Lost: 10 anni dopo, nessuna serie è come lei

Iniziava dieci anni fa una serie che ha fatto la storia della moderna televisione.

Celebrata da molti, criticata da tanti, ma in definitiva conosciuta da tutti. E' questo ultimo dato ad essere estremamente significativo per l'impatto di una serie, de La serie potremmo dire, sull'immaginario collettivo e sul mondo della televisione contemporanea in generale. Stiamo parlando di Lost, ovviamente, la serie ABC che debuttava dieci anni fa sugli schermi americani, per l'esattezza il 22 Settembre del 2004.

Dieci anni forniscono la giusta distanza per ripensare al lavoro di J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber (quest'ultimo solo un nome e poco altro ai fini della realizzazione della serie). Dieci anni aiutano ad avere una visione d'insieme che non sia né fomentata dall'esaltante inizio, né offuscata dalle delusioni finali. Dieci anni sono un tempo sufficiente per valutare anche quanto quello show, con i suoi personaggi, la sua struttura e la sua isola, sia stato capace di lasciare un segno su quello che è seguito, e ragionare su quanto questo segno potrà essere indelebile. Dieci anni. Eppure sembra soltanto ieri dalla prima visione di quel folgorante pilot che si apriva con l'occhio spalancato di Jack.

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Lost: l'occhio di Jack che apre il pilot
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La forza di un incipit

Matthew Fox nell'episodio pilota di Lost
Matthew Fox nell'episodio pilota di Lost

Facendo il nostro lavoro, ci capita di tanto in tanto di chiedersi cosa abbiano visto i dirigenti di un network in un determinato pilot per spingerli a sceglierlo e promuoverlo a serie. Nel guardare il pilot di Lost, non riusciamo ad immaginare un solo motivo per non ordinare la serie completa. Tale la potenza, l'impatto, la suggestione di un incipit capace di conquistare immediatamente con la sua struttura e, perché no, i suoi misteri. Talmente potente che chi scrive riuscì a catalizzare su di esso l'attenzione dei suoi attuali colleghi soltanto raccontandolo davanti ad un goulash in un pub della città in cui ancora adesso risiede la nostra redazione. E pensate all'effetto dirompente che quella stessa premessa ebbe sul pubblico più vasto della nostra tavolata, grazie ad una messa in scena sontuosa in uno dei pilot più belli e costosi di sempre, denso di sequenze perfette, imponenti come l'incidente aereo, magnetiche come i primi misteri gettati in pasto al pubblico, coinvolgenti grazie a personaggi riusciti e ben amalgamati. Fino a quel cliffhanger da brividi in cui uno smarrito Dominic Monaghan si chiedeva (e ci chiedeva) "Guys, where are we?"

Concludere per ricominciare

Terry O'Quinn in una scena dell'episodio 2x01 di Lost
Terry O'Quinn in una scena dell'episodio 2x01 di Lost

Lost è stata una serie basata sui personaggi. Lo hanno sempre sostenuto i suoi autori e, a guardarla ora dalla suddetta giusta distanza, lo confermiamo noi. Eppure non si sarebbe mai retta in piedi senza quella capacità di calamitare l'attenzione sui suoi misteri, senza quell'arte nel mettere in piedi gli ultimi due minuti di ogni episodio in modo da lasciare una settimana a ragionare sullo show. Un'abilità che a un certo punto è sfociata nella necessità di doverlo fare, costringendo gli autori a inventare sempre nuovi e improbabili misteri. Ma a questo arriveremo dopo, quello che ci preme sottolineare ora è come quella necessità si sia sposata alla perfezione con una incredibile qualità degli scrittori di Lost: quella per tessere i conseguenti inizi. Tutta la serie, con le sue ripartenze, con il suo ampliare e spostare il punto di vista più volte, ha più di un inizio. E non ci limitiamo a ragionare solo sui primi entusiasmanti minuti di ogni stagione (anche se la presentazione di Desmond nella botola in Uomo di scienza, uomo di fede, ad inizio della seconda, è qualcosa di unico nella storia della televisione), ma anche a tanti cold opening che travolgevano lo spettatore trascinandolo senza fiato per tutti i successivi 42 minuti di durata dell'episodio. Quello di Lindelof e compagni per gli inizi è (stato) un vero dono, pur dovendo ammettere che è più semplice stupire, conquistare e colpire quando non devi preoccuparti (troppo) di quello che seguirà, di come giustificherai ogni tua trovata, che sia un orso polare o un'isola che si sposta. Eppure tutto ciò, almeno su una grossa fetta di pubblico, funzionava eccome, perché tralasciando i difetti, mettendo da parte la logica, chiudendo un occhio e mezzo sull'evidenza di una linea narrativa quantomeno arzigogolata, quei maledetti 40 minuti settimanali volavano come poche volte è successo in precedenza (ed anche successivamente).

