L'abbiamo seguita con attenzione e curiosità per tre anni, tra lacrime di sofferenza ed emozione, consapevoli della forza con cui sapeva toccare le corde più intime e nascoste dell'animo, ma con il freno a mano dell'entusiasmo tirato, incapaci di lasciarci andare ed ammettere di quanto di buono riuscivamo a scorgere negli episodi di The Leftovers che si susseguivano spiazzandoci con scelte coraggiose e originali.
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Forse scottati dalle promesse non mantenute di Lost, che con la nuova serie HBO condivide almeno un genitore, forse semplicemente bloccati dalla naturale difficoltà di valutare una produzione del genere senza avere ben chiaro il quadro complessivo, ma solo ora ci sentiamo di dire che in tanti, noi compresi probabilmente, abbiamo dato della serie di Lindelof e Perrotta un giudizio inferiore al suo reale valore. L'abbiamo apprezzata in questi tre anni, ma solo ora, ad emozioni ferme, riusciamo ad ammettere quanto ci ha coinvolti e quanto ci mancherà.
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Il coraggio delle scelte
Abbiamo accennato a scelte coraggiose e originali, la cui conseguenza primaria è l'andamento generale delle tre stagioni di The Leftovers: una volta lasciatosi alle spalle il vincolo rappresentato dal romanzo originale di Tom Perrotta, lo stesso autore ha aiutato Damon Lindelof a prendere strade ancora più spiazzanti, che comprendono almeno un paio di episodi che fino a un mesetto fa avremmo osato definire con ingenuità lynchiani, prima che lo stesso David Lynch intervenisse per ribadire, una volta per tutte, cosa voglia dire realmente essere l'autore di Twin Peaks. Lindelof e The Leftover non arrivano a nulla di così estremo ed artistico, ma è stata altrettanto vera l'attitudine a non seguire la strada più semplice e immediata, pur senza cercare il colpo ad effetto fine a se stesso.
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La forza della fede
The Leftovers non è, insomma, Lost, non ha collezionato domande promettendo risposte, ma in tal senso è stata ancora più esigente nei confronti del proprio pubblico: quello che Lindelof ha chiesto al pubblico di HBO in primis e dei canali internazionali a seguire, da noi gli spettatori di Sky Atlantic, è stato un atto di fede di natura quasi cattolica. The Leftovers ha avuto una sua coerenza etica prima che formale, una sua logica metafisica, una sua onestà catartica, ma è stato compito dello spettatore fare un passo verso la serie, immergersi nella rappresentazione di Mapleton, Miracle ed in generale del mondo che è stata realizzata da Lindelof e gli altri autori, rendersi disposti a soffrire delle sue storie di umanità ferita.
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Le storie e le emozioni
Perché, lo dice il titolo, The Leftovers non racconta gli scomparsi, gli assenti, le vittime della sparizione di massa che ne è spunto di partenza. The Leftovers racconta chi è restato, chi da quella sparizione è stato segnato in modo indelebile. Lo ha fatto con una scrittura attenta e sofferta, capace di risuonare con delicatezza cristallina, ma l'ha fatto, anche e soprattutto, grazie al lavoro di alcuni interpreti che hanno saputo creare personaggi possenti e toccanti. Pensiamo al protagonista Justin Theroux, ma anche alla Nora di una gigantesca Carrie Coon o al reverendo Jameson di uno struggente Christopher Eccleston. Personaggi, storie ed emozioni che ci hanno accompagnati per tre stagioni e che rimarranno dentro di noi anche ora che la serie è arrivata al naturale capolinea, ora che sono a loro volta spariti dalle nostre vite, lasciando noi spettatori a vivere la condizione di leftover in cui li abbiamo conosciuti ed amati.