Un quartetto di attrici all-star, un'epopea tutta al femminile che parte dai sobborghi della Dublino di fine anni '60 e finisce nella Lourdes dei miracoli, e un racconto che parla di "amicizia, comunità, perdono e raggiungimento dell'accettazione", ma anche e soprattutto di guarigione intesa in senso più spirituale che fisico. La recensione di The Miracle Club parte proprio da qui, dal concetto di riconciliazione che in fondo rappresenta il vero cuore del film di Thaddeus O'Sullivan in sala dal 4 gennaio.
Redenzione, accettazione, senso di appartenenza ad una comunità: al di là del pellegrinaggio in sé, che coinvolge il gruppo di donne protagoniste, quello che conta sono gli spunti di riflessione che ne nascono: temi da sempre molto cari al regista, come "la famiglia, il dovere e la responsabilità reciproca". Il tutto in una confezione molto convenzionale e obsoleta, spesso retorica al punto da banalizzare le tematiche affrontate nonostante la presenza di un cast di attrici straordinarie: dai premi Oscar Maggie Smith e Kathy Bates alla deliziosa Laura Linney.
The Miracle Club, una storia di riconciliazione
Nonostante le premesse, The Miracle Club risulta un film mediocre, l'ennesimo road movie in cui i protagonisti, in questo caso un gruppo di amiche di generazioni diverse, si ritrova a espiare i propri errori e a fare pace con i fantasmi del passato; il viaggio religioso è solo un pretesto per snocciolare una storia di perdono e riappacificazioni dai toni rassicuranti. Tutto inizia a Ballygar, comunità operaia nei sobborghi di Dublino scandita dai ritmi di una routine ormai consolidata: è il 1967, le donne sono ancora confinate tra i doveri delle mura domestiche, gli abiti dai colori pastello, carte da parati dal sapore retrò e figli a cui badare, mentre gli uomini, impegnati a portare il pane a casa come la società dell'epoca imponeva, sono la perfetta espressione della cultura profondamente maschilista dell'epoca.
Le tre amiche del cuore Lily, Eileen e Dolly non fanno eccezione, ma accarezzano un sogno, l'unico in grado di fargli assaporare un piccolo spazio di libertà lontano da Ballygar, dalle sue regole e da mariti bisbetici: vincere il viaggio a Lourdes messo in palio dal parroco della chiesetta locale come premio di una gara di talenti canori. Ognuna è alla ricerca del proprio miracolo: l'ultraottantenne Lily (Maggie Smith) si illude di poter guarire da un problema alla gamba, ma in realtà ad animarla è il desiderio segreto di sanare il senso di colpa che la perseguita da una vita, da quando il mare le ha portato via l'unico figlio, Duncan; Eileen (Kathy Bates) ha appena scoperto di avere un nodulo al seno, ma il pellegrinaggio a Lourdes rappresenta per lei la possibilità di emanciparsi da un marito scorbutico e da uno stuolo di figli e nipoti che non la mollano mai; e poi c'è Dolly (Agnes O'Casey), la più giovane, che con quel viaggio spera di curare il suo bambino dal mutismo misterioso in cui ha deciso di rintanarsi.
In parte grazie alla benevola interferenza dalla comunità locale e del proprio parroco, le tre donne riescono a ottenere l'agognato biglietto. Ma il senso del viaggio è destinato a cambiare: a loro si unirà infatti Chrissie (Laura Linney), una sessantenne dai modi composti, tornata dopo un esilio di circa quarant'anni negli Stati Uniti, per i funerali della madre Maureen, la migliore amica di Eileen. Scopriremo che Lily e Eileen un tempo le erano profondamente legate, poi gli eventi hanno preso un altro corso facendo spazio a rancori, non detti e a una spessa coltre di pregiudizi. Il pellegrinaggio a Lourdes riaprirà vecchie ferite e rispolvererà amare verità con cui ognuna dovrà fare i conti.
Tra pathos e sentimentalismo
Storia di emancipazione, fede e amicizia, tra il misticismo della pittoresca cittadina ai piedi dei Pirenei, i bagni miracolosi e le scomode rivelazioni personali, The Miracle Club paga però il prezzo di una sceneggiatura prevedibile, e dai toni stucchevoli e patinati, che non lascia il giusto spazio alla caratterizzazione dei personaggi: non basta il grande talento di Kathy Bates e di Maggie Smith, né la grazia di un'interprete come Laura Linney per risollevare le sorti di un film sentimentalista che in pochi ricorderanno, e che non sa sfruttare appieno le abilità di un cast di prim'ordine.
Resta la genuinità delle poche scene davvero riuscite, come quelle in cui Eileen e Lily avvolte in asciugamani bianche si preparano a entrare nelle vasche di gelida acqua santa; mentre le figure maschili non ne escono benissimo: uomini scontrosi capaci solo di brontolare e chiedersi chi gli preparerà la cena in assenza delle loro mogli (su tutti giganteggia Stephen Rea). Del resto, solo un miracolo potrebbe illuminarli.
Conclusioni
Un film schiacciato da un eccesso di pathos e sentimentalismo che non riesce a sfruttare appieno il talento delle attrici protagoniste. Come ampiamente spiegato nella recensione di The Miracle Club, la narrazione si piega a una confezione molto convenzionale e spesso retorica che rischia di banalizzare le tematiche affrontate: il senso di comunità, la fede, la riconciliazione con se stessi. Il pellegrinaggio invece resta solo un pretesto.
Perché ci piace
- Il talento indiscusso di un quartetto di attrici di prim’ordine capaci di combinare compostezza, grazia e ironia.
- Il film resta prigioniero di una sceneggiatura prevedibile e dai toni stucchevoli e patinati.
Cosa non va
- La narrazione procede per stereotipi e convenzioni, mentre l’intera confezione risulta obsoleta e spesso retorica al punto da banalizzare le tematiche affrontate.