain una serie tipicamente danese?
Sicuramente lo storytelling, il modo in cui raccontiamo le nostre storie. Credo che nella messa in scena e nella regia The Rain abbia una vocazione molto internazionale, mentre la sua scrittura sia tipicamente danese. Al di là dell'ovvia presenza dell'ambientazione tipica del nostro Paese, lo show ha un modo di presentare i personaggi molto affidato ai dialoghi. In questo la serie rispecchia uno stile tipicamente danese.
C'è qualche collega con cui sogni di lavorare?
Beh, ce ne sono davvero tanti. Però, se proprio devo fare due nomi ti dico Timothée Chalamet, perché è uno dei giovani talenti più interessanti che abbia visto al cinema. E poi, ovviamente, Leonardo DiCaprio. Chi non vorrebbe lavorare con Leonardo DiCaprio?
Che rapporto hai con le serie tv e con il binge-watching?
Oh, io adoro il binge-watching. Spesso quando vedo una serie con i miei amici o con la mia fidanzata facciamo delle vere e proprie maratone, finendo intere serie tv nell'arco di poche ore. L'ultima volta mi è successo con Dark, la serie tedesca di Netflix. L'ho divorata nell'arco di una notte intera. Tra le mie serie tv preferite ci sono Mindhunter, Black Mirror, quella meravigliosa follia di Rick & Morty e di recente sono rimasto a bocca aperta guardando Il nostro pianeta. Non ho idea di come abbiano fatto a girare delle immagini così belle.