La morte è una mano che ci prende e ci svuota. Continua a seguirci, ricordandoci come un memento doloroso la perdita, la mancanza, l'incapacità di toccare, vedere, sentire, la persona amata. La morte è un alito gelido che in un gioco di reduplicazione e scambi unilaterali, tramuta chi resta in un esercito di fantasmi viventi. Beth (Rebecca Hall) ne la Casa Oscura è l'ombra di se stessa. Non a caso la donna si introduce all'occhio dello spettatore in controluce, riflesso di un corpo svuotato della propria interiorità. Una presenza/assenza che va a interrompere lo scorrere di una galleria di istantanee di una casa sospesa, vuota, proprio come sospesa e vuota è l'anima di un corpo a metà. Si aggrappa ai ricordi e alla versione fotografica, audio-visiva del marito scomparso, Beth. La donna si affida alla potenza dello schermo per richiamare a sé l'anima perduta, un espediente narrativo che poteva rendere il film con protagonista Rebecca Hall un horror interessante, accattivante, ma come sottolineeremo nella nostra recensione di The Night House - La casa oscura, finisce per rivelarsi come un'occasione perduta, svuotata di alacrità, come svuotata è la sua protagonista.
La casa oscura e il lutto di Beth
Beth è un'insegnante chiamata a elaborare e superare un lutto improvviso. Già fortemente colpita dalla depressione, dopo che suo marito si è suicidato con una pistola su una barca al largo del lago davanti a casa, la donna si ritrova adesso ad affrontare un nervosismo imperante che la rende incapace di dormire nella casa costruita proprio dal marito. Un ambiente a tratti labirintici, fatta di porte e finestre, presagi architettonici di inquietanti presenze pronte a colpirla, illuderla, spezzarla.
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La casa di riflessi
Lo preannuncia il titolo stesso: al centro de La casa oscura non abbiamo Beth, ma un ambiente domestico che si sveste di felice armonia per abbigliarsi di nefasti aliti di (non) vita. Il freddo della morte viene rivestito da una coperta di ombre, sottolineata da una fotografia giocata su tonalità fredde, e tessuta di filamenti oscuri, bui. A separarla dal mondo esterno sono specchi, finestre, e aperture rivestite di vetro, che fanno di questo nido di inquietante terrore un gioco di specchi su cui riflettere immagini speculari e doppelganger investiti di ira bruciante, e occhi di violenza. Uno schema di doppi schermi che riprendono e duplicano quelli accesi e scandagliati dalla stessa Beth alla ricerca di un ricordo in formato pixel del proprio marito, che rivive in portali informatici contenenti presenze quasi tangibili che superano e sconfiggono il concetto di morte, attraverso le loro azioni ripetute ad libitum. L'immagine impressa per sempre nella memoria di un cellulare, e i video che restituiranno al tempo infinito sorrisi, e complici sguardi, si slegano dalla prigione del tempo e dello spazio per vestirsi di eternità, schiacciando la morte. Un carattere fantasmagorico che Beth sfrutta, fa suo, nella speranza di sentire ancora vicino il proprio amato. Quella che ne deriva è una costruzione fabbricata di fotogrammi e immagini di natura metacinematografica, di un cinema che richiama e allude a se stesso, ai suoi poteri apotropaici. Un gioco di moltiplicazioni che il regista non riesce a sfruttare appieno, grattando sulla superficie di un universo paranormale che fa capolino, senza entrare di prepotenza con tutta la sua forza devastante all'interno dell'intreccio.
