La collaborazione tra Mike Flanagan e Netflix si conferma vincente. Dopo i brividi di Hill House e Midnight Mass, nella fortunata equazione entra un nuovo fattore, un coinvolgente romanzo young adult di Christopher Pike che funge da punto di partenza per la nuova serie. Come anticipa la nostra recensione di The Midnight Club, su Netflix dal 7 ottobre, lo show che racconta il percorso di un gruppo di adolescenti malati terminali si trasforma in un coming of age spaventoso e avvincente, in una storia di amicizia e di amore e in un'esplorazione alla scoperta di se stessi. Mike Flanagan si conferma un regista dalla sensibilità unica, il cui talento si esprime al meglio sulla lunga distanza e la cui capacità di sublimare i propri demoni interiori attraverso il filtro del genere si affina opera dopo opera.
Il tema della malattia fornisce a Mike Flanagan l'occasione per mettere in scena una seduta di autocoscienza collettiva che si snoda lungo i dieci episodi di The Midnight Club. L'incipit introduce il personaggio di Ilonka (Iman Benson), brillante diciottenne che all'improvviso scopre di avere un cancro alla tiroide. Con i dottori che le lasciano poche speranze di guarigione, Ilonka si mette al computer e scova Brightcliff Hospice, una residenza per adolescenti malati terminali dal passato oscuro, gestita da un'enigmatica dottoressa interpretata dalla leggenda dell'horror Heather Langenkamp. Mentre indaga sui segreti che avvolgono il ricovero, Ilonka entra a far parte del Club di Mezzanotte, ritrovandosi ogni notte nell'ampia biblioteca insieme ad altri cinque pazienti per raccontarsi storie dell'orrore. A unire il club un patto ben più profondo: il primo di loro che morirà dovrà trovare il modo di comunicare con gli altri dall'aldilà.
Ghost tale o saggio sull'orrore?
Lungi dall'essere una semplice serie young adult, The Midnight Club è un horror d'autore sofisticato e stratificato che funziona a tutti i livelli. Caratterizzato da una tristezza di fondo, segno distintivo delle più recenti produzioni di Mike Flanagan, lo show è una riflessione sulla malattia, sulla sofferenza fisica e mentale, sull'amicizia e sui legami familiari, ma è anche un excursus sul genere horror e sui suoi meccanismi che usa il racconto nel racconto come espediente di analisi. Le storie narrate dai membri del club, una per episodio, esplorano generi e temi diversi, conservando però una fortissima componente autobiografica che le rende piccole gemme incastonate nell'opera generale. Flanagan, anche regista dei primi due episodi, ce lo mostra chiaramente fin dal primo incontro del Club di Mezzanotte in cui i ragazzi si misurano con una disamina dell'uso dei jump scare come espediente per provocare lo spavento degli interlocutori.
Se la qualità di un'opera horror si misura dal grado di spavento che provoca, The Midnight Club è perfettamente riuscita. La particolare struttura narrativa permette a Mike Flanagan e alla co-creatrice Leah Fong di sbizzarrirsi, attingendo a piene mani ai classici del genere e alternando ghost story, slasher e detective story con qualche strizzata d'occhio al sottogenere demoniaco. Il tutto condito con jump scare, visioni, apparizioni mostruose e voci dall'aldilà, un ricco campionario usato con grande maestria e mai in modo gratuito. Accuratissima la costruzione della suspence, alleggerita da brevi pause in cui vengono approfondite le relazioni tra i personaggi, ma Flanagan non molla mai la presa e quando ci sembra di poterci rilassare ecco che l'orrore torna a fare capolino.
