Per carità, è una cosa che possiamo dire e affermare solo col senno di poi, ce ne rendiamo conto. Eppure, ora è abbastanza evidente: più che dalla lunga pausa di due anni, la prima e la seconda stagione di The Last of Us sono separate dagli esiti qualitativi del prodotto finito. Pensateci: quando la serie si è palesata su HBO (o Sky e NOW da noi), tolte le solite, insopportabili polemiche della manosfera circa il casting di Bella Ramsey, abbiamo assistito a un sostanziale plebiscito. Quella creata da Craig Mazin, che aveva già dalla sua la straordinaria Chernobyl, e lo stesso Neil Druckmann, il co-ideatore del videogioco, era un'opera che riusciva a sancire definitivamente un rapporto, quello fra Hollywood e i videogiochi, che pareva ormai essersi assestato tanto da portarci a vedere produzioni all'altezza del materiale alla base.

Funzionava tutto: funzionava il cast, funzionava l'adattamento, funzionavano le citazioni, funzionavano le aggiunte. Se proprio dovevamo metterci a fare le pulci, c'era quel senso di storia improvvisamente affrettata nelle battute finali, ma si trattava di un difetto presente anche nel videogioco su cui poi si poteva benissimo sorvolare una volta arrivati alla potentissima bugia detta da Joel a Ellie nell'epilogo. Quella che sarebbe poi finita per pregiudicare inevitabilmente il rapporto fra i due. Poi è arrivato The Last of Us 2 e lì le cose sono cominciate a precipitare.
The Last of Us 3: col senno di poi
Dicevamo: col senno di poi è più facile constatare quello che è andato bene e quello che è andato... meno bene, per così dire. Chi vi sta parlando in questo momento, aveva già avvertito una certa criticità quando HBO annunciò che la seconda stagione di The Last of Us sarebbe stata composta da sole sette puntate. Episodi, peraltro, di durata neanche troppo eccessiva.

Il pizzicore dei sensi di ragno era causato dalla profonda conoscenza del videogame, dalla densità dei fatti raccontati, dalla struttura narrativa basata sul ripercorrere lo stesso arco di tempo da due punti di vista differenti tanto da avere due movimenti in tre atti seguiti da un lungo epilogo e, soprattutto, dalla complessità di una storia che trattava l'ossessione per la vendetta come se fosse una dipendenza da sostanze stupefacenti in grado di obnubilare la mente, specie per Ellie. Era palese che la seconda stagione si sarebbe conclusa esattamente come accade nel videogame quando si passa da Ellie a Abby, ma era altrettanto palese che sette puntate erano poche per sviluppare in maniera adeguata un'opera così pregna.
Ed effettivamente così è stato. Senza contare che, per le scelte che sono state fatte, resta tutto da vedere se lo spettatore TV avvertirà con la stessa violenta intensità l'essere costretto a seguire le orme di colei che viene vista come la villain di una storia dove in realtà anche Joel (ed Ellie) vestono gli stessi identici panni di "cattivi".
Sarebbe ingiusto bocciare in toto The Last of Us 2 perché, in ogni caso, basterebbe il production value a farle raggiungere la sufficienza. Ma siamo anni luce distanti da quello che è stato fatto e ottenuto dalla prima. Se avete letto i nostri speciali sulle differenze fra la serie e il videogioco sapete bene che quanto stiamo affermando non si basa sul più becero dei cherry picking, ma sull'analizzare come le modifiche fatte abbiano contribuito ad inficiare il risultato finale. Snaturandolo nella sua essenza.
Una questione di pesi diversi
Posizionando sui piatti della bilancia quello che va e quello che non va, tutto è più sbilanciato in quest'ultima direzione. La morte di Joel sminuita dall'assalto degli infetti a Jackson, la creazione di personaggi con una mera funzione espositiva, il tempo perso inutilmente nel raccontare le dinamiche interne alla comunità di Jackson e una storia in cui le cose accadono più perché devono accadere e non perché i personaggi conquistano i loro traguardi. Uno su tutti: pensate alla maniera con cui Ellie s'imbatte in Nora nell'ospedale di Lake Hill. Sarebbe da usare come modello sul come non scrivere uno script in una qualche lezione di sceneggiatura per la TV e il cinema. Non esiste nesso di causa ed effetto, tutto succede... perché sì.