INFRAMEZZI SOFFOCANTI DI ATTESE MESSE IN PAUSA
Cammina Beth. Cammina lungo il pontile, tra i corridoi di casa, tra i sentieri dietro la propria abitazione. Sono inframezzi di un'attesa inquietante, passaggi ambientali e domestici tra un momento di statico dolore e di un vortice di perturbante incontro con l'universo dell'aldilà. Un incontro ritardato, procrastinato fino all'ultimo, messo in pausa da passaggi intermedi dove l'azione lascia il testimone a camminate, sguardi, movimenti della protagonista. Quello che si tenta di ricreare è un senso di attesa per qualcosa che invaderà lo schermo, preannunciato, ma a fatica mostrato; il climax potenzialmente disturbante e lacerante, tarda ad arrivare sgonfiando di riflesso il senso di inquietante suspense che tutto avvolge, ma che a fatica strozza la bocca dello stomaco. L'opera è perlopiù giocata su momenti che indugiano sul movimento, sui passaggi fisici della donna, finendo per risolvere troppo velocemente e superficialmente sprazzi di un epilogo chiamato a recuperare il tempo perduto, con duelli, lotte interiori e incontri/scontri svuotati della carica angosciosa di cui erano stati investiti.
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DESSERT RANCIDI DI CENE ELEGANTI
A livello tecnico, La casa oscura è uno scrigno di terrore e lutto pronto a essere aperto ed esorcizzato con la potenza dello schermo; un abito nero che avvolge il corpo di una storia elevata in potenza, ma bloccata nella sua realizzazione. C'è un freno a mano che il regista si è dimenticato di togliere che blocca lo scorrere di un'opera che corre in picchiata solo nel terzo atto. Una corsa improvvisa, che al posto di esacerbare il senso di terrore, lo depotenzia. La performance di Rebecca Hall, costruita su espressioni facciali e una mimica ben calibrata, perfettamente studiata e consona al personaggio da lei caratterizzato, è solo l'ultima di una serie di tessere pronte a unirsi perfettamente in questo puzzle narrativo dall'indole fantasmatica e spettrale. Eppure i loro confini non sono netti, finendo per inserirsi in maniera confusionaria e imprecisa all'interno di un contesto narrativo più convincente a livello teorico e ideologico, che pratico e pragmatico.
La tensione è distribuita in maniera disordinata e sproporzionata. E così il tunring-point finale vive sospeso in un epilogo irrisolto, concluso sulla carta ma abbigliato di incomprensione ed enigma nella testa dello spettatore. Il cambio graduale di registro tenta di vivere in un corpo nuovo, ancor più oscuro di quello offerto in precedenza, ricalcando il passaggio fisico-spirituale di una protagonista al limite della pazzia, ora destinata a vivere una seconda vita nei panni di un corpo che le diventa estraneo. Un colpo di scena di carattere soprannaturale che stride con quanto mostrato fino a quel momento, che non ribalta, né sorprende lo spettatore, ma gli lascia un sapore acidulo, fastidioso, in bocca. Un dessert mal amalgamato e rancido, che rovina il ricordo di una cena ben curata nel servizio, finendo per rovinare tutto con un'elaborazione sbagliata di piatti poco riusciti nonostante gli ingredienti di ottima qualità.
È una casa bellissima, quella oscura disponibile su Disney+. Un'attenzione orientata all'aspetto estetico che si scorda delle sue fondamenta, facendo in modo che tutta la sua costruzione ceda, incapace di tenere sulle spalle motivi e momenti del tutto inediti e dalla carica orroristica, quella carica che è linfa vitale di un'opera come La casa oscura, che finisce per snaturarsi, svanire, come lacrime tra le acque di un lago.
Conclusioni
Concludiamo questa nostra recensione di The Night House - La casa oscura sottolineando come il film con protagonista Rebecca Hall si presenti come un'opera bloccata in potenza perché incapace di sfruttare un terzo atto imprigionato tra gli inframezzi di attese non sviluppate. L'epilogo gioca su effetti visivi e una regia dinamica senza però colpire al cuore e incutere terrore, obiettivo primario per un film horror.
Perché ci piace
- La performance di Rebecca Hall.
- Il gioco di riflessi.
- La fotografia cupa e ombrosa.
Cosa non va
- Una narrazione disordinata.
- Mancanza di terrore e inquietudine.
- Un epilogo sommario e superficiale.