Un gruppo di amici "da morire"
Pur disseminando di indizi la storia fin dal primo episodio, The Midnight Club centellina i misteri di Brightcliff Hospice conservando il meglio per il finale. Ma a tenere alta l'attenzione non è solo il desiderio del pubblico di scoprire cosa si nasconde nel basamento della magione o quale è il significato del misterioso simbolo a forma di clessidra che compare nell'ascensore e sui rami degli alberi che circondano la proprietà. Mike Flanagan ha sempre un occhio di riguardo per suoi personaggi e anche stavolta non ci delude. Grazie anche alle descrizioni di Christopher Pike, la ricchezza del materiale umano salta all'occhio fin dalle prime scene.
A interpretare Ilonka e gli altri pazienti di Brightcliff Hospice sono un gruppo di giovani attori poco noti, ma capaci di infondere nei loro personaggi una ricca vita interiore, valorizzando le differenti personalità alle prese con la sofferenza e la consapevolezza della morte imminente. Oltre a Iman Benson, a spiccare è soprattutto l'irlandese Ruth Codd nei panni della sofferente Anya, compagna di stanza di Ilonka dalla personalità fortissima che nasconde una profonda fragilità. William Chris Sumpter interpreta il riflessivo Spencer, impegnato a integrarsi nel gruppo nonostante la sua diversità, e Igby Rigney ricoprire il ruolo di Kevin, il bravo ragazzo per eccellenza che sembra, però, celare un lato oscuro. Assente la moglie Kate Siegel, Mike Flanagan non rinuncia a circondarsi di attori amici con cui ama lavorare in più occasioni. Ritroviamo così il protagonista di Midnight Mass Zack Gilford nei panni di un comprensivo infermiere e Samantha Sloyan in quelli di una vicina di casa esperta di medicina naturale, ma c'è spazio anche per Rahul Kohli, amatissimo dai fan di Flanagan.
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Il lavoro giusto al momento giusto
Per Mike Flanagan, The Midnight Club è il progetto del cuore. Il regista accarezzava l'idea di esordire al lungometraggio proprio con questo adattamento, anche se l'alt del management di Christopher Pike gli impedì di proseguire. Grazie alla potenza di fuoco di Netflix e all'esperienza accumulata, stavolta Flanagan ha potuto far confluire nell'adattamento tutte le idee cullate in questi anni. Il risultato è una serie coinvolgente, spaventosa al punto giusto, ma al tempo stesso calda come un abbraccio.
La ricchezza narrativa, la vivacità delle trovate e i personaggi vividi e vari avvincono lo spettatore sempre più attratto dai misteri che si celano a Brightcliff Hospice e nei fitti boschi circostanti (la serie è girata in British Columbia). Interni ed esterni sono valorizzati da una fotografia duttile e da una regia al servizio della storia, meno descrittiva ed estatica rispetto a quella di Midnight Mass, ma più focalizzata su personaggi e atmosfere. Gli ingredienti si amalgamano alla perfezione in The Midnight Club, ma il merito principale di Mike Flanagan è quello di riuscire a trattare un tema delicato come la malattia evitando inutili pietismi, ma raccontando la sofferenza con quella lucidità e schiettezza tipica della gioventù. Una boccata d'aria tra un brivido (di paura) e l'altro.
Conclusioni
Non possiamo che lodare la nuova serie di Mike Flanagan nella nostra recensione di The Midnight Club, focus su un gruppi di adolescenti alle prese con malattie terminali e con orrori soprannaturali. Flanagan ci regala un altro show ricco di orrori e costellato da personaggi alle cui vicende è impossibile non appassionarsi. Una vicenda ricca di misteri, emozioni e colpi di scena per un coming of age che sa spaventare il pubblico di ogni età.
Perché ci piace
- Il mix di orrore e realismo si rivela una ricetta vincente.
- La ricchezza narrativa e gli audaci meccanismi con cui viene costruita la suspence tengono il fiato sospeso fino alla fine.
- Una nuova galleria di personaggi a cui appassionarci in cui ritroviamo con piacere qualche volto noto.
- lo stile registico, ormai una garanzia, al servizio della storia e del genere.
Cosa non va
- Come tutte le serie Netflix di Mike Fanagan, anche questa finisce troppo presto.