Poi c'è l'elefante nella cristalleria, anzi, gli elefanti nella cristalleria: Ellie ed Abby. La prima è stata completamente snaturata tanto da sembrare un altro personaggio. Riassumendo: nel videogioco è una persona capace e in grado di pianificare le proprie azioni, nella serie non sarebbe neanche in grado di allacciarsi le scarpe da sola senza Dina. Anche Bella Ramsey, che nella prima stagione era perfetta per la parte, pare decisamente meno adatta a darle vita in un momento in cui dovrebbe mostrare un grado di maturità aggiuntiva.
La scelta di non avere una Abby muscolare come nel videogame poteva essere accolta col beneficio del dubbio prima del debutto della stagione 2, nei giorni in cui Mazin e Druckmann affermavano le necessità della serie erano altre. Con l'ormai famoso, celebre e già citato sennò del poi, ci domandiamo: perché privare il personaggio di una caratteristica fisica fondamentale del tutto motivata dal suo desiderio di soddisfare la volontà di vendicarsi per la morte del padre trasformandosi in una sorta di macchina da guerra? Non ci è dato sapere e, alla luce dei recenti sviluppi, il tasso di preoccupazione aumenta.
L'addio di Neil Druckmann (e Halley Gross)
Ieri sera è arrivata la notizia che Neil Druckmann e Halley Gross (co-sceneggiatrice di The Last of Us Parte 2) hanno abbandonato la produzione della HBO. Se si fosse trattato solo della seconda, il tam tam mediatico sarebbe stato più discreto, ma quando a dire addio è il co-creatore della IP videoludica (nonché dirigente della software house Naughty Dog) il discorso cambia. Per degli ovvii perché che danno vita ad altrettanto ovvie domande.
Perché il sodalizio, che pareva quasi una love story, fra Mazin e Druckmann è finito? Quali saranno le ripercussioni creative sulla serie? Quando uscirà la terza capiremo davvero di chi sono le colpe della recente débâcle? Una volta adattata tutta la parte 2, se gli ascolti giustificheranno la mossa, la serie proseguirà inventando roba di sana pianta? Magari Druckmann si è allontanato per lavorare anche al tanto vociferato terzo capitolo di The Last of Us? Per come funzionano le cose a Hollywood e dintorni, non sapremo mai la verità relativa alla prima domanda. Druckmann ha rispettato il solito copione: è stato un onore lavorare alla serie, HBO e Mazin dei partner straordinari, devo concentrarmi sul mio nuovo videogame (Intergalactic: The Heretic Prophet). Ognuno di noi si sarà figurato uno scenario diverso dietro a queste parole di circostanza. Viene facile pensare, dato che Druckmann e Gross hanno scritto la puntata più riuscita, la sesta (quella coi flashback), della seconda stagione, che potrebbe trattarsi di un "abbandoniamo la nave prima che affondi". Forse perché al timone c'è stato più Mazin che Druckmann, ma chi può dirlo così, osservando dall'esterno?

Poi però, per onestà, bisogna anche riconoscere che sempre loro due hanno scritto anche il finale di stagione che, nel complesso, è a malapena passabile e infarcito di passaggi del tutto privi di senso. Le parole "concorso di colpa" potrebbero delinearsi nella testa di parecchia gente. Dalla seconda in poi potremo iniziare a unire i puntini solo fra diverso tempo, ma l'impressione generale è che The Last of Us, in un lasso di tempo esponenzialmente inferiorie, stia già cominciando a emanare la stessa puzza delle stagioni finali di Il trono di spade.