Lost: un momento emozionante dell'episodio Attraverso lo specchio
Lost: un momento emozionante dell'episodio Attraverso lo specchio

Struttura al servizio del racconto

Jorge Garcia nell'episodio 'Solitudine' di Lost
Jorge Garcia nell'episodio 'Solitudine' di Lost

E' senza dubbio un merito, una qualità. Chiara indicazione di una struttura narrativa talmente solida da oscurare anche il nulla che talvolta si celava sotto la superficie. Efficace soprattutto perché perfetta per raccontare quella storia e quei personaggi. O meglio: quella storia attraverso i suoi personaggi, che erano forti e resi tridimensionali da un casting eccellente. Avveniva tramite una struttura a flashback che dedicava metà di ogni episodio a raccontare il passato di uno di loro, ed attraverso di essi arricchiva il presente sull'isola. Funzionava perché l'intera serie era stata pensata per quella impostazione, perché Lost scopriva con quella struttura narrativa i suoi protagonisti poco a poco, dando l'illusione allo spettatore di una verità che si dipanava davanti ai suoi occhi. Non ha funzionato, non bene almeno, quando quella stessa struttura è stata forzata su altri show successivi (FlashForward, per esempio, mentre risulta efficace quando usata, occasionalmente e con moderazione, in The Leftovers dello stesso Lindelof), perché il punto centrale non è "quello" stile di racconto, ma il fatto stesso di aver trovato una propria voce attraverso la quale raccontare la storia. Chi segue non deve rubare la voce di Lost, ma seguire il suo esempio e trovare la propria. E' questo l'insegnamento della serie.

Creatività a briglia sciolta

Lost: una scena dell'episodio Attraverso lo specchio con Evangeline Lilly e Matthew Fox
Lost: una scena dell'episodio Attraverso lo specchio con Evangeline Lilly e Matthew Fox

Abbiamo accennato a dei difetti, a dei bassi che non possiamo non citare dopo aver parlato degli alti di una delle serie più importanti della moderna televisione commerciale, forse la più importante dopo I segreti di Twin Peaks ed X-Files. Dietro quella macchina apparentemente perfetta, quella carrozzeria lucida e quegli optional da brivido, c'era un motore che girava per lo più a vuoto, e l'ha fatto fin (quasi) dall'inizio. Ma c'è stato un momento in cui è stato impossibile spingerlo al massimo e tenerlo su di giri, intorno al finale della terza stagione, l'ultimo vero colpo di genio degli autori. Quel "We have to go back" urlato da Jack/Matthew Fox è il punto di non ritorno di una creatività allo sbaraglio, che Lindelof e Cuse, che guidavano la serie e l'avrebbero fatto fino alla fine, sapevano di non poter più controllare. Fu allora che negoziarono con ABC una data di fine ed un numero di episodi da quel momento al finale, 48 da dividere in tre successive stagioni (un evento più unico che raro nella serialità televisiva). Ma non bastò perché paradossalmente proprio da quel momento Lost ha iniziato a perdere qualcosa, forse proprio quella carica di libertà che aveva caratterizzato la serie. Senza la sua sfrontatezza nel mettere in scena sempre nuovi, sovente inutili, personaggi (qualcuno ha detto Nicky e Paulo?) e la sua incoscienza nel mettere insieme nuovi misteri ed enigmi, la serie si è avviata verso un finale che per tanti è stato meno potente del suo inizio, incapace di tirare le fila di quanto impostato fin lì nel modo che avrebbero meritato.

Lost è una serie che oggi, nel panorama televisivo mondiale, non esiste.

Quel che resta di Lost

Mark Pellegrino e Titus Welliver in una scena di Attraverso il mare, dalla sesta stagione di Lost
Mark Pellegrino e Titus Welliver in una scena di Attraverso il mare, dalla sesta stagione di Lost

Alti e bassi, pro e contro, il bene e male. I contrasti così centrali nella poetica della serie. E' come se in tutto Lost dovesse echeggiare quell'antitesi messa in scena anche tra i suoi personaggi (tra Jack e Locke prima, tra Locke e Ben poi, tra Jacob e l'uomo in nero da sempre), fin nella qualità e nella disomogeneità tra il fulgido inizio e quella fine che a tanti ha lasciato l'amaro in bocca. Perché questo può accadere quando l'occhio di Jack torna in primo piano chiudendo lo show così come era iniziato, si può restare rammaricati per quello che sarebbe potuto essere e non è stato, per quelle risposte mai arrivate ed attese da tanti spettatori. Lost, così come l'abbiamo seguita di settimana in settimana con trepidazione e famelica curiosità, non è stata una serie perfetta. Non è stata, a dirla tutta, nemmeno onesta. Ciononostante, pure coi suoi difetti, i suoi inganni ed i suoi squilibri, è stata una serie unica e, finora, inimitabile. Una serie che oggi, nel panorama televisivo mondiale, non esiste